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Dicembre: Incontro Mensile

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INCONTRO DI DICEMBRE 2005


Don Giancarlo Oggi ascolteremo la testimonianza di Carlo Manfredini che, da oltre dieci anni, è in Uganda ed è presidente dell’associazione Africa Mission con sede a Piacenza. Di questa città suo fratello è stato Vescovo.
Prima però vi leggo il saluto di Franca Ciampi, moglie del Presidente della Repubblica, che Nicoletta ci ha fatto pervenire.
Gentile signora, la ringrazio per avermi resa partecipe delle iniziative promosse dal gruppo “Famiglie in Cammino”. Mi congratulo con tutti voi e con il vostro assistente spirituale don Giancarlo per quanto state facendo. E’ una testimonianza di condivisione e d’amore reciproco che scalda il cuore. Con un augurio fervido e affettuoso vi invio i più cordiali saluti e auguri.
Conosco Carlo Manfredini da quando eravamo ragazzi. Nelle vacanze estive ci ritrovavamo sul lago di Lugano in località Porlezza. Lì frequentavamo insieme l’oratorio. Dopo il ’68 ci siamo rincontrati a Varese dove suo fratello era prevosto ed io il suo più giovane coadiutore. Carlo ci racconterà qualcosa del suo cammino di maturazione dentro il quale la missionarietà della Fede ha assunto rilevanza esistenziale.

Carlo Manfredini Grazie per avermi accettato fra di voi. Con don Giancarlo non mi vedevo da quasi trent’anni ma ho seguito il suo operato.
La parola missionario mi incute un po’ di timore perché mi sento un povero cristiano. Tuttavia, parlando di vocazione, devo anche spiegare perché non possiamo non dirci comboniani. Qualche hanno fa Daniele Comboni, vicario apostolico dell’Africa centrale, è stato proclamato Santo. A Vengono Superiore c’è il Seminario dei Comboniani dove ho insegnato. Da lì venivano a Varese i Vescovi dell’Uganda. La mia storia, quella di mio fratello e di Vittorio, titolare di un ristorante di Varese molto rinomato, iniziano dagli incontri con loro.
Quando avevo quattordici anni don Giancarlo, liceale a Venegono, mi scrisse una lettera chiedendomi di pregare la Madonna e di riflettere sulla vocazione sacerdotale. In realtà ci avevo già pensato ma, alla fine, non maturò niente. A vent’anni, durante il primo anno di Università, frequentavo una ragazza della parrocchia ma, benché tutti si aspettassero un matrimonio, delusi anche questa aspettativa. Ancora oggi, a 64 anni, trovo difficoltà a definire con chiarezza la mia vocazione.
Negli anni ’70 ero molto stanco di insegnare a Milano. Nel ’68, la figlia dell’amministratore delegato dell’Aermacchi studentessa di lingue in Cattolica, doveva andare a Londra per un corso di inglese. A quell’epoca io non sapevo una parola di inglese. Siccome aveva una paura folle a prendere l’aereo decidemmo di fare insieme e in treno il viaggio. A Londra io dovevo incontrarmi con una persona che mi aveva promesso una sistemazione. L’appuntamento andò buco e mi trovai da solo in una stanzetta. Scoppiai a piangere. Iniziò così l’avventura dello studio della lingua inglese.
Nel ’71, finiti gli esami di maturità nella veste di commissario di filosofia presso il liceo Virgilio di Mantova, partii da solo per l’Uganda.
Nel ’74, con il segretario di mio fratello, andai a Verona e a Torino per conoscere le condizioni necessarie per diventare fratello comboniano o fratello della Consolata. Mi aveva colpito l’idea di lavorare in Africa dove avevo visto le missioni dei padri comboniani. I comboniani di Verona mi dissero che occorreva un periodo di formazione della durata di quattro anni. A Torino, presso i Padri della Consolata, si accontentavano di due. Il padre che guidava spiritualmente i fratelli della Consolata mi pose davanti a due alternative: o lavorare per il progresso del popolo africano o diventare religioso con il rischio di non arrivare mai in Africa. Tornai a Piacenza dove mio fratello Enrico era stato nominato Vescovo portando con sé il non ancora don Vittorione che, nel frattempo aveva fondato Africa Mission.
Io da sempre avevo collaborato con Vittorione. Dall’82 avevamo insieme fondato Cooperazione e Sviluppo, organizzazione non governativa, idonea alla cooperazione e al volontariato internazionale. Questo ha significato poter accedere ai fondi del governo italiano per progetti di sviluppo in Africa. Abbiamo iniziato la nostra avventura specializzandoci nell’attività di perforazione per pozzi di acqua potabile. In venti anni ne abbiamo fatti 400 importando 600 container con 90 aerei. Il costo di un pozzo è di 10.000 euro. Si spende parecchio per poter mantenere tutta l’organizzazione
Certamente io non sono né un meccanico, né un perforatore, né un autista. Avevo il privilegio di conoscere molto bene le lingue, specialmente l’ inglese. Sono diventato quindi indispensabile a don Vittorione in Uganda la cui lingua ufficiale è l’inglese. La mia preparazione filosofica mi ha aiutato nella stesura dei contratti con i Ministeri degli esteri e delle acque. Ho steso quattro contratti per l’esenzione doganale, tuttora vigenti, per importare il materiali con cui poter lavorare.
In italiano noi parliamo di fine della vita e della fine della vita. La lingua francese non ha questa distinzione. Usa il termine la fin per indicare entrambe le cose. Personalmente saprò quale sia stata la mia vocazione solo quando avrò raggiunto il fine. Alla fine mi guarderò indietro e vedrò cosa Dio ha scritto come significato della mia vita quando, come dice la Bibbia, vedremo Dio con i nostri occhi e saremo simili a Lui.

Matteo La Pescara (Busto A.). Ringrazio per quanto abbiamo potuto ascoltare oggi. Sicuramente oggi, grazie all’intervento dei tanti missionari, la situazione in Africa è migliorata. L’aids però continua a rimanere una piaga che nessuno sembra intenzionato a fermare. Qual è il motivo?

Carlo Manfredini.L’Uganda, il paese che conosco meglio, non ha mai nascosto la sua realtà. Ha sempre aperto le porte all’organizzazione mondiale della sanità e, quindi, è sempre apparsa come il Paese più devastato dall’aids. Adesso anche in Africa sono stati introdotti i farmaci antiretrovirali che permettonon a molti di condurre una vita normale e di vivere più a lungo. Questi farmaci continuano però ad avere prezzi troppo alti per gli ugandesi. Lo Stato non passa alcun finanziamento agli ospedali e alle strutture sanitarie. Negli ultimi sei anni tutta la comunità cattolica e soprattutto un fratello comboniano hanno svolto una campagna per ottenere un finanziamento di una parte del servizio medico. Il dramma di questi ospedali privati che sono anche i migliori, è rappresentato dal problema dei costi. Le mamme che non hanno soldi non portano i bambini all’ospedale e questi bambini sono destinati a morire. La stessa cosa succede per le scuole.

Natale Colombo (Usmate). Qual è stata la cosa che ha determinato la tua scelta. Che cosa la rende ancora così piena di entusiasmo. Hai degli amici e delle persone che ti aiutano?

Carlo Manfredini. In Italia ho avuto due figure che hanno messo in moto il desiderio di donarsi e di dare il massimo di sè: mio fratello don Enrico e il laico Vittorio, diventato diacono nel ’76 e sacerdote nell’84. Queste persone con un forte coraggio e grande determinazione mi hanno fatto da guida.
Don Vittorio aveva una forza di volontà e un coraggio da spostare le montagne. Aveva anche dei grossi difetti e un carattere molto rude. Le sue virtù erano eccezionali quanto i suoi difetti. Non ci si faceva tanto caso perché si sapeva che, seguendolo, si sarebbe sicuramente realizzato qualcosa. Era veramente un capo. In Uganda è stato un vero ciclone ed ha persino scomposto la compagine dei padri comboniani di cui alcuni mal sopportavano il suo spirito d’iniziativa.
Proprio a causa di certi dissapori don Vittorio, a un certo punto, si è staccato da loro e ha comperato una grande casa facendola diventare il centro direzionale dell’ opera.
Sono stato poi preso dal mal d’Africa. Quando si va lì si fa la scoperta di un’altra dimensione che permette di capire quali sono le cose veramente importanti della vita. Dopo qualche anno di Africa, ritornando in Italia, non ci si sente più in sintonia con il mondo di qui. In Africa i valori fondamentali dell’amicizia, dell’affetto e della vita sono molto più manifesti. Tutti si parlano e si aiutano. E’ tutto molto più spontaneo. Credo che la povertà aiuti ad essere più aperti e che la ricchezza renda individualisti.
A livello personale ci si sente anche più importanti ed utili. Dopo la costruzione dei pozzi per l’acqua, nel vedere le donne in fila con le taniche si avverte immediatamente l’utilità delle opere realizzate. Il dottor Daniele Giusti, direttore sanitario dell’unico ospedale di una vasta zona, ci ha inviato una bellissima lettera dicendoci che, da quando abbiamo costruito i pozzi, le malattie legate alla verminosi sono radicalmente crollate. Si può sempre vedere Dio nel fratello africano che si aiuta ma c’è anche il rischio di venire sfruttati, in quanto bianchi e ricchi. La natura africana è poi bellissima e il cibo meraviglioso. Il nostro cibo italiano non ha più niente a che vedere con quei sapori.

Giorgio Macchi (Varese). Vorrei capire se il vostro sforzo mira a uno sviluppo generico per il miglioramento delle condizioni di vita o anche alla evangelizzazione.

Carlo Manfredini. In Africa i cammini e le esperienze sono diverse. L’esperienza di Avsi parte dal Movimento di Comunione e Liberazione che ha la preoccupazione di educare la persona attraverso l’incontro con la Chiesa. Don Vittorio era partito dall’idea di sostenere le opere sociali delle missioni cattoliche e si è buttato sul progetto dell’acqua, fondamentale per la vita delle popolazioni. Anche noi però ci siamo posti il problema dell’evangelizzazione. Mio fratello don Enrico ha tracciato delle linee per i laici in missione. Voleva che ci impegnassimo in attività lavorative per offrire una testimonianza laicale secondo lo spirito del Concilio. Africa Mission è composto da laici che operano per amore di Dio e dei fratelli. E’stata una scelta. Ognuna nasce rispondendo ad un carisma. Chi va in Africa sa che lì si deve fare tutto ciò che si sa fare per insegnarlo agli africani. L’Africa non è fatta per chi vuole fuggire dai propri problemi. Lì i problemi sono ingigantiti dalla solitudine e dalle difficoltà di adattamento all’ ambiente e al clima.

Don Giancarlo. Ho ricevuto adesso un messaggio che permette di collocare la testimonianza di Carlo nel cammino verso la sua fin. E’ uno scritto del cardinale Newman, teologo anglicano profondissimo passato al cattolicesimo, che offre una visuale onnicomprensiva.
“Io sono creato per fare e per essere qualcosa per cui nessun altro è creato. Io nel piano di Dio, nel volto di Dio occupo un posto mio. Un posto da nessun altro occupato. Dio mi conosce e mi chiama per nome. Dio mi ha creato per rendergli qualche servizio ben definito. Mi ha affidato un lavoro che non ha affidato a nessun altro. Io ho la mia missione. Potrei non conoscerla mai in questa vita ma mi sarà svelata nell’altra. In qualche modo io sono necessario ai suoi intenti. Tanto necessario al mio posto quanto è necessario un arcangelo al suo”.
Se si desidera vivere Gesù, specchio vivente del Suo amore, si ha sempre bisogno di attingere alla fonte dell’educazione permanente dell’umano che è il divino. Il messaggio del Natale è che il divino vuole tanto bene all’uomo da inabissarsi nell’umano fragile per renderlo grande e capace di amore. Nell’umano ferito vive il desiderio di Infinito. La vocazione dell’uomo è vivere di Dio.
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