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Dicembre: Incontro Mensile

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INCONTRO DICEMBRE 2006


Giorgio Macchi (Varese). E’ bello festeggiare il Natale guardando il volto di questi amici che con gli anni sono diventati sempre di più. Noi non avevamo un progetto di stare insieme , ma le circostanze e soprattutto perché siamo stati colpiti dalla perdita di un figlio ha reso possibile la nostra compagnia. E’ quasi impossibile, da soli, trovare serenità e la nostra amicizia vuole essere una possibilità. Soprattutto quando si avvicinano delle festività così importanti il cuore è diviso tra il desiderio di vivere con felicità questi momenti, ma d’altra parte la realtà che qualcuno delle persone più care non sia più fisicamente con noi ci lascia tristi e ci fa sembrare la famiglia non più al completo. Poi, c’è anche il rischio ulteriore di perdersi inseguendo i falsi desideri, che soprattutto nel periodo pre-natalizio ci vengono additati dalle tante pubblicità. Il nostro cuore è così soddisfatto o no a seconda delle scelte che facciamo per la nostra vita.

In questi anni abbiamo imparato che il dolore può avere senso se genera. Il senso della nostra compagnia è anche quello di farci rimanere vigili per dare verità e sostanza a ciò che nella vita conta veramente. E’ per questo che oggi abbiamo invitato l’amico Raimondo Gandolla, ingegnere, che ci racconterà la sua esperienza. E’ uno degli amici che il Signore mi ha messo vicino nel momento più critico della mia vita. Stando assieme a lui ho sempre sentito la condivisione del dolore e l’appoggio della sua solida sicurezza.
La sua presenza qui con noi vuole essere anche una risposta al nostro cuore, che spesso, davanti ad una domanda d’aiuto si chiude, quasi a volersi difendere.

Raimondo Gandolla. Quando Giorgio mi ha telefonato ho pensato che l’unica cosa che potevo dirvi era raccontarvi come, attraverso ciò che faccio, rispondo, come tutti noi, al desiderio di bellezza, di felicità, di verità della vita. Quello che mi permette di stare di fronte a voi è che tutti noi rispondiamo, per come siamo capaci, a quello che Dio ci chiede. Il cammino che facciamo è simile e tutti noi cerchiamo di capire cosa il Mistero vuole dalla nostra vita. E’ l’unica possibilità per camminare in modo vero in questo mondo. Sono ingegnere civile e lavoro presso un’impresa di costruzioni, facendo il direttore tecnico. Ho sempre pensato che avrei potuto mettere a disposizione la mia professionalità per chi nella vita è meno fortunato di me. Nel 1994 un amico mi ha contatto telefonicamente, dicendomi che stavano costruendo un ospedale in Romania, per bambini malati di AIDS, e chiedendo il mio aiuto. E’ stata la chiamata. Ho detto sì. Ho iniziato pensando di mettere a disposizione degli altri quello che io so fare.

In quel periodo in Romania c’era una situazione molto drammatica. Nell’ospedale esistente c’erano grandi stanzoni dove erano ricoverati circa 130 bambini tra i quattro e i sei anni, per la maggior parte provenienti da orfanotrofi, con attese di vita che andavano dai sei mesi o l’anno. Questi bambini, con difese immunitarie nulle, erano ammucchiati in venti nella stessa stanza, a volte due o tre per letto. Nessuno aveva il coraggio di toccarli.

Davano loro del cibo ma non erano curati. Abbiamo dovuto superare non poche difficoltà. Volevamo essere sicuri che il denaro fosse impiegato per lo scopo prefissatoci e non altrove. Desideravamo costruire un ospedale con tecnologie europee, cioè bello, funzionale, adatto allo scopo, ma non avevamo garanzie che alla conclusione dei lavori quest’ospedale non diventasse una clinica per ricchi. Sono occorsi sei mesi per ottenere dal Ministero della sanità rumena la firma che garantisse che quest’ospedale sarebbe stato adibito per curare i bambini malati di AIDS

I lavori sono durati otto mesi. Io andavo spesso in Romania per seguire i lavori e ho trovato tantissima gente che mi ha aiutato, dandomi soldi per l’ospedale. Persone che lavoravano con me, aziende, pensionati, fornitori, persone che hanno capito e condiviso. Lavoro anche in un’azienda che mi permette di assentarmi tre o quattro giorni al mese.
L’ospedale che abbiamo costruito era veramente bello e i bambini hanno incominciato ad essere curati. Questa era la vera priorità. Mentre costruivamo abbiamo iniziato a preoccuparci di trovare dei medici, perciò abbiamo contattato l’Università di Milano, i Fatebenefratelli di Roma. I medici italiani hanno iniziato a venire in Romania, mentre il personale rumeno veniva in Italia a seguire corsi su come trattare i bambini.

I bambini avevano escrescenze e nessuno li toccava perché avevano paura; alcuni bambini non potevano neppure aprire gli occhi. Si è incominciato a curarli e a tenerli in ordine. L’attesa di vita si è così allungata, ma non si potevano tenere dei bambini ricoverati per degli anni. E’ nata così l’idea di creare delle case d’accoglienza, case di famiglie che hanno già dei figli accolgono dei bambini. Le famiglie sono aiutate dalle adozioni a distanza, dai contributi governativi e dai fondi AVSI. Sono tornato in Romania nel 2001 per la costruzione di un asilo e sono andato a vedere una di queste case. Con degli amici siamo andati da questa famiglia senza preavviso. Abbiamo trovato una casa bella, pulita e in ordine. Il padre era sul terrazzino a giocare con i bambini e ho avuto l’impressione che quella fosse la famiglia più felice di questo mondo. Costruire un bell’ospedale, un bell’asilo o una bella casa ha lo scopo di far capire che dietro a questa ricerca del bello c’è una ragione più grande.

Il metodo di AVSI è di rispondere a ciò che la realtà ci pone innanzi. Lavorando con AVSI mi sono appassionato e ho continuato. Sono stato in Albania, Kosovo, Polonia, Brasile. Ho visto situazioni drammatiche.
In Albania sono arrivato di notte in un paesino vicino a Valona. Sono atterrato a Tirana e la strada che portava all’aeroporto era strettissima, tanto che non passavano due macchine. Ho dormito in uno scantinato e durante la notte ho sentito degli spari. Ho spostato il letto in un angolo e ho continuato a dormire. Alle cinque e trenta di mattina, sento vociare. Aperta la finestra ho visto cento e più bambini. Erano lì ad aspettare che, alle otto, le suore aprissero l’asilo. In Albania abbiamo costruito l’asilo e quando poi si è conclusa l’operazione Arcobaleno, hanno rapinato l’asilo. Hanno rubato medicinali e tutto quello che conteneva.

Si sa benissimo che in questi luoghi basta poco perché ciò che si è costruito sia distrutto e si è costretti ad andarsene. Ciò che conta sono sicuramente le opere, ma ancora di più conta il legame che s’instaura con le persone che condividono le scelte fatte. Anche se si è costretti ad andarsene la gente del luogo continuerà a proseguire l’opera con la stessa idea e la medesima energia. Questa è la grandezza dell’incontro. S’incontra l’uomo che ha gli stessi tuoi desideri.

In Nigeria abbiamo costruito una scuola in un villaggio di persone venute dal golfo del Benin. Vivevano su palafitte sopra ad una fogna a cielo aperto. In una stanza c’erano i maiali e le galline, in un’altra i bambini e la cucina fuori. Non c’era acqua né corrente elettrica. C’era poi una piccola scuola in canne di bambù, gestita da nostri amici. I bambini arrivavano in grembiulino azzurro, scarpe, erano ben lavati e pettinati. Era impressionante la dignità con cui andavano a scuola. Abbiamo costruito una nuova scuola più vicina alla città, frequentata da quattrocentocinquanta bambini. Questo perché crediamo che la possibilità di sviluppo di un popolo passa dall’educazione. In tutte le persone che incontriamo vediamo il desiderio di crescere. La scuola è importante e abbiamo deciso di far pagare un’inezia perché queste persone siano educate: godere di qualcosa di bello deve essere frutto di un sacrificio.


Sono andato a Salvador de Baia, in Brasile, dove la trasformazione della realtà operata dai nostri amici è estasiante. A Rio de Janeiro, a poche centinaia di metri da Copa Cabana, c’è la nostra amica Paola che vive nella favela e gestisce un asilo. Il tassista che ci accompagnava ci ha raccomandato di toglierci tutti gli oggetti d’oro e gli orologi, per non essere derubati. Paola ci ha mostrato l’asilo, che è molto bello, abbiamo parlato con i bambini. Giunto il momento di lasciarci Paola ci ha voluti accompagnare a piedi. Notata la nostra perplessità ci ha rassicurati dicendoci che la gente della favela sapeva benissimo l’opera lì svolta. Tutti quelli che incontravamo la salutavano con gran rispetto.

In Uganda, la nostra amica Rose, a seguito del tifone Katrina, ha promosso una raccolta di fondi. Rose è in contatto con donne che come lavoro spaccano pietre per produrre ghiaia. Guadagnano 0,80 euro il giorno. Rose ha letto il volantino di Avsi, ma non ha avuto il coraggio di chiedere loro un contributo. Qualche giorno dopo queste donne si sono presentate da Rose con qualche dollaro, frutto di qualche giorno di lavoro, dicendo che quello era il loro contributo per le famiglie colpite dallo tsunami. Questo episodio significa che la carità fa parte della vita di ciascuno di noi. Rispondere a questa chiamata corrisponde a costruire la nostra vita.

Una persona come me, con otto figli e con un lavoro abbastanza gravoso, sceglie di dedicare alcuni giorni per gli altri, semplicemente perché ha incontrato qualcuno che gli ha voluto bene e che ha avuto su di lui uno sguardo di carità. Per me fare carità è soprattutto fare del bene a me stesso, è costruire la mia vita. Mia moglie, a chi le chiede cosa guadagni lei da tutto questo, risponde che guadagna un marito contento. Questo è quello che ci permette di andare ovunque nel mondo e riconoscere dei fratelli. E’ l’esperienza cristiana: Cristo nasce per condividere il nostro destino e noi, a nostra volta, per quello che siamo, possiamo condividere il destino degli altri. Non sempre ho voglia di prendere un aereo e partire, ma quando torno penso sempre a quando sarà la prossima volta. Fare ciò per cui siamo fatti realizza la nostra vita e ci avvicina sempre più al Mistero che ci ha incontrati e ci costringe a d essere desti.

Natale Colombo (Usmate). Mi ha colpito come tu, con una famiglia numerosa e la responsabilità di educare otto figli, abbia potuto raccontare con serenità l’esperienza di carità che stai vivendo.

Raimondo Gandolla. La serenità mi viene dal fatto che non sono io a fare le cose, posso contribuirvi assieme agli amici, ma chi costruisce veramente è Dio Padre. Non ho grandi pretese su ciò che faccio, ma vedo che quello che porto a termine è usato bene da altri. La mia famiglia condivide la mia scelta e i miei figli imparano che nella vita ci sono anche gli altri. Anche se sono spesso lontano da casa so cosa vivono i miei figli, perché mia moglie me lo racconta e perché ho un gesto di preferenza verso ognuno di loro. Uso per me il metodo di dire sempre di sì, anche perché credo che Dio tenga conto di questo.

Don Giancarlo. Teologicamente è la questione del merito. Momenti, gesti, in cui la coscienza è più viva, nella percezione del valore del particolare in relazione al Destino.
Mentre ascoltavo Raimondo ho avvertito una pace solida. La solidità di chi appartiene. Gesù, parlando di sé, usava la metafora della casa costruita sulla roccia. Di fronte a tutto la roccia sta.


OMELIA S. Messa


Provate ad immaginare cosa si mette nel cuore dell’uomo, nella coscienza del singolo, quando, carismaticamente, per quel dono che viene dall’alto, il dono dello Spirito, uno vive quello che la vita gli sta chiedendo in quel momento con questa autocoscienza: “Lo Spirito è su di me, per questo mi manda a portare il lieto annuncio ai bisognosi, desiderosi di libertà, di verità, di pace”. Accade che non si sa più cosa sia la banalità. In quel momento si vive l’essenziale nella sua pregnanza e con un trasporto di cuore, una coscienza profondissima di intenti, al punto che calibra parola per parola. La parola in quel momento è veicolo del divino, cioè della verità che l’interlocutore ascolta e percepisce come la bella notizia, la novità di cui il suo cuore ha bisogno. La chiesa nel mondo o è questo o è un’aggregazione sociologica, identica a tutte le altre. Non migliore dal punto di vista morale. Sul fronte della sua diversità c’è il crollo, perché non ha più nulla di nuovo, di originale, da dire.

Per grazia di Dio la Chiesa è garantita dallo Spirito. Col Battesimo siamo diventati creature nuove. La novità non è la nostra biologia, o la nostra fisiologia. La novità è la sua presenza. Siamo dimora di Lui che vive in noi. Il mio io c’è ancora, ma è un io prestato, usato dal Signore per comunicarsi e per donare ciò che Lui è, attraverso di noi. L’impressione di pace solida, di cui ho parlato al termine della testimonianza di Raimondo, è la percezione, l’effetto, di chi ha comunicato con semplicità la sua esperienza. E’ la potenza dello Spirito che illumina, affascina, soggioga, edifica, risveglia energie al punto da far nascere delle domande. “Io, cosa posso fare?”. Nel Vangelo, Giovanni è descritto come voce di uno che grida nel deserto. Lo Spirito gli ha dato l’impulso e vive così la sua vita. Ci sono folle che lo interrogano dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”

La folla è massa anonima, facilmente preda di altri, manipolata e usata da altri. Poi c’è qualcosa di diverso. Dentro la folla ci sono categorie di persone, i pubblicani, i soldati. Vanno da Lui per ricevere il battesimo di purificazione e chiedono: “Cosa dobbiamo fare?” Poi la novità: il popolo era in attesa. Il popolo è ben diverso dalla folla. E’ un insieme di persone ricche di identità e guidate da un’autorità. Tutti in cuor loro si domandavano, riguardo a Giovanni, l’uomo basato sullo Spirito, l’uomo che operava e parlava sotto l’azione dello Spirito, se non fosse lui il Cristo. Giovanni continuava con molte esortazioni, a dare risposte e annunciava al popolo la novità.

Vorrei che l’attesa di cui qui si parla, diventi la caratterizzazione di questi otto giorni che ci separano dall’evento del Natale. Il Natale è data storica, di qualcosa accaduto duemila anni fa, ma è anche un evento di Kayros, cioè un evento gratuito che viene dall’alto, irrompe nella vita e la cambia. La Chiesa, che vive l’attesa del Kayros, gioisce, esulta.

Rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme. Alleluia. Viene in mezzo a noi il Dio della gioia. Gridate, giulivi ed esultanti, abitanti, perché grande è in mezzo a voi è il Signore d’Israele.

La lettera ai Filippesi: Rallegratevi nel Signore, sempre. Ve lo ripeto, rallegratevi.
Seguendo queste parole dimostriamo di essere intelligenti, ragionevoli, acuti, liberi e profondi, perché quello che detta la posizione del cuore non è il contesto sociologico, esistenziale. E’ l’avvenimento del Signore che è con noi. Isaia, già sette secoli prima del suo accadere, dice:

“Il Signore, tuo Dio, è in mezzo a te. E’ un Salvatore potente. Ti rinnoverà nel profondo, con il suo amore. Si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa”.

Anche Paolo esorta: “Non angustiatevi per nulla. In ogni frangente esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringraziamenti”.

Proteggendoci sotto l’egida di quest’avvenimento, saremo resi dei granelli resistenti, capaci di trasfigurazione e di dono di sé. Nel volantone di Natale è riprodotta la natività di Giotto della cappella degli Scrovegni di Padova, possiamo fermare la nostra attenzione sulle braccia e le mani avvolgenti il Bambino e come i loro sguardi si compenetrino. Vi sono anche riportate le parole di Benedetto XVI: “Dio non ci lascia brancolare nel buio.

Si è mostrato come uomo. E’ tanto grande da potersi permettere di diventare piccolissimo. Dio ha assunto un volto umano. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della propria esistenza”. E’ solo di colui che può tutto, rinunciare alla sua onnipotenza, per amore. Don Giussani parte dall’uomo: “Cristo arriva proprio qui, al mio atteggiamento di uomo, di uno cioè che aspetta qualcosa perché si sente tutto mancante; si è messo insieme a me, si è proposto al mio bisogno originale”. Il bisogno originale dell’uomo, del suo cuore è il desiderio di totalità, desiderio di felicità.
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