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Maggio: incontro mensile

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INCONTRO DI MAGGIO 2005


Don Giancarlo. Oggi è la festa di Pentecoste, miracolo di riconciliazione e di riunificazione delle babele coniugali, familiari, ecclesiali e mondiali.
Anna poi introdurrà la spiegazione dell’origine storica del Sacro monte di Varallo così che la nostra visita sia aderente al metodo dei pellegrini che vogliono capire la loro tradizione culturale attraverso i segni del più antico Sacromonte. Questo luogo è stato generato dalla vita di fede di un frate francescano di ritorno dalla Terra Santa. Tutti i sacri monti della Lombardia, nati tra il ’500 e il 600, sono espressione dell’amore a Cristo e a Maria e della difesa nei confronti dele minacce del protestantesimo allora dilagante. I sacri monti narrano la storia della salvezza operata da Gesù attraverso il linguaggio della bellezza scultorea, plastica, architettonica e naturalistica. Gli artisti non godevano di fama nazionale ma da anonimi scalpellini e artigiani esprimevano la loro sensibilità religiosa.
Facciamo adesso la ripresa della scuola di comunità sul capitolo “L’Imitazione di Cristo” nel quale don Giussani aiuta chi vuole stare alla scuola della sapienza dello Spirito a riconoscere la vera concezione dell’accoglienza, dell’ospitalità e della carità. Accoglienza, ospitalità, condivisione, solidarietà sono flessioni esemplificative della caritas, cioè di Dio che ama. La caritas è l’amore di Dio che attrae, si espande e trasforma l’umano attraverso il concorso della personale libertà.

Nazareno. La caritas è per me il distintivo di chi è seguace di Cristo che ha donato tutto per tutti. Offre il proprio aiuto ad ogni fratello, ad ognuno di noi. Tutti, attraverso la preghiera o con aiuti economici, dovrebbero aiutare la Caritas.

Don Giancarlo. Non vorrei che si fraintendesse la caritas con le Caritas delle singole parrocchie. Le caritas potrebbero diventare articolazioni di una mentalità neo-capitalistica ammantate di buonismo. I contenuti di questo capitolo possono risultare di grande aiuto anche per animare o per inventare forme di carità.

Natale Colombo (Usmate). A pag. 68 del testo possiamo leggere: “L’accoglienza è il fenomeno etico che più imita l’ amore di Dio...E’ totalizzante quando uno accoglie l’altro secondo la totalità del suo essere, del suo esistere”.
Chiedo un aiuto per capire questo. Se incontro una persona che non mi riconosce per come io vivo o per le testimonianze che porto, se chi incontro non ha la fede e se con lui posso parlare di tutto tranne che di Cristo, quale dovrebbe essere il mio atteggiamento?

Don Giancarlo. La frase che hai citato di don Giussani si trova nel contesto della parabola del fariseo evangelico, un tipo religioso praticante e osservante. Il testo sottolinea il rischio della presunzione, della pretesa e del complesso di superiorità da parte di chi fa accoglienza
Don Giussani mette in risalto che chi si pone così si autoesclude dalla mentalità di Gesù e reincarna la mentalità del fariseo che si sentiva migliore dell’altro. “L’accoglienza ha tutto il suo valore anche nei limiti in cui si viene a trovare o in cui è costretta a vivere”. Ad una condizione: i limiti non li poniamo noi, sono quelli che ci portiamo addosso o che troviamo nella realtà. Ci può essere l’accoglienza di un minuto che risulta autentica e totalizzante perché abbraccia l’altro in tutto quello che è. Ci può anche essere il corso di un’accoglienza che dura da cinque anni che non è autentica perché non è totalizzante.
L’accoglienza è totalizzante quando non censura nessuna delle dimensioni caratterizzanti la persona che non si conoscono subito ma all’interno della convivenza. Se l’approccio con i variegati aspetti di una persona non ci vedono in ritirata o nell’atteggiamento dell’inquisitore o del giudice allora c’è la conferma che l’accoglienza è in corso secondo lo sguardo e il cuore di Cristo. “L’accoglienza è totalizzante quando uno accoglie l’altro con la carità che Dio ha con lui e verso di lui. Con la carità che lo accetta e lo sostiene in tutto quello che vive, in tutti i momenti della sua vita”. L'accoglienza o è totalizzante o può scadere a elemosina.
La realtà che ci investe è affidata ad ognuno di noi. Tutto accade dentro un disegno positivo. Se Dio mette sulla mia strada una certa realtà lo fa per educare me al realismo della carità che implica l’educazione permanente all’ascolto e alla risposta. La risposta può divenire più o meno possibile di fronte al bisogno dell’ alloggio, del prestito o dell’aiuto legale o sanitario ma la dimensione della totalità deve spingere alla conoscenza delle ragioni che portano un uomo a avere bisogno.
Da venticinque anni, due volte l’anno, passa da me un barbone di Gallarate. Mi sono accorto che viene il giorno del suo onomastico e il giorno del suo compleanno e, in queste due occasioni, mi chiede di dargli la possibilità di andare a mangiare la pizza. Mi sono accorto che è l’unica cosa che gli sta a cuore e lo favorisco.
C’è un altro personaggio che dopo quattordici anno ho cacciato. E’ un alcolizzato che vive di espedienti. Ha sposato civilmente un’albanese per farsi mantenere e da cui è stato poi abbandonato. Mi ha chiesto, per due volte di seguito, un prestito per pagare il gas e l’elettricità. Abbiamo stabilito una cifra come rimborso mensile. Anziché venire per restituire quanto stabilito ha avuto la sfrontatezza di chiedermi altri soldi. Ho capito che era ricaduto nell’alcolismo e i soldi che gli avevo prestato gli servivano per ubriacarsi. L’ ho cacciato.
Si agisce o attraverso il criterio dell’accoglienza della persona nella sua integralità o attraverso quello dell’assistenza. L’assistenza è la modalità di più facile attuazione perché basta dare senza farsi coinvolgere. Il coinvolgimento con le persone che incontriamo è legato alla decisione di ciascuno. Quando non si riesce più a sostenerlo da soli si chiede aiuto ali amici o alle istituzioni. Chiediamo quindi a Dio, attraverso la preghiera e l’osservazione dell’esempio di molti testimoni, di saper perseverare nella carità, soprattutto quando chiede pazienza e misericordia.

Matteo La Pescara (Busto A.). Ero in parrocchia con alcuni amici quando è arrivato un rumeno che chiedeva aiuto. Da noi la Caritas distribuisce degli alimenti ma non c’è un luogo dove poter ospitare chi è in difficoltà. Ho quindi dato la referenza di don Giancarlo. Mi accorgo che, in casa mia, si accolgono volentieri gli amici ma non accade la stessa cosa nei riguardi di persone estranee.

Don Giancarlo. S’inizia sempre dal poco. La mamma e il papà insegnano al figlio a muovere i primi passi, dapprima stando a breve distanza da lui, poi aumentandola via via. E’ il metodo della gradualità e della progressione. L’accoglienza è espressione della povertà del cuore. Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli. Tale beatitudine esprime la certezza che se esistiamo è perchè qualcuno ci ha fatti e ciò che siamo è frutto di un arricchimento portatoci da una storia. Coscienti della ricchezza che ci fa e dell’appartenenza che ci costituisce cerchiamo di essere aperti alla vita, agli incontri, alle circostanze e alle persone. Attivando la regola della comunione tendiamo all’accoglienza dell’altro facendone esperienza verificandola dentro un luogo preciso, la compagnia di amici guidata alla realizzazione di ciascuno..

Gino Varrà (Milano). Ho un cugino che non vedo da diciassette anni. La moglie deve essere operata. Ambedue verranno a Milano su suggerimento di un’altra mia cugina che conosce il cammino di accoglienza che sto facendo in Famiglie in cammino.

Giorgio Targa (Milano). Il libro che stiamo leggendo è molto bello. M’insegna alcune cose che interpreto nel contesto della nostra storia e della nostra vita. Il nostro compito di genitori è d’essere aperti all’ accoglienza di altri genitori con una storia uguale alla nostra per proporre a loro il cammino di fede da noi percorso. L’altro giorno ero in comunicazione telefonica con una signora che, il mese scorso, ha perso il figlio unico per una malattia fulminante. Per me l’ascolto è già accoglienza. Proponendole la nostra compagnia le ho offerto un segno dell’amore di Cristo. Accogliere significa guardare ed abbracciare altri genitori nel dolore. Può essere una forma piccolissima d’accoglienza rispetto ad altre ma sento che il compito affidatomi da Dio è importante e che per essere vissuto, richiede fede e preghiera. Ringrazio don Giussani che, all’inizio del nostro cammino, ci ha incoraggiati.

Vito D’Incognito (Milano). Nella sua esperienza umana Cristo, per quello che capiamo dai Vangeli, non si è rivolto ad una sola categoria di piccoli. La visione evangelica che ho maturato non si ferma più soltanto a soccorrere la famiglia che ha perso un figlio. L’abbraccio che mi può dare un barbone è altrettanto vera e lo si può accogliere superando certi pregiudizi. Nelle parole di Nazareno ho colto il desiderio di ridonare amore, rispetto al sacrificio di Gesù. Non vivo l’esperienza della mensa dei poveri a Milano, dove dedico parte del mio tempo, come un turnista. Ciò che mi sostiene è il grazie di un bisognoso o l’ abbraccio di un genitore che ha vissuto lo stesso nostro dramma.

Don Giancarlo. L’intervento di Giorgio poteva sembrare esclusivo. Noi non dobbiamo chiuderci nell’ambito dei genitori che hanno perso figli che, però, continua ad essere primario. Vito ce ne ha dato una conferma.
Noi abbiamo a cuore un lavoro di approfondimento della coscienza evangelica che indica anche un metodo. Ci tengo quindi a sottolineare gli aspetti di maggiore autenticità in rapporto ai luoghi comuni. La vita è imprevedibile. Se il disegno di Dio chiama e tocca su un punto si risponde a quello che diventa così una finestra che spalanca sullo scenario della realtà.

Introduzione prima della visita del Sacromonte

Anna Rimordi (Busto A.). Siamo all’interno di un Sacro Monte, un vero monumento della fede. Fede che si è manifestata ed è cresciuta attraverso diversi secoli. La prima pietra di questo luogo risale intorno al 1493 mentre la facciata della chiesa è degli ultimi anni del ’800, una delle ultime cose che sono state completate. Tutto è cresciuto in quest’arco di tempo, con il cuore, la collaborazione, la generosità e l’ingegno di tantissime persone che qui, da subito, hanno incominciato a vivere un’esperienza di fede e d’avvicinamento a Dio, quindi d’illuminazione e consolazione.
L’idea è da far risalire ad un frate francescano che, essendo custode della Terra Santa, rientrato in Italia, era responsabile dei frati minori di Milano. Conoscendo questi luoghi, ha voluto ricreare un luogo che permettesse alla gente semplice del posto di ritrovare l’esperienza e l’emozione dei luoghi della Terra Santa. Erano già concluse le Crociate, ma la visita ai luoghi della Terra Santa che i pellegrini facevano durante il medioevo, continuava ad essere pericolosa. Questo frate ha pensato di ricreare qui i luoghi più significativi della vita di Gesù in Gerusalemme, quindi il Cenacolo, il luogo della flagellazione e il Calvario.
Ottenuti i permessi, dà l’avvio alla costruzione delle prime cappelle. Muore però abbastanza presto e il suo progetto sembra destinato ad interrompersi. Viene invece quasi subito ripreso da un artista notevole: Gaudenzio Ferrari, nativo di queste zone che rilancia il progetto in modo ancora più grandioso.
Siamo verso il 1550, quindi nell’età della controriforma. La riforma protestante aveva creato una scissione molto grave all’interno della cristianità. Al di qua delle Alpi c’era l’urgenza di conservare l’unità della fede, almeno per quanto concerneva l’Italia, poiché in Svizzera e in Germania molte comunità si erano allontanate.
Gaudenzio Ferrari pensa il Sacro Monte, primo dei Sacri Monti lombardi, piemontesi ed austriaci, che sia da baluardo contro le calate delle idee della riforma protestante in Italia. Questo artista lascia testimonianze importanti del suo genio di pittore, scultore ed architetto. La prima opera grandiosa è collocata nella chiesa che abbiamo visitato questa mattina, 21 affreschi che riportano episodi della vita di Gesù.
Concepisce l’idea di introdurre il fedele in una visione dei fatti avvenuti a Gerusalemme non solo come testimone ma anche come attore. Era previsto che il visitatore attraversasse le cappelle trovandosi inserito nel movimento delle statue, quasi come un ulteriore personaggio della scena.
Tutto è stato pensato per una religiosità semplice, comunque una religiosità che, nel tempo, ha insegnato a tutti coloro che si avvicinano con cuore umile.
Dal punto di vista artistico Ferrari aveva concepito l’inserimento di scenografie attraverso statue ad altezza naturale, alcune di cotto, alcune in legno. Sono tutte dipinte e hanno tutte capelli di crine di cavallo e raffigurano soggetti del luogo, dai nobili ai contadini. I testi di critica artistica dicono che sono rappresentate moltissime donne dalla carnagione chiara, come sono le donne di questa valle, e moltissime di loro stringono dei bambini, in un gesto emblematico della femminilità.
All’inizio il progetto prevedeva 43 cappelle. Poi, proprio sulla spinta dell’avanzare del protestantesimo, se ne sono aggiunte altre. Queste cappelle riguardano il peccato originale, il giudizio universale e l’inferno. Erano temi importanti che venivano discussi e di cui la catechesi di allora si occupava molto.
La popolazione di statue delle cappelle è elevatissima; in alcune, come la cappella del sacrificio degli innocenti, ve ne sono addirittura più di cento.

Don Giancarlo. Visitiamo questo luogo con il cuore del pellegrino, cioè del discepolo che vuole cogliere qualcosa delle impronte lasciate nella storia da Gesù e dal suo amore. E’ la storia culminata nella passione e morte. La nostra fatica nel mantenere il raccoglimento sia una fatica di espiazione dei propri e altrui peccati.
Cerchiamo di tenere vivo uno sguardo religioso prima che artistico: sguardo di contemplazione
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