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Febbraio: Incontro Mensile

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INCONTRO DI FEBBRAIO 2005


Natale (Usmate). Iniziamo il nostro incontro con la preghiera per ringraziare Dio di essere qui, attenti ai fatti e al cammino della nostra vita. Grazie all’incontro con Cristo abbiamo potuto dare un significato al dolore che ci ha colpiti e che avrebbe potuto finire in tragedia.

Don Giancarlo. Iniziamo la Quaresima pregando con l’Angelus.
Il prevalere della parola, anche se utile e frequentemente commosso, può far correre il pericolo di scivolare nel teorico. Per caricare la vita di tensione ed inquietudine, non quella delle prove ma dell’amore, si prega chiedendo aiuto. L’inquietudine dell’amore porta con sé il desiderio di un continuo rinnovamento. Tale inquietudine ha mosso Gesù, i Santi e muove gli uomini più veri. I Santi, infatti, sono coloro che tendono alla verità di loro stessi nel rapporto con Lui che è il Santo. Abbiamo bisogno anche noi di domandare questa tensione che fa spendere la vita per Lui che l’ha donata per noi e per i fratelli.
L’11 febbraio è l’anniversario dell’apparizione della Madonna a Lourdes (1858) circa quattro anni dopo la proclamazione da parte di Pio IX del dogma dell’Immacolata Concezione. Maria, per circa quindici giorni, è apparsa a S. Bernardette, ragazzina analfabeta di grande semplicità di cuore. Maria le rivela di essere l’Immacolata Concezione. La Chiesa è chiamata ad essere pura e santa al cospetto di Cristo e trova in lei la risorsa e il modello di riferimento.
L’11 febbraio è anche la giornata mondiale dell’ammalato che quest’anno è stata accompagnata dal messaggio in favore dell’Africa, il Continente alla deriva perché dimenticato. Il Continente è da decenni preda delle cose più atroci: Aids, siccità, guerre.
Per me è anche giorno di gratitudine perché 25 anni fa la Santa Sede ha riconosciuto la Fraternità del Movimento di Comunione e Liberazione. Negli anni sessanta ho avuto la grazia di incontrare don Giussani che, da allora, è sempre stato punto di riferimento per la mia vita sacerdotale e per il mio cammino esistenziale.

Dalla seconda lettera di S. Paolo ai Corinti

“Fratelli, tutto questo viene da Dio che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. E’ stato Dio, infatti, a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione. Noi fungiamo quindi da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio! Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di Lui giustizia di Dio. Poiché siamo suoi collaboratori vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio. Egli dice, infatti: “Nel tempo favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso”. Ecco ora il momento favorevole ecco ora il giorno della salvezza.”

Natale (Usmate). Riprendiamo il nostro incontro portando il saluto delle persone che non sono presenti tra noi a causa di malattia. Nicoletta ci ha chiamati telefonicamente dicendoci che è sempre presente col cuore ed è contenta di avere questi amici attraverso i quali trova il coraggio di affrontare la sua malattia. Lasciamo subito spazio agli interventi.

Valentina (Milano). Oggi è l’anniversario di morte di mio figlio Alessandro. Quando ripenso al mio cammino, non posso far altro che lodare il Signore perché, dopo anni di passione in cui mi pareva di essere annientata, mi ha fatto incontrare questo gruppo. Oggi posso dire di avere una fede più profonda; rifletto sulle promesse di Cristo e sono certa che si avvereranno. Vivo con serenità ogni giorno affidandomi sempre a Lui e chiedendo di poter fare ogni giorno qualcosa per Lui. Non mi affanno più per il domani. Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini con pazienza, soprattutto don Giancarlo che ha speso sempre il suo tempo e le sue energie.
Don Giancarlo. La pace del cuore non è alternativa all’inquietudine dell’amore. È alternativa al turbamento delle sofferenze. Non siamo di fronte a due poli che si respingono. Ciò che Valentina ci testimonia è possibile per tutti. E’ la promessa che, da duemila anni, la Chiesa continua ad annunciare. La pace del cuore è una grazia da domandare ripetutamente. Non ci si deve scoraggiare se non è ancora profondamente radicata in noi. Il capitolo da meditare, attraverso la parola del presidente di Famiglie per l’Accoglienza che aveva invitato don Giussani a guidare una loro assemblea, esordisce con queste parole:
“Come mai tu così spesso richiami a tutto il movimento l’esperienza delle Famiglie per l’Accoglienza, i cui connotati oggettivi non sono poi così rilevanti: siamo appena duemila famiglie!” Don Giussani risponde: “Ne basterebbe una! Dio, per redimere l’umanità, ha iniziato da uno, Abramo. Poi è partito da uno, suo Figlio.”

Giancarlo (Milano). Oggi, nel fare una dedica, mi sono venute spontanee queste parole: “Grazie Signore perché nel Tuo amore si placa la nostalgia del nostro Alessandro”.
Non sapevo cosa avrebbe testimoniato oggi Valentina. C’è in ogni modo una sintonia di fede che ci aiuta molto. Questo cammino ci ha portati a non chiuderci in noi stessi ma, al contrario, ad aprire al massimo il nostro cuore, per renderlo ancora gioioso e sereno. Il Signore ci ha dato la grazia di ricostruire la nostra vita in un altro modo. Se prima vivevamo una dimensione molto terrena, la vicenda di nostro figlio ci ha aperto verso la dimensione dell’altezza, dell’eternità. La storia di tutti noi deve farci vivere il pensiero dell’eternità, cioè il momento in cui Dio prenderà tutti tra le sue braccia, ci riporrà tra le braccia dei nostri figli. E’ molto consolante, per me e Valentina, pensare che Dio sta amando il nostro Alessandro più di quanto avremmo potuto amarlo noi.

Matteo (Busto A.). Leggendo il libro sul quale stiamo riflettendo, mi ha colpito questa frase: “Se hai bisogno di aiuto cerca la persona giusta”.
Quando è morto Michele eravamo disperati. Un giorno, andando al cimitero, abbiamo incontrato don Giancarlo. Anche se non lo conoscevo, mi sono avvicinato e ho chiesto il suo aiuto, perché avevo bisogno di continuare a vivere e ad avere più certezze. Ho visto la luce, mi sembrava di avere davanti Cristo. Sono stato invitato a partecipare alla scuola di comunità e, da allora, l’ho sempre ringraziato. Avevamo incontrato altri sacerdoti ma nessuno ha saputo darci le risposte che ci ha dato don Giancarlo.

Sandro. Don Giancarlo mi ha ricordato don Giussani che avevo incontrato negli anni ’70. Mi ha lasciato una frase: “Le difficoltà non sono una obiezione ma una condizione del vivere”. L’ho accostata alla frase del Papa, detta in occasione del maremoto nel sud-est asiatico: “Nell’ora più triste Dio è accanto a noi”.
Per chi come noi ha subito prove così tremende non sono frasi facili da capire. Ognuno di noi è amato da Dio come se fosse l’unico che Dio ha da amare. E’ solo la grazia che può farci comprendere questo. Ringrazio di ciò don Giancarlo e questa compagnia di amici.

Don Giancarlo. Mi sembra opportuno chiarire il rapporto tra condizione e obiezione perché le difficoltà nascono quando non è più ben definita la linea di demarcazione tra l’obiezione che nasce dal sentirsi vittime ingiustamente colpite e la condizione che educa alla pazienza. La pazienza infatti è una modalità di patire che ci vede legati a Gesù vincitore del male. Le difficoltà della vita sono l’espressione del male che, dopo il peccato originale, è diventato la dominante della vita dell’uomo e, di conseguenza, l’obiezione alla possibilità della felicità.
Nella pazienza si impara ad offrire. Il discepolo prega: “Mi affido a Te, o Signore, perché tu sai leggere l’esistenza in modo più profondo di me e hai una lungimiranza di sguardo che va oltre le apparenze.” Da qui nasce l’atteggiamento di offerta. Così ha fatto anche Gesù nel Getzemani. Nella sofferenza della solitudine ha chiesto di fare la volontà del Padre e non la sua. Il discepolo, attraverso la pazienza, impara a dipendere dal disegno di Dio e ad affidarsi a Lui.
Con Gesù il male ha cessato di essere una obiezione perché, attraverso di Lui, Dio se ne è fatto carico e l’ha redento. Finché non ci si immedesima in tale fatto non si può cambiare. Questo vale in tutte le situazioni. In Gesù il male è diventato anche fonte di benedizione. Da Lui l’uomo discepolo può imparare ad assumere uno sguardo nuovo sulla realtà e fare la scoperta che il male non è più obiezione ma fonte di purificazione e di maturazione.

Giorgio (Milano). Mi sembra che il tuo discorso sia una sintesi teologica, spirituale e umana del nostro gruppo. Io vedo i volti dei presenti più sereni. Il nostro cammino di fede, il nostro cambiamento è una dimostrazione che quello che hai detto si realizza.
Forse quello che hai detto è difficile da capire; ma lo viviamo. Con l’aiuto del Signore si riesce a passare da una posizione di angoscia di molte persone a un’altra di cammino educativo in cui ci si affida al suo disegno e alla sua grazia. Questo affidarsi porta a un cambiamento profondo. Il coraggio, la forza, la serenità che proviamo non vale solo per noi ma per tutti. Il Signore ha salvato noi perché potessimo aiutare altri a salvarsi.

Giuseppe (Cormano). Spesso capita di vivere alcuni momenti della propria vita in modo tumultuoso. C’è poi la necessità di riflessione. Con Natale siamo andati una settimana a sciare. Per questi bei momenti ho ringraziato il Signore. Mi ritorna alla mente l’esperienza vissuta insieme a 2900 metri in un panorama mozzafiato. Lì abbiamo riconosciuto e goduto la grandezza di Dio. Ho preso coscienza che stavo sciando con un amico sincero che mi aveva guidato negli ultimi 6 anni a superare i momenti più bui dopo essere venuto a bussare alla porta di casa mia dicendomi: “Anch’io ho avuto il tuo stesso problema”.
Questa è l’opera di Famiglie in Cammino: aiutarci l’un l’altro, attraverso la fede, a capire che i nostri figli non li abbiamo persi per sempre ma sono sempre presenti nel nostro cuore e ci stanno aspettando nel regno che si manifesterà.

Anna (Busto A.). Ho ripensato a una frase di S. Paolo che mi colpisce sempre: “Vi supplico, lasciatevi riconciliare con Dio”. La pace del cuore che tutti desideriamo è una difficile conquista perchè si imbatte in molti ostacoli. S. Paolo ci invita a convertirci alla logica della riconciliazione donataci da Gesù che contiene il senso di quanto ci è capitato.
Che cosa dobbiamo fare perché tale logica generi o faccia crescere dentro di noi la disponibilità a riconciliarci con Dio e a raggiungere la pace desiderata? La pace è frutto dell’accettazione della volontà di Dio e aiuta a capire che il nostro dolore trasfigurato può essere di aiuto per altri. Credo che questo sia da chiedere sempre per non vivere un dolore acerbo e senza frutto.

Flora (Usmate). Negli anni scorsi Natale andava a fare le settimane bianche. Io ero sempre contraria perché mi sembrava una cosa senza un grande significato. Quest’anno si è scelta un’altra formula. Siamo andati a trovare la nostra amica Simonetta che ci ha chiesto di fare la settimana bianca in Valle d’Aosta dove loro hanno la casa. Abbiamo trovato un monolocale che con Giuseppe e Tina abbiamo affittato. La bella convivenza con Simonetta, Gilberto e i ragazzi mi ha rappacificata nell’ottica di cui parlava Anna.
Sul nostro testo, a pag. 72 si trova questo passo: “C’è anche una situazione di fatto, di tantissima gente che ci incontra e vuole coinvolgersi nei nostri gesti”. Don Giussani dice: “Poniamo che nella vostra Associazione ci siano centotre famiglie per l’accoglienza in trentaquattro città. In queste trentaquattro città c’è gente che, vedendo la fatica che fate, dice: “Voglio collaborare anch’io alla vostra fatica, perciò vi stendo i panni io oppure vi faccio la spesa io tutti i giorni. Questa è una partecipazione reale, se è cosciente, alla virtù dell’accoglienza perché il motivo per cui queste persone si offrono è quello di favorire in voi l’avvenimento in cui vi siete imbarcati, di cui avete accettato di correre il rischio”.
Questo modo di collaborare, di partecipare, è un aiuto diverso dall’accogliere una persona nella propria casa, ma è comunque partecipare alla fatica, allo spirito dell’accoglienza. Prego il Signore di poter partecipare anch’io ad un gesto di accoglienza, nella forma e nei tempi che lui vorrà per me.

Don Giancarlo. Il discepolo è colui che si ispira al maestro e cerca di uniformarsi a lui nello sguardo degli occhi e nel comportamento. Il discepolo, nel tempo, dentro la pazienza arriva a trovarsi così riconciliato con la vita e con se stesso da sentirsi in pace. Le ferite cicatrizzate di tanto in tanto si riaprono. A tutte le persone che vivono nel tunnel suggerisco di sollevare lo sguardo per intravedere la fine di esso. La luce la si può vedere in qualcuno che la riverbera.
Giovanni il Battista, sulla riva del Giordano, indica Gesù come l’Agnello di Dio, incaricato di togliere il peccato dell’umanità. Anche Giovanni aveva i suoi discepoli. A due di essi, Giovanni l’evangelista e Andrea, ha indicato Gesù, che, accorgendosi di essere seguito, chiese loro: “Chi cercate?” A loro volta gli chiesero: “Dove abiti?” e Gesù rispose: “Venite e vedete”. Essi lo seguirono e rimasero con loro qualche ora. Il giorno dopo andarono di nuovo a cercarlo. In seguito parlarono di lui ad altri conoscenti ed amici che dettero loro fiducia e incominciarono a coinvolgersi con Gesù. Dopo tre anni di convivenza li ha invitati ad andare in tutto il mondo.
È in una convivenza che si capisce il valore e la grandezza degli altri. È quello che fanno i bambini che imparano a diventare grandi stando con i genitori.
Gesù ha proposto ai discepoli un’amicizia che è divenuta per loro scuola di vita. Rafforzati dalla sovrabbondanza di vita che li aveva cambiati, sono partiti per la missione nel mondo.
La logica dell’esistenza è ricevere per dare. Oggi è emerso questo. Le testimonianze di molti hanno messo in risalto ciò che essi hanno ricevuto. Anna ha parlato di una fecondità spirituale da vivere: non limitarsi ad accettare il dolore acerbo ma aprirsi a quello fecondato dalla grazia che suscita cambiamento, speranza e pace. Il primo passo non è la pace bensì la speranza. Il secondo passo è la tenacia. Altri sono l’offerta di sé al Padre e il dono di sé agli uomini. La pace ne è il risultato.
Sul nostro testo abbiamo letto il capitolo L’Imitazione di Cristo in cui don Giussani parla del discepolo che imita il maestro nell’esperienza dell’amore di carità. I suoi interlocutori non sono solo le “Famiglie per l’Accoglienza” ma anche noi che ci rendiamo disponibili all’accoglienza di famiglie provate dal dolore per la morte dei figli. La carità è la regola che deve investire tutti gli aspetti della vita. La sua manifestazione più acuta è l’accoglienza che implica la disponibilità a dilatare il proprio cuore fino a farsi carico della totalità della vita dell’altro. L’accoglienza è l’abbraccio dell’intera esistenza dell’altro non per i suoi meriti o per i suoi bisogni ma per amore al suo destino. L’accoglienza è quella che la natura fa vivere ad un papà e ad una mamma nei confronti dei propri figli. Ciò che sostiene la mamma e il papà, anche nel momento della ribellione del figlio, non è l’amore del calcolo ma quello di chi è appassionato alla verità e alla realizzazione del figlio.
Nella visione laica il massimo dell’amore o del rispetto è: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”. nella vita del discepolo la soglia è un’altra: “Ama l’altro come te stesso”. Ama l’altro come lo ama Dio. Vivi l’amore come l’amore regola la vita della Trinità.
“L’accoglienza realizza la virtù della carità al sommo grado. In essa si riverbera l’amore della Trinità, accoglienza infinita, totalizzante all’infinito e infinitamente gratuita…Non c’entra che le Famiglie per l’accoglienza siano duemila, se fosse una sola la citerei come esempio.
Non è importante quanti siano i discepoli. È importante cogliere la natura del discepolo che è quella di essere rigenerato dalla convivenza con il Maestro.
Gesù, al ladro Zaccheo, non ha chiesto di restituire ciò che aveva rubato o di non rubare più. Ha detto: “Vengo a casa tua, cioè sto con te”. L’accoglienza è “stare con”. Per questo il moralismo è l’anticristianesimo per eccellenza. Il cristianesimo non nasce come predicazione di virtù ma come accoglienza di una presenza. Se tu accogli questa presenza sei costretto a piegarti e a plasmarti secondo certe virtù altrimenti non la accogli.” (pag. 67-68). La condizione per vivere la carità come regola di vita non è la moralità come coerenza bensì come apertura del cuore alla presenza di Gesù che ti ama. Zaccheo è cambiato perché ha accolto il segno dell’amore di Gesù.
Non è in gioco la durata dell’accoglienza ma la sua qualità di amore gratuito e totalizzante. L’accoglienza può durare un minuto come può durare qualche anno (nel caso dell’affido) o durare tutta la vita (nel caso dell’adozione).
“L’amore è totalizzante quando uno accoglie l’altro secondo la totalità del suo essere, del suo esistere, per ciò vive la carità che Dio ha con lui, la carità di Dio verso di lui, l’amore di Dio a lui, l’accettarlo e sostenerlo in tutto quello che vive, in tutti i momenti della sua vita. Insomma, quello che caratterizza l’accoglienza come valore è la totalità.” (pag. 68). Ciò che conta non è il tempo ma è il cuore con cui si accoglie. Se la misura è l’imitazione di Dio, come Gesù ce lo ha fatto conoscere, allora c’è un’esaltazione dell’umano.
Se continueremo a stare insieme ci sarà continuamente elargita questa grazia. In mezzo a noi ci sarà sempre qualcuno capace di stupirci e di sorprenderci per la sua testimonianza di accoglienza. Siamo incamminati su questa strada. Per questo, pur nella disgrazia, abbiamo incominciato ad accogliere altri che non avremmo mai conosciuto se non ci fosse stata la perdita del figlio. Qualcuno ha addirittura accolto figli non suoi, come Gilberto e Simonetta.
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