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Aprile: Incontro mensile

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INCONTRO DI APRILE 2005
 


Natale Colombo (Usmate). Saluto tutti. Il nostro incontro mensile avviene nel periodo segnato dalla morte del Santo Padre a due mesi di distanza dalla del nostro amato don Giussani. Incominciamo con la preghiera.

Don Giancarlo. Sul libro dei canti c’è una frase di Lidia: La vita è cielo, mare, monti e pianure. Case, alberi, valori umani, stelle, sole e vento. E noi siamo fatti per questo Infinito che c’è.
Noi siamo fatti per questo Infinito che si è rivelato, si è fatto carne ed è qui con noi. Nella dipendenza filiale da questo Infinito ciascuno di noi ha un suo timbro per percepire, gustare e soffrire la vita e la realtà. Nella vita il gioire e il soffrire non sono mai disgiunti. Non c’è gioia senza dolore e non c’è dolore privo di apertura alla dimensione della gioia.

Canto: Il disegno

Non tutti riconoscono, accettano e vivono i contenuti di questo canto. La vera libertà sta nell’ aderire al disegno che l’Infinito ha su ciascuno di noi. Gli uomini che concepiscono e vivono così la loro libertà sono uomini nuovi. Gesù ha cominciato a generarli quando viveva in Palestina continua a generarne. Noi siamo tra questi privilegiati.
In questi ultimi giorni, con la commozione e lo stupore che sempre accompagnano certi miracoli, sono stato testimone di alcune conversioni di giovani e di adulti. Erano lontani da Cristo e dalla Chiesa. La testimonianza del Papa ammalato e ciò che ha fatto da corona alla sua morte hanno favorito il loro riavvicinamento alla Chiesa.

Canto: Hombres nuevos

Gli uomini nuovi sono quelli che guardano la realtà, la vita e la storia con il cuore di chi sa amare e donarsi. Gli uomini nuovi vivono la sfida permanentemente.

Preghiera di Famiglie in cammino

Riscopriamo due passaggi: ciascuno dei vostri ragazzi vi è più vicino di prima anche se in modo diverso da prima. Adesso può guardare e provvedere ai suoi cari con uno sguardo più vero di quello che aveva da vivo. E’ lo sguardo di Cristo che lo ha preso con sé, è lo sguardo del Padre che ha purificato e reso più autentico il suo modo di guardare i genitori. “Adesso ci sei vicino in modo diverso da prima ma infinitamente più di prima. Adesso ci guardi con la stessa pietà e con lo stesso cuore di Colui in cui sei”. L’amen è l’affermazione gioiosa della speranza: è così! Voglio crederci perché tu hai suscitato in me la fiducia in Te!

Sandro: Nell’87 il Papa è venuto a Vengono, il mio paese. Avevo portato un foulard di Solidarnosc e, quando il Papa mi è passato vicino, l’ho sventolato. Il Papa mi ha guardato. Ho avuto poi la grazia di incontrarlo altre due volte a Roma. In aula Nervi ho potuto dirgli che mi trovavo a Roma per delle cure particolari per mio figlio. Il Papa mi ha risposto: “Prego con te. La sofferenza di Vittorio è preghiera”. Il Papa si è unito a questa preghiera.
Ho riletto varie volte l’omelia di Ratzinger. Mi sono soffermato sul passaggio: “Giovanni Paolo è entrato sempre più nella comunione della sofferenza di Cristo continuando ad annunciare il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine”. La nostra sofferenza è preghiera alla quale il Papa si unisce.

Don Giancarlo. Nel mese di marzo, all’Angelus, il Papa ha pronunciato queste parole: “Continuiamo insieme la preparazione alla Pasqua offrendo a Dio anche la sofferenza per il bene dell’umanità e per la nostra purificazione. Nell’odierna pagina evangelica Cristo, guarendo il cieco nato, si presenta come la luce del mondo. Egli è venuto per aprire gli occhi dell’uomo alla luce della fede. Sì, carissimi, la fede è luce che guida nel cammino della vita, è fiamma che conforta nei momenti difficili”.

Savina D’Incognito (Milano). Ho letto l’omelia di Ratzinger. L’ho trovata bellissima scoprendo sempre qualcosa di nuovo e di diretto a me. Mi è sembrata attinente al mio cammino partito da una grande sofferenza. Mi hanno fatto riflettere le parole: “Seguimi. Alzati e andiamo”. Mi hanno portato a fare una verifica del mio percorso. Era come se Gesù mi dicesse di non stancarmi di cercarlo, di non perdermi nella banalità delle cose ripetute quotidianamente, di non preoccuparmi per i miei sbagli, di ricordarmi della sua misericordia. Vorrei accogliere quest’invito e camminare testimoniando sempre Cristo, con l’aiuto e la forza che posso attingere dall’Eucaristia. Cerco l’Eucaristia anche come antidoto alle difficoltà che incontro.

Marisa Crolla (Busto A.). Sono stata a Roma e ho visto per la prima volta il Papa davanti a me. Dieci ore di cammino tra la gente più disparata. Ho perso il gruppo degli amici e mi sono trovata tra persone sconosciute che parlavano le lingue più diverse. Ho avuto un attimo di smarrimento e mi sono chiesta il perché fossi lì, in mezzo a quella babele. Mi sono poi subito ricreduta sulla parola “babele”. Cristo da’ la possibilità agli Apostoli di parlare a tutti, anche se non conoscevano le altre lingue. Il motivo per cui ero lì, e che mi ha unito a quelle persone, era andare a dire grazie al Papa. Grazie anche per quello che avevo da poco letto sul suo ultimo libro dove dice, parlando delle sue esperienze della guerra, che il mistero grande che è il Signore può trarre dal male il bene. Questo è il mistero: vedere il male che ci circonda e che è anche in noi, per trarne il bene.

Don Giancarlo. Ricordiamo che la parola mistero non indica qualcosa di inconoscibile. La parola mistero indica segno, manifestazione. Mistero è ciò che viene svelato, ciò che si può incontrare, ciò di cui si può fare esperienza. Per questo affascina e educa. Per quanto concerne l’origine, Dio, rimane arcano. In una condizione di sofferenza, di prova, di limite è importante sapere che qualcuno mi insegna a trovare, anche dentro il male, una possibilità di bene, di crescita. Come questo avvenga è cosa secondaria, che può essere lasciata ai filosofi.

Natale Colombo (Usmate). Il Paradiso c’è, l’importante è che io viva adesso e che tutto quello che faccio mi corrisponda a livello di cuore e mi dia la possibilità di affrontare ogni situazione in modo positivo, umano. Questo è quello che ci ha dimostrato il Papa nella sua sofferenza. Anche se era ben visibile il declino umano, l’entusiasmo non è mai venuto a mancare, anche nell’ultima volta che si è affacciato alla finestra.

Don Giancarlo. Quell’ultima volta il Papa si è mostrato nella sua fragilità e debolezza estrema. Si è reso conto di non poter più parlare e si è fermato. Si è fermato a guardare, la mano non più vigorosa ha impartito la benedizione. Con quel gesto ha comunicato tutta la sua fede che ha portato a conversioni. Il massimo della debolezza è diventato il massimo della potenza.
Il massimo della perdita, allo sguardo dell’uomo nuovo, diventa il massimo del guadagno. Sia il Papa sia i vostri figli, oggi, possono più di quanto potevano quando erano al nostro fianco. Il mutuo soccorso è più forte adesso di prima.

Vito D’Incognito (Milano). Ho il rimpianto di aver conosciuto il Santo Padre solo da quando è morto Leonardo. Ricordo la gioia del pellegrinaggio del ’98 che ci ha portati in piazza S. Pietro a vivere insieme quel momento. Negli ultimi giorni di vita del S. Padre ho vissuto una partecipazione al dolore come fosse quello per una persona cara. Allo stesso tempo ho provato gratitudine per l’immenso dono che Dio ci ha fatto attraverso la vita e l’esempio del Santo Padre. La cosa che più mi ha colpito è stato il dono di sé, l’accettazione della sofferenza fino alla fine. L’amore per l’altro: i poveri, i piccoli, i diversi, per le persone lontane dalla fede. Abbiamo potuto vedere la partecipazione di persone appartenenti ad altre religioni che sembravano voler ricambiare l’amore che il Papa ha dato a tutti.
Quello che sicuramente porterò nel cuore è la sua accoglienza al diverso.

Maria Belcaster (Milano). Il Papa ha vissuto per la chiesa e per noi. Il suo esempio, le parole che da lui abbiamo ascoltato, per me rappresentano una manciata di semi buttata in un terreno arido. Piano piano i frutti si evidenziano e speriamo che accada questo anche nel futuro. Da lui abbiamo imparato che le cose più importanti stanno dentro il nostro cuore. Dal Papa possiamo imparare il perdono, la sua forza è stata anche il perdonare colui che aveva tentato di ucciderlo. Speriamo che i semi germoglino e portino la pace in tutti i cuori.

Matteo La Pescara (Busto A.). Mia moglie ed io abbiamo incontrato il Papa a Roma. Il Papa è stato un buon pastore. Già dai primi tempi del suo pontificato è andato a cercare gli uomini di tutto il mondo senza alcuna distinzione. Quello che abbiamo visto accadere a Roma è stata la risposta del mondo al buon pastore.

Don Giancarlo. E’ impressionante l’ accelerazione pastorale ed evangelizzatrice che il Santo Padre ha introdotto nel suo pontificato. E’ stato capace di usare tutti i moderni mezzi della comunicazione e deli viaggiare per incontrare quanti più popoli poteva. E’ stato il buon pastore che si è messo in cammino per incontrare i figli, sempre aperto a tutti.
Domani sera, a Gorla, ci sarà una rappresentazione teatrale dal nome ebraico Bereshit che significa “In principio eravamo tutti figli di Dio”. La compagnia teatrale si chiama “Dell’arcobaleno” ed è stata promossa da Angelica, una donna ebrea, discepola di Toaf rabbino di Roma, che ventotto anni fa ha deciso di vivere in un kibbutz al confine tra Israele e il Libano. Lì ha fondato una scuola. Ha intuito che la condizione per portare il suo popolo alla pace è l’ educazione dell’umano. Ha quindi fondato una scuola frequentata da mussulmani, ebrei e cristiani. Una giornalista di Busto, al termine della serata, l’ha ringraziata e le ha fatto notare di aver ripetuto nei suoi interventi il monito: “Alzatevi”, un verbo caro anche al Papa: “Non avere paura, alzati!”. Angelica si è stupita e rallegrata per questa coincidenza sintonica che accomuna le Tradizioni ebraica e cristiana.
In questa compagnia teatrale recitano ragazzi ebrei e israeliani che hanno perso i loro amici in atti di terrorismo. Questi ragazzi dimostrano come il diverso non è obiezione, ma tutti, in principio, abbiamo la comune natura di figli.
Il Papa lo ha detto nella sua agonia: “Ditelo ai giovani. Il Papa è venuto a cercarvi; voi siete venuti a trovarlo, grazie”. Il buon pastore, il testimone che comunica la sovrabbondanza del cuore, ha come regola di vita il dono di sè. Il movimento di tutto quel popolo che ha invaso Roma è espressione di riconoscenza.

Giorgio Macchi (Varese). La difficoltà più grande che sperimento è di dare tutto. Dentro di me sento una forza egoistica che mi frena e mi porta a pensare che, non dando tutto, posso ottenere per me più felicità. Rifletto su questo perché sono stato colpito dal Papa che si esprime con un Totus tuus. Sono stato altrettanto colpito dalla vita di don Giussani. Nell’immagine che ci è stata data in occasione dei funerali è riportata la frase: “Nella semplicità del mio cuore ti ho dato tutto”.
Queste grandi persone che hanno amato l’uomo ci parlano della santificazione e ci mostrano la possibilità della realizzazione del paradiso in terra. La lotta è contro il proprio io. Loro mi indicano la strada dell’ abbandono totale che sento difficile da percorrere. Ho mortificato il mio desiderio di andare a Roma per permettere ai miei due figli Stefania e Alberto di viverlo loro. A dicembre siamo andati in Polonia e abbiamo visitato la casa del Papa. Per noi tale viaggio è divenuto importante proprio alla luce degli avvenimenti che si sono susseguiti.

Natale Colombo (Usmate). Ciò che ha detto Giorgio ha riaperto in me una ferita. Con mia moglie avevamo deciso di andare a Roma. Poi tale progetto non si è potuto realizzare. La notizia della morte del Papa ci ha raggiunto proprio qui a Busto, fuori dalla chiesa di S. Anna dopo aver terminato di pregare con la comunità parrocchiale per il Papa morente.

Don Giancarlo. Come conclusione vi inviterei a custodire gelosamente quello da cui siete stati toccati, illuminati e commossi. Attorno a uomini che vivono la totalità della consegna a Dio nasce sempre un movimento di popolo.
Se il Papa fosse rimasto a Cracovia avrebbe attuato anche lì un movimento di popolo, diverso però da quello che ha fatto nascere per numero e qualità come successore degli apostoli. La stessa cosa è accaduta attorno a Madre Teresa di Calcutta, a S. Padre Pio e a don Giussani.
Questo indica la strada: guardate ogni giorno il volto dei santi per imparate dai loro discorsi e dalla loro vita la concezione e il cuore con cui vivere. Il cuore del totus tuus, la radicalità del dono che fa sempre spavento ma che bisogna domandare come grazia. Venga il Tuo regno, liberaci dal maligno. Il maligno è tutto ciò che chiamiamo resistenza, riserva mentale o affettiva, paura di rischio. Per questo il Papa diceva: “Non abbiate paura, aprite le porte del cuore a Cristo. Lui vi conosce più di quello che conoscete voi di voi stessi. Lui ha vinto il male e il mondo”.

. Nel capitolo “L’Imitazione di Cristo” don Giussani risponde a tre domande.
La prima: “Perché ci stimi così tanto da citare Famiglie per l’accoglienza in molti ambiti dove tu hai modo di prendere la parola?”.
La seconda: Qual è la condizione perché l’esperienza dell’ accogliere si incrementi?
La terza: Cosa possiamo fare?
Don Giussani risponde che la regola dei rapporti è la carità, un movimento del cuore che non parte dall’uomo ma dal cuore di Dio.
Noi possiamo incontrare la carità attraverso e dentro la manifestazioni del divino. Il divino si è manifestato nella storia dell’Alleanza che, dapprima, ha interessato il popolo ebraico. Con l’Incarnazione il divino lo abbiamo veduto in Gesù e nei discepoli. Oggi lo vediamo nelle sembianze umane di coloro che sono stati investiti e cambiati dall’ incontro con Cristo.
La caritas divina che investeil cuore dell’uomo trasformandolo, si manifesta nell’ accoglienza. Dove si vive l’accoglienza, lì si è certi di vedere Dio in azione.
La vera accoglienza è segno dell’amore di Dio. La si sorprende in coloro che accolgono il diverso da loro, soprattutto se il diverso è segnato dal bisogno. Le Famiglie per l’accoglienza sono famiglie che ospitano persone di tutti i generi: ammalati, drogati, ex-carcerati, ragazzi fuggiti da casa o persone affidate dai tribunali o date in adozione. L’esperienza dell’accoglienza investe anche l’accoglienza dei figli e del coniuge.
La vita coniugale deve sempre essere ricondotta alla radice dell’accogliersi. Ciascuno di noi, infatti, porta in sé un unicum che lo rende diverso dall’altro e che necessita di essere accolto. Diversamente sarebbe una coniugalità ridotta, manipolata e mai pienamente vissuta. La caratteristica dell’accoglienza è il divino che investe l’umano e lo trasfigura. La totalità è la caratteristica fondamentale dell’accogliere l’altro secondo l’interezza delle sue connotazioni. Proprio come il cuore di Cristo accogliere ciascuno di noi: per amore alla nostra verità e al nostro destino.
Don Giussani muove una critica al moralismo, forma riduttiva del cristianesimo. Non è ragionevole ridurre il cristianesimo a norme da osservare, o qualificare i discepoli sulla loro capacità di coerenza o di osservanza. In Luca leggiamo l’episodio di Zaccheo. Zaccheo era un ladro, traditore del suo popolo e, come esattore, vessava i suoi connazionali per rimpinguare le casse dell’impero e sue. Gesù non gli chiede di cambiare vita, né gli rinfaccia alcunché. Gli dice: “Scendi, oggi desidero venire a casa tua”.
Cristo accoglie Zaccheo proponendogli una convivenza. Il cristianesimo è riconoscere la presenza di Dio che ci è venuto incontro, ci accoglie perché vuole il nostro bene.
L’apprendimento del medito dell’accoglienza avviene attraverso l’ascesi, la conversione del cuore. Occorre educarsi alla povertà di spirito e alla semplicità che Gesù ha invitato a riconoscere nei bambini e richiamata anche nelle Beatitudini: “Beati i poveri di spirito perché di loro è il Regno dei cieli.”. L’atteggiamento che educa a ciò è la domanda a Dio, vale a dire la preghiera.
Teniamo desta in noi la testimonianza di carità di Giovanni Paolo II. Educhiamoci ad essere aperti, semplici e poveri di spirito nei confronti chi ci cerca. Noi non apparteniamo a noi stessi, siamo di coloro che ci incontrano perché Dio li ha messi sul nostro cammino.

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