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Novembre: Incontro mensile

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INCONTRO novembre 2005


Natale Colombo (Usmate). Un saluto a tutti, in particolare ai coniugi Seribelli che festeggiano il loro cinquantesimo anno di matrimonio, ai nuovi nonni Crolla e alla mamma della famiglia Bettanello che compie 99 anni. Riprendiamo il nostro incontro portando nel cuore non solo la condivisone del dolore ma anche queste gioie.

Marcello Crolla (Busto A.). Porto i saluti di Andrea di Bellinzona e di sua moglie che hanno avuto la gioia di recarsi a Roma in udienza dal Papa che ha preso in braccio il loro bambino da poco battezzato. Non se lo aspettavano ed è stata per loro un’emozione grandissima.

Don Giancarlo. Per valorizzare l’anniversario di nozze dei nostri amici ho pensato di cantare “La traccia”. E’ un canto che si è impresso nella mia memoria in modo visivo. Parecchi anni fa ero a Santa Caterina Valfurva con un gruppo di studenti delle medie superiori. In una giornata bellissima siamo saliti al passo del Gran Zebrù. Dopo l’inverno eravamo i primi a fare gli apripista sulla montagna ancora innevata. Era giugno. Salivamo in fila indiana in silenzio. Dopo circa mezz’ora di salita abbiamo fatto sosta su un poggio. Davanti a noi si apriva uno scenario magnifico di alcuni quattromila. Guardando a valle vedavamo la traccia lasciata dai nostri passi. I ragazzi, adeguatamente illuminati da chi li ha aiutati a osservare, si sono resi conto che la vita è un cammino.
Dal poggio del cinquantesimo anniversario, il fermarsi per rivisitare la storia personale contrassegnata da bellezze, asperità, limiti e speranze dentro l’orizzonte dell’ideale, vi permette di affermare che la vita è un dono veramente bello. Dice il salmo 33: “Voglio vivere e desiderare giorni felici”.
Dopo quanto ci è accaduto, possiamo tutti chiederci se siamo persone che amano ancora la vita e desiderano giorni felici. Seguire il tracciato del disegno buono di Dio dà sicurezza. Tale tracciato diventa luminoso se si appartiene a qualcuno e se ci si lascia guidare. La guida indicataci dal canto è Cristo.
S’impara ad amare sentendosi amati e si impara ad accogliere attraverso l’esperienza del sentirsi accolti. Ogni volta che ci ritroviamo è per farci riaccogliere e per accogliere qualcun altro. Questo dà freschezza all’incontro e vivifica il rapporto. La preghiera che adesso faremo divenga sorpresa stupita per essere di fronte al Signore che ci guida ed è perennemente con noi. Quando permettiamo al Signore di irrompere nella nostra vita ci rende più capaci di amare la vita e di desiderare giorni felici.

Natale Colombo (Usmate). Nella lettera troviamo scritto: “Lo stare insieme volendoci bene, dandoci fiducia e ascoltandoci reciprocamente ci dà conforto e ci fa capire che non sono molti gli ambiti in cui la relazione, mossa dalla fede, è capace di abbracciare tutto in modo positivo”.
Questo è quanto noi cerchiamo di fare aiutandoci con un metodo preciso. Abbiamo meditato il capitolo: “La familiarità come metodo del mistero”. Credo che ci sia stato di grande aiuto e ci abbia fatto capire cosa vuol dire stare insieme mossi dalla fede.
Per la cultura dominante la felicità è cercata nell’ effimero. Lo stare insieme ci riporta ad essere attenti e vigili verso l’altro e ci conduce al vero senso della vita. Stiamo insieme per aiutarci a cercare la felicità nell’ideale Cristo.

Don Giancarlo. Siamo insieme per ridestare la domanda e il desiderio di felicità. L’esito poi non dipende solo da noi. La fede è capace di abbracciare tutto, in modo costruttivo. Le prove della vita ci hanno portato a ricercare una compagnia e ad ancorarla al Mistero che è il senso di tutto. Molti si sono accorti che il cambiamento accade attraverso l’esperienza di un incontro che, a sua volta, trasfigura la prova e dà speranza.
La presenza del Signore la si incontra in una compagnia che vive di Lui. La libertà di ciascuno può riconoscerla o meno. Il mese scorso la familiarità e la comunione dei rapporti hanno spinto Giancarlo ad affermare l’urgenza di educare il nostro cuore a fare scelte di accoglienza di chi ha bisogno di amore, di sicurezze e di stabilità fino alla possibilità di mettere su casa insieme. La condizione di partenza è il credere al criterio della comunione e il cominciare a farne esperienza nel solco della preferenza. Quanto più si rimane fedeli all’esperienza della nostra familiarità che Dio ha messo sul nostro cammino, tanto più si impara a valorizzare ogni forma di familiarità e a trasmetterla. Questa è la bellezza e la promessa contenute nell’amicizia.

Marcello Crolla (Busto A.). I nostri amici di Roma, Leonardo e Albina Taglianetti, hanno mandato una e-mail nella quale hanno scritto: “ Chi di voi ha partecipato o avuto modo di leggere gli appunti di inizio anno di Milano, ha sicuramente notato che Carron ha letto la lettera di una mamma che ha perso suo figlio, la quale riprendeva alcune frasi della preghiera che don Giussani scrisse per Famiglie in Cammino.
Quella preghiera è giunta a quella mamma, nostra amica, attraverso me e mia moglie che, a nostra volta, l’abbiamo ricevuta da voi.. Volevo solo dirvi grazie per la compagnia che ci avete fatto e continuate a farci. Un abbraccio.
Ieri sera ho partecipato ad una fraternità con don Giancarlo ed altri amici. C’è una mamma con una figlia sposata da alcuni anni. Questa ragazza non può avere bambini e inoltre soffre di una grave malattia reumatica. La mamma ha chiesto a me e a tutti noi di Famiglie in Cammino: “Voi siete dei privilegiati davanti a Dio. Avete dei figli in Paradiso. Chiedete ai vostri figli di intercedere presso Dio per mia figlia, affinché le dia un po’ di serenità. Tanta sofferenza non è giusta per una persona giovane”.
In quel momento ho sentito di dover ringraziare il Signore per questo cammino, per lo sguardo delle persone che guardano a noi, che mi guardano e che mi vogliono bene. Queste persone, attraverso di noi, colgono la speranza in Cristo. Ricordiamoci di questa mamma nelle nostre preghiere.

Nicoletta (Varese). Ho ricevuto una telefonata dalla signora Franca Santacroce. Veniva al nostro gruppo. Poi si è ammalata e il medico le ha consigliato di trasferirsi nel Veneto. Saluta e ringrazia tutti per quello che ha ricevuto da noi. Dice che ha ancora bisogno di aiuto per avere consigli pratici al fine di aiutare altre mamme. Se decidessimo qualche gita potremmo andarla a trovare. A Carole c’è una bellissima chiesa dedicata all’Angelo.

Don Giancarlo. A pag. 90 del nostro libro è riferita la domanda posta a don Giussani: “Nella nostra esperienza di accoglienza incontriamo sempre il dolore dei nostri figli, che nascono, vivono e portano i segni di una storia pesante. Incontriamo il dolore delle nostre famiglie quando devono affrontare e accogliere il fatto che questi figli non li hanno generati loro e accogliere il dolore delle famiglie stesse quando non riescono ad avere figli. Tanti di noi hanno chiesto di essere aiutati a stare al livello di questa dipendenza originale di cui parlavi”.
Partendo da questa richiesta che illustra tre tipologie di fatica, quella accogliere figli non propri, quella di avere in affido figli di altri genitori viventi e quella di chi non può avere figli, don Giussani risponde in modo rivoluzionario.
“L’aiuto avviene se vivete una fraternità. La fraternità è un gruppo di persone che si unisce per capire, sentire e vivere queste cose. La santità è questo, perché poi tutto si pacifica, tutto tende a un equilibrio. Essere padre e madre è buttare fuori un feto dal ventre materno? No! E se un feto fatto da un’altra donna tu lo raccogli a due mesi, quattro mesi, cinque mesi e lo educhi, la madre sei tu, nel senso fisiologico e ontologico del termine! E se tu fai questo anche senza averlo lì presente, in quanto conosci un povero bambino che vive male, maltrattato da una famiglia non sua, e offri tutta la tua giornata alla mattina dicendo: “Signore, ti offro la mia giornata perché tu aiuti quel bambino”, questa è una maternità più fine ancora, più “genetica” di qualsiasi altra maternità.”
La familiarità è documentata dall’aiuto reciproco e da una amicizia fraterna. La santità è far trasparire l’amore di Cristo nelle relazioni prossime e lontane. Questa è la rivoluzione culturale che il cristianesimo ha portato.

Giorgio Targa (Milano). Ho riflettuto sulla descrizione della salita in montagna di don Giancarlo. Credo ci siano delle similitudini con la storia di Famiglie in Cammino. Da più di dieci anni egli ci ha fatto da guida indicandoci la strada, ci ha sostenuto e portato in alto per farci vedere l’orizzonte di un mondo che vale la pena di vivere. Ci ha fatto riscoprire la speranza e la bellezza della vita. Senza averlo progettato abbiamo lasciato una traccia dietro di noi.
Quelli che ci vedono capiscono che il nostro è un cammino di fede, di coraggio e di missionarietà percorribile da tutti. Il segreto sta nel non aver paura e nel dare fiducia a chi guida.

Savina D’Incognito (Milano). Due anni dopo la morte di Leonardo avvenuta nel ’99, abbiamo accolto dei ragazzi di Taizè. Ripensando a quel gesto di ospitalità riconosco che non ne avevo grande consapevolezza. Quest’anno ripeteremo l’esperienza di accoglienza in modo più cosciente. Mi sto chiedendo che cosa sia cambiato rispetto alla prima esperienza. Parlando con mio marito Vito mi sono resa conto che il cambiamento è dovuto al fatto di aver accolto Cristo nel mio cuore. Nel ’99 avevo forse compiuto un’opera buona ma senza la coscienza di accogliere Cristo.
Conoscere Cristo è stata un’esperienza grandissima che mi ha fatto innamorare così da poterlo seguire con gioia. Questo mi permette di accogliere quotidianamente quanto Lui mette sul mio cammino. Nelle mie preghiere chiedo la capacità di amare perchè ritengo sia la base di tutto. Il nostro agire deve partire dal cuore, non dalla testa. La ragione fa compiere atti staccati, freddi. Qualsiasi cosa fatta col cuore ci arricchisce.

Don Giancarlo. Nella parola cuore, secondo il linguaggio di Gesù, è presente la ragione oltre l’affezione. Una senza l’altra impoverisce le decisioni e lo slancio della persona. Ciascuno di noi può verificare come gli intellettuali hanno poco seguito a differenza dei carismatici che risultano contagiosi e hanno grosso seguito.

Giovanni Seribelli (Milano). Siamo commossi e vi ringraziamo di cuore augurandovi una traccia di vita come la nostra. Ci sentiamo sempre giovani. Questa è la nostra fede pur dovendo convivere con il nostro e vostro dolore.

Maria Bencaster (Milano). Anch’io voglio ringraziare don Giancarlo e gli amici che mi sono stati di grande aiuto. Sono capitata in questo gruppo nella disperazione più profonda e ho trovato il giusto aiuto. Con voi ho imparato e condiviso le diverse situazioni. Con voi sentiamo il calore dell’amicizia che permette di continuare il cammino della vita. Non siamo soli. C’è il nostro prossimo che abbiamo imparato ad amare e vorremmo aiutare.
Sul nostro testo ho letto: “Bisogna cercare insieme quello che è l’amore”. E’ proprio quello che abbiamo fatto anche noi.

Giorgio Macchi (Varese). In questo ultimo mese, con mia moglie Paola, abbiamo partecipato a una riunione tenuta da uno psicologo sul tema dell’elaborazione del lutto. Dopo aver trattato il modo di affrontare il dolore, ha affermato che, se qualcuno ha fede, la preghiera non nuoce. Su queste parole mi sono sentito provocato e ho fatto un intervento parlando di Famiglie in Cammino.
Alcuni giorni dopo siamo stati contattati per incontrare delle mamme che avevano perso i figli. La loro prima richiesta è stata di capire se noi avessimo fatto ricorso alla scrittura automatica o all’aiuto di qualche medium per metterci in contatto con i nostri figli. Quando hanno capito che siamo riusciti a trovare la serenità attraverso un cammino di fede, sono rimaste quasi deluse. Pur dichiarandosi cattoliche e continuando a frequentare la chiesa riponevano tutta la loro speranza in questi artifizi.
Dopo quell’incontro mi sono reso conto della fatica di queste mamme che, dopo anche undici anni dalla morte del figlio, non hanno ancora intravisto nessun cammino verso la speranza.
A Bergamo abbiamo fatto anche una testimonianza in radio con un sacerdote che ci ha confermato come siano molte le mamme che seguono tali pratiche. Ho pensato immediatamente alla nostra compagnia che non ci fa compiere cose miracolose ma, passo dopo passo, ci conduce a una maturità di giudizio e di stabilità unama.

Raimonda Targa (Milano). L’intervento di Maria Bencaster mi ha rimandato alle parole di Cristo “Dove due o più saranno riuniti nel mio nome, io sarò con loro”. Credo sia stato questo a metterci e a farci stare insieme.

Vito D’Incognito (Milano) I primi giorni di novembre, presso il cimitero di Lambrate, Savina ed io abbiamo partecipato alla S. Messa del funerale di un giovane al termine della quale abbiamo conosciuto i suoi genitori. Abbiamo cercato di fare loro un po’ di compagnia e di far intravedere qualcosa del nostro cammino.
Ogni mattina, appena sveglio, chiedo al Signore di illuminare la mia giornata e di donarmi un cuore attento ai bisogni del prossimo. Mi sorprendono i cambiamenti notati in me e in Savina.
Mi è anche pervenuta una benedizione del Papa. In questi anni ho scritto alcuni libri inerenti al mio lavoro. Ultimamente ne ho steso uno riguardante i problemi dell’inquinamento ambientale. Nella prima parte ho tratteggiato la visione del cristiano che ama la terra e il creato quali segni dell’amore di Dio. Collocare argomenti scientifici nell’orizzonte della concezione cristiana della realtà è una provocazione per la mentalità scientista.
Durante la vacanza estiva abbiamo conosciuto un religioso, teologo a Bressanone cui ho omaggiato una copia del libro. Dopo averlo letto mi ha scritto evidenziando la consonanza che intercorre tra l’impegno religioso etico e professionale. Ho ricevuto un tale incoraggiamento da prendere la decisione di inviare il libro anche al Papa allegandovi una lettera illustrativa delle nostre vicissitudini.
Vi leggo il testo giuntomi dal Vaticano: “Ella ha fatto pervenire al Sommo Pontefice un volume da lei pubblicato, presentando al tempo stesso alcune vicende personali. Il Santo Padre ringrazia per l’apprezzato omaggio e per i sentimenti che l’hanno suggerito. Nell’esprimere il suo compiacimento per il cammino di fede da lei compiuto insieme con la moglie, assicura un ricordo nella preghiera per il compianto Leonardo. Di cuore invia la benedizione apostolica estendendola volentieri alle persone care e accompagnandola con l’unita corona del Santo Rosario”.

Don Giancarlo. Chiudiamo l’incontro con la lettura della pagina 94 del testo che ci permette di capire il nostro metodo educativo e di capire come, dentro un cammino guidato, noi acquisiamo una coscienza critica della fede. Le mamme di cui parlava Giorgio sono più sfortunate di noi. Hanno perso i figli come voi e vanno in Chiesa come voi ma non hanno la coscienza certa della resurrezione della carne e della vita eterna, che noi invece abbiamo assimilato. Per molti credere vuol dire andare in chiesa per l’atto di culto senza il desiderio di essere educati all’esercizio critico della ragione dentro le più svariate realtà.
Occorre educare il nostro io (cuore e coscienza) attraverso l’esperienza a sapienza che abbiamo ricevuto in dono e che si chiama fede.
Don Giussani, partendo dal Vecchio Testamento, dice: “Si deve salvare una cosa sola a tutti i costi: la libertà di essere quello che siamo chiamati ad essere e di poter educare a questo, di poter comunicare questo.Si deve, cioè, salvare la libertà della Chies, perché la Chiesa, in ultima analisi, è solo questo: Dio con noi”.
Voi, ci dice Gesù, siete il mio corpo. Noi siamo la sembianza carnale di Dio, siamo la fioritura dell’amore di Dio che, col Battesimo, ci ha sorpreso e reso partecipi di sé.
“Il resto è un destino ultimo. Leggete il capitolo 33 dell’Esodo, una delle più belle pagine letterarie dell’umanità. Dio se ne sta andando via da Mosè, nascosto dentro una nube sul monte Oreb. Mosè è lì, con la faccia a terra, che cerca di guardare, e dice: “Signore, resta con noi: se tu non cammini con noi, noi non ci muoveremo da qui”. Ditemi se ci può essere un’espressione più umana di questa! E il Signore dice: “Io ti ho conosciuto per nome, Mosè, e io farò quel che ti ho detto e che tu mi chiedi: io camminerò con voi e voi sarete il mio popolo”. Silenzio. Dopo un po’ Mosè aggiunge: “Signore fammi vedere la tua faccia, fammi vedere il tuo volto”. Invece noi vediamo sempre le spalle di Dio, non la faccia. Perché, risponde Dio,” non può un uomo conoscere il mio volto prima della morte”, deve essere morto per vedere il mio volto: per essere vivo deve morire. Tutti, invece, scivolano in fretta verso la pretesa di immaginarsi il volto di Dio, di definire Dio come a loro pare e piace. E’ per questo abbiamo intitolato la scuola di comunità “Alla ricerca del volto umano”, perché il volto umano è il riverbero indiretto del volto di Dio. Si conosce Dio attraverso quel che è l’uomo.”
Se l’uomo non è educato a riconoscere i tratti su cui è stato sagomato non può neppure conoscere Dio. Lo vede sempre e solo di spalle, mai in faccia.
Vi suggerisco di leggere l’ appello sull’educazione lanciato da una sessantina di intellettuali, imprenditori e politici dal titolo: Se ci fosse un’educazione del popolo, tutti starebbero meglio.


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