Assemblea di novembre 2003
Natale Colombo(Usmate). Un saluto particolare soprattutto a chi è qui per la prima volta. Iniziamo quest’incontro mossi dal desiderio che ci ha spinti qui. Dentro di noi vive la tensione di essere felici nonostante tutto. Noi siamo fatti per la felicità. Invito don Gigi a presentarci le persone che ha accompagnato. Un saluto anche alla famiglia di Melzo che ci ha conosciuti attraverso l’inserto di Avvenire.
Don Gigi Peruggia.Gli amici che vengono da Agrate sono Rita, Rina, Anna, Tania, Silvio, Luisella, Elio e Carla. Sono parte del gruppo “Teniamoci per mano” chiamato così da Tania e Silvio, genitori che hanno perso i loro due ragazzi l’anno scorso in un incidente.
Li avevo già invitati ma, solo oggi, hanno voluto provare Ho spiegato loro chi siamo e le finalità che muovono il gruppo. Per capire non servono tante spiegazioni. Occorre venirci e provare.
Don Giancarlo. Non possiamo dimenticare gli amici venuti da Roma per stare con noi qualche ora e per rinsaldare l’amicizia.Quando un legame si rinsalda significa che è vivo. I legami non devono essere lasciati sopravvivere o in balìa degli umori. I legami che hanno acceso nel cuore una speranza sono da coltivare con cura preferenziale spendendo per essi tempo ed energie. Attraverso la loro alimentazione la persona si ricarica. Prima di venire qui mi chiedevo: “Chissà se, anche oggi, riusciremo a comunicarci cose belle. Le cose belle non sono quelle piacevoli ma quelle vere. Il bello accade quando l’umano brilla della luminosità del vero. Preghiamo con un inno dell’ Avvento ambrosiano.
Innalziamo nei cieli lo sguardo
La salvezza di Dio è vicina
Risvegliate nel cuore l’attesa
per accogliere il Re della gloria
Sorgerà dalla casa di Davide
Il Messia da tutti invocato
Prenderà da una vergine il corpo
per potenza di Spirito Santo.
Ora visita noi nella fede
per donarci la vita di Dio.
Tu ci offri il Tuo corpo e il Tuo sangue
a salvezza del nostro peccato.
Noi crediamo che all’ultimo giorno
tornerai con potenza e splendore
per premiare in eterno gli eletti
e punire col fuoco i cattivi.
Fa’ che allora guardiamo sereni
il Tuo volto raggiante di gloria
per seguirti lassù dove regni
con il Padre e lo Spirito Santo.
Quando si arriva qua e si canta, il nostro cuore si apre a un respiro di speranza. Se al contrario ci si chiude nel proprio io, si cade nel buio. Per uscirne bisogna alzare lo sguardo in cerca di luce ricordando magari certi momenti belli del passato. I minatori russi, rimasti imprigionati a ottocento metri di profondità, sono riusciti a mantenere viva la voglia di vivere pensando alle loro famiglie e ai compagni che si stavano prodigando per loro.La voglia di vivere ci rende capaci di sopravvivere nei momenti bui e nelle situazioni limite. Questo è il primo ancoraggio cui aggrapparci quando ci sentiamo confusi e insicuri. Abbiamo pregato per questo.La salvezza di Dio è qui, incombe.
Il secondo ancoraggio è una compagnia in cui sentirsi accolti e amati. Questi due fattori sono vivibili da chiunque e implicano la decisione della libertà personale. Preferire determinati legami o esperienze rispetto ad altri richiede fatica e il rischio della libertà.
Raimonda, nell’intervento del mese scorso, aveva detto: “Riguardando il mio passato sono convinta che il Signore ha in mano la nostra vita e ha su di noi un progetto buono e grande che mira a portare tutti alla salvezza. Vuole che noi possiamo essere felici per tutta l’eternità e che la nostra vita si realizzi anche se non nelle forme da noi pensate”.
Avere dei progetti è umano, anzi è cosa buona. Avere attese sulle possibilità della vita è giusto. L’importante è tener presente che ciò che ci è donato non è nostro ma ci è affidato per un po’ di tempo. Educarsi alla dimensione della gratuità non cancella le ferite ma permette di non piombare nell’abisso della disperazione.
Il libro della Sapienza dice: “Lui mi ha dato. Lui mi ha tolto”. Colui che ha il potere di dare per amore ha anche il potere di togliere per amore e non per castigare. E’ duro accettare che Colui che ci ha dato tutto possa toglierci qualcosa che noi sentiamo importante e riteniamo nostro.
Raimonda aggiungeva: “Il Signore permette che i progetti come li pensiamo noi non si realizzano ma Egli ne favorisce uno grandissimo: la felicità nell’eternità. Noi tendiamo a dare tutto per scontato e sottolineiamo solo i lati negativi della nostra esistenza mentre sono molto di più le cose positive. Una cosa meravigliosa è stata quella di aver avuto mio figlio, di aver vissuto con lui e di aver potuto fare delle buone cose per lui. E’ pure un dono l’aver potuto maturare la mia fede conoscendo di più il Signore e rendendolo più presente nella mia vita. Mi sono stati donati tanti nuovi amici. E’ anche fonte di grande gioia vedere come il Signore opera nella vita delle persone”.
Ho voluto introdurre l’assemblea in questo modo perché la vita lo richiede e perché noi ambrosiani siamo in Avvento. L’Avvento ci ricorda e ci rassicura che Gesù continua a venire, a chiamare e a interpellare. A noi è chiesto di vigilare nell’attesa e a non sprecare nessuna delle opportunità che Gesù semina sul nostro cammino. Oggi è in corso una di queste opportunità.
Invito tutti ad intervenire sul primo capitolo del testo “Il miracolo dell’ospitalità”.
Alcune delle domande dicevano:
- “La gratuità ha la sua radice in una evidenza: tutto ciò che facciamo e siamo ci è donato. Nel discepolo in azione si riverbera la vita del Mistero”. In te che cosa risveglia o tiene desta tale autocoscienza?
- “Incontrandovi, chiunque si senta finalmente a casa, cioè ospitato e sicuro come bimbo tra le braccia del padre”. Dopo la perdita dei figli la gratuità dell’accoglienza è cresciuta e in che modo o è sprofondata?
- “Solo se si è amati si ama: amati non da chi e nei modi che noi desideriamo ma molto più profondamente”. La molla che ti spinge all’interessamento e alla condivisione è il bisogno personale e altrui o l’amore ricevuto che vuoi ridonare?
Anna Rimoldi(Busto A.). Sono la mamma della piccolissima Maria Gabriella. Don Giancarlo ci ha invitato a vivere le nostre sofferenze con gratuità. Io ho meditato su quest’aspetto con l’aiuto del nostro libro. Il testo ci suggerisce di vivere con gratuità il dolore che nasce all’interno di un rapporto con un figlio o con qualcuno a cui si vuole bene, un rapporto non corrisposto da cui nasce una sofferenza. "Il dolore nasce dall’impossibilità di corrispondenza dell’atteggiamento dell’altro con quello che noi abbiamo pensato o immaginato. Il dolore nasce dall’accorgersi di essere incapaci di colmare l’abisso della diversità. Perché la diversità è veramente un abisso”.(pag.15)
Mi chiedo quale maggiore diversità esista rispetto al fatto di un figlio che è tanto diverso da non esserci più. Non esiste una diversità maggiore della morte di un figlio. Egli è diventato assolutamente irraggiungibile, altro rispetto ai nostri progetti o rispetto a quelli che lui stesso aveva su di sè. E’ diventato altro rispetto al nostro desiderio di corrispondenza affettiva. Non possiamo più raggiungerlo, stringerlo. E’ proprio il “diverso” per eccellenza. E’ veramente un abisso quello che ci separa da lui. Portare dentro questa diversità è veramente una fatica.
Giovanni vive molto la presenza della figlia e la nomina in continuazione. A me piace questo continuo riferirsi a lei e tenerla lì come presenza viva tra noi. Questa presenza che è un’assenza, a volte, è però talmente difficile da sostenere!..Il rapporto che io ho con lei è sempre ambivalente anche se non voglio viverlo come rassegnazione.
Mi piacerebbe viverlo come gratuità, quindi con molta più libertà e coscienza di quello che sto vivendo ma mi costa davvero tanto. Come gesto di riconoscenza ringrazio tutti voi che ci avete insegnato a recitare: “Vieni Santo Spirito. Vieni attraverso Maria”. Credo che per vivere con gratuità il nostro dolore abbiamo bisogno di una compagnia e dello Spirito consolatore che ci aiutino a tenere lo sguardo innalzato e le braccia sollevate come faceva Mosè che, quando voleva garantire la vittoria, chiedeva di essere aiutato da qualcuno a tenere le braccia levate in preghiera verso il cielo.
Don Giancarlo. Teniamo presente che i nostri rapporti devono aiutare a vivere l’oggi, non il passato. Se si vive con speranza e con verità il presente, la storia che ci ha preceduto ne rimane illuminata. Importante è far luce sul presente, sulla condizione che ci chiama in causa ora. Se questa è illuminata e alimentata, il riflesso arriva su tutto, anche sui momenti difficili della vita passata e magari non ancora risolti. Non è detto che ciò che non è stato risolto debba risolversi.
Gesù non è venuto a cancellare il male o la povertà ma a dire: “Guardate me. Io sono tutto: la via, la verità, la vita, il pane disceso dal cielo, la risurrezione. Chi segue me, con semplicità di cuore, capirà”. Sì, capirà che la vita cambia, che nella storia può accadere il miracolo più importante: il cambiamento del proprio io.
Albina Taglianetti (Roma). Per me e mio marito Leonardo venire qua è importantissimo. Abbiamo perso, l’anno scorso a ferragosto, un figlio di quasi 16 anni. Avevo già letto il libro “Il miracolo dell’accoglienza”. Rileggendolo adesso con voi mi accorgo di cogliervi un messaggio diverso. E’ un aiuto a scoprire come don Giussani ci introduca alla sua esperienza. Riguardo alle domande proposteci ho incontrato difficoltà. Per quanto concerne la prima, ritengo importante soffermarmi sull’affermazione “nei discepoli in azione si riverbera la vita del mistero”. E’ evidente che la perdita di un figlio è un grande mistero perché fa nascere tantissime domande, fra cui il perché io viva. A tale domanda non riuscivo a dare una risposta da sola. Ritengo importante la presenza di compagni nel cammino verso il Mistero che mi tiene ancora in vita. Tali amici (e fra questi ci siete anche voi) mi fanno guardare alla vita tenendo vivo nel cuore il grido del perché sia successo una cosa così.
La tragedia dei soldati italiani morti in Iraq mi ha toccato. Il giorno seguente all’atto terroristico facevo lezione in una classe di ragazzi che mi sembrano molto superficiali. E’ arrivata la comunicazione della preside che invitava, per il giorno seguente, a un minuto di silenzio. Nel momento in cui l’ho detto ai ragazzi ho anche aggiunto che, per quanto avevo provato io, comprendevo il dolore di quelle famiglie. I ragazzi hanno voluto conoscere la mia storia e sono sorte molte domande. Una ragazza mi ha detto: “Quello che è accaduto a lei e a queste famiglie ci costringe a chiederci se la nostra vita ha un senso. Questo lo stiamo facendo adesso con lei. C’è sempre qualcuno che ci aiuta a scoprire se c’è un senso nella vita. Magari c’è bisogno di qualcosa di grave e di doloroso per scuoterci”. Sono rimasta molto stupita dall’ intervento perchè non me lo aspettavo. Non so nemmeno se questa ragazza sia credente o meno. Ho capito che non posso più giudicare questi ragazzi solo per il loro atteggiamento esteriore.
In una compagnia sono gli amici sicuri del loro cammino di Fede che permettono di capire la gratuità. Solo rimanendo fedeli a queste persone c’è la possibilità di non seppellire la domanda e di poter vedere nella quotidianità che il Mistero c’è e agisce in tutti gli uomini. Si possono fare anche grandi gesti ma è la vita di tutti i giorni che ci chiama ad accogliere il bisogno di chi ci vive accanto. Possiamo camminare solo stando insieme agli altri. Per questo motivo noi veniamo qui da Roma anche se ci costa sacrificio. Per non perdere il senso della vita occorre affrontare anche dei sacrifici.
Don Gigi.(Carate) Ho meditato soprattutto la pag.16 del nostro testo. Don Giussani racconta di una signora che non vedeva da diverso tempo. Andata da lui a confessarsi dopo la nascita della seconda figlia gli ha confidato che il primo sentimento provato dopo il parto è stato quello di una perdita. “Accettare questo distacco è una sublime gratuità. E’ il seme iniziale che tutti i genitori devono accettare quando si tratti della vocazione del proprio figlio. Incomincia ad andarsene. Questo significa che chi nasce, nasce per il suo destino che non è fissato neanche da lui perché la vocazione la dà Dio e nessun altro”.
Questo pensiero mi ha riportato alla mia mamma che mi ha avuto con difficoltà quando era già avanti negli anni. In alcune lettere scoperte dopo la morte dei miei genitori, ho letto della loro paura di non riuscire ad avere figli. Durante un congresso eucaristico hanno chiesto a Dio il dono di un figlio che si impegnavano a restituigli. Io sono nato esattamente nove mesi dopo. La mia mamma è poi vissuta quasi sempre da sola poiché, dopo la mia nascita, il papà si è ammalato e, nel giro di quattro anni, è morto. E’ rimasta vedova dopo sette anni di matrimonio. Sapendo che presto avrebbe “perso” anche il figlio mi ha affidato a dei parenti. A undici anni ho preso la strada del seminario e, per dodici anni, ci siamo visti ogni quindici giorni per alcune ore nella sala di ricevimento del seminario. Ha potuto godere della mia presenza quando era già anziana. Mi ha sempre incoraggiato a proseguire per la mia strada limitandosi a darmi dei consigli e a lasciarmi libero. Quando ero già sacerdote mi ha confidato che, chiedendomi in dono a Dio nella preghiera, aveva aggiunto: “Quando sarà grande prendilo. E’ gia Tuo”.
Colgo anche l’ occasione per proporvi a Natale un pellegrinaggio in Terra Santa che non si limiterà alla visita di luoghi sacri ma incontrerà persone in lutto per la perdita di familiari e, spesso, anche della la speranza di poter rimanere lì per la mancanza di lavoro e di sicurezza. Con loro condivideremo momenti di preghiera, di fraternità, e di aiuto materiale.
Giorgio Macchi (Varese). Non avevo mai pensato alla diversità umana come è espressa nel testo di Don Giussani. I fatti di questi giorni( attentato alle truppe italiane di stanza in Irak, oltre ad alcuni fatti personali) mi fanno capire che è difficile stare con un’altra persona, guardarla negli occhi ed essere veri e sinceri con lei. Dio, per facilitarci il compito di vivere con il diverso da noi, ha seminato nella natura umana il germe dell’amore. Uno dei segni più eloquenti di esso è il matrimonio. Nel gruppo di fraternità, qualche sera fa, ponevo la domanda: “Il dolore per l’uomo è necessario? E’ una cosa buona o cattiva”?
Il dolore è un’esperienza da cui tutti fuggono. Il dolore fa piangere mentre l’amore fa sorridere. La società, televisione in testa, fa sì che il dolore sia il più possibile censurato e rimosso.Sono convinto che chi ha vissuto una storia come la nostra, di fronte alle tragedie, provi qualcosa di più della commozione.
Mi sono reso conto che il mio dolore, vissuto nella carne per più di 16 anni, non poteva ridursi a semplice commozione. Ho notato anche una differenza tra il mio modo di soffrire e l’emozione generale degli italiani. Il mio è un dolore educato in una compagnia e, quindi, non disperante. Nelle scene televisive ho assistito a un dolore non educato che fa soffrire ma non porta frutti. Mi sono sentito fortunato perché ho riconsiderato e rivalutato la presenza di tanti amici che, al mio fianco, mi hanno aiutato nei momenti più critici ad educare l’esperienza del dolore.
I genitori dei militari chiedevano allo Stato di non essere lasciati soli. Noi sappiamo che la solitudine è il peggior nemico perché impedisce di vedere la luce di cui parlava don Giancarlo.
Il dono della Fede e di una compagnia di amici fa sì che il nostro dolore porti frutto alle famiglie che incontriamo. In ogni momento Dio ci è di aiuto.
La morte di mia figlia Lidia, dopo 16 anni, è ancora avvolta nel mistero. Non abbiamo avuto le risposte che potevamo attenderci dalla giustizia. Nasce un figlio e si fanno dei progetti. Raramente ci si rende conto che il figlio è un dono affidato. Poi, improvvisamente il male se lo porta via. Scaturisce subito la domanda: Dio è buono o cattivo? I suoi progetti su di noi sono per la nostra felicità o meno? La moglie del brigadiere Coletta, ucciso a Nassirja, ha detto “Dio è amore”.
Per aver detto sì a questa compagnia posso affermare anch’io che Dio è amore. Mia figlia Lidia ha cambiato la mia vita insegnandomi una modalità più giusta e più gustosa di viverla. I nostri figli ci sono e sono il motore della nostra vita.
Gino Varrà( Milano). La testimonianza di Giorgio mi ricorda una serata trascorsa in casa di amici con i quali abbiamo commentato i fatti di Nassirja. Un tizio molto colto dimostrava disprezzo verso tutto e verso tutti. Ho tentato di fargli capire che il senso della vita è di essere generata e guidata da un Altro. Invano. Ribatteva che la sua vita era in grado di programmarsela lui. Gli ho ricordato che aveva di fronte uno che gli poteva dimostrare che le cose non andavano così e che la morte di Luca ne era una conferma. Tale amico, in questi anni, non mi è stato di aiuto. L’aiuto mi è invece venuto da una compagnia ricca di fede che mi ha accompagnato nel tempo finché non sono stato in grado di camminare da solo.
Marcello Crolla(Busto A.). Mi riferisco alla terza domanda:”Solo se si è amati si ama”. Negli ultimi tempi sono stato richiamato dal disegno del Signore per la seconda volta. La prima volta, quando nella mia vita sembrava che tutto andasse bene, il Signore mi ha fatto capire che mio figlio Mirko non mi apparteneva e, per questo, se l’è preso.
Per la seconda volta il Signore mi chiede di guardarlo con più attenzione. Nel giorno in cui mia figlia Erika iniziava il primo giorno di lavoro dopo la laurea, io venivo ricoverato con urgenza in ospedale. Nessuno sapeva dirmi cosa fosse successo ai miei polmoni. Quella sera sarei dovuto andare a prendere Erika in stazione. Così non è stato. Mia figlia è tornata a casa da sola ed è venuta a trovarmi in ospedale.
Il periodo trascorso in ospedale mi ha permesso di riflettere su alcuni temi dell’esistenza umana: la felicità, la tristezza, il dolore, l’accoglienza, la speranza. Più ci riflettevo e più si faceva vivo in me il desiderio di ringraziare Gesù per tutto quello che mi aveva dato, per non avermi mai abbandonato alla disperazione e alla solitudine. Ho ringraziato per il dono della speranza e per il desiderio di comunicarla ad altri. Nonostante tutto quello che succede intorno abbiamo il diritto di essere felici. La felicità ci appartiene, ci attende; dobbiamo però cercarla. L’uomo e la donna sono stati creati per questo. La felicità appartiene all’uomo che ha fatto l’esperienza del sentirsi amato.
Natale Colombo(Usmate). Le testimonianze che abbiamo ascoltato sono per tutti noi. Il nostro essere qui non è solo una fatica ma è un aiuto che dà senso a quanto ci è accaduto e ci porta ad avere più attenzione all’altro. La felicità è il frutto dell’amore che si dona.
Intervallo
Ripresa con canto de “Il seme”
Don Giancarlo. Abbiamo ascoltato testimonianze ricche di riflessioni maturate nel cammino. Mi auguro che quando riceverete la sbobinatura diventino spunto di meditazione.
Giorgio, riferendosi all’emozione del popolo italiano per le vittime di Nassirja e alla domanda delle mamme di non essere lasciate sole, ha distinto il dolore dall’emozione. Tale distinzione è fondamentale. Infatti, mentre l’emozione è passeggera, il dolore permane e bisogna imparare a conviverci. Solo dopo tale fase il dolore può diventare anche possibilità di amore.
L’uomo non è fatto per il dolore ma per la felicità. Non per una felicità paradisiaca ma per una felicità storica che, nella condizione esistenziale dell’uomo, è contrassegnata dal dolore.
Il dolore, subentrato come castigo dopo il peccato originale, è uno dei segni che caratterizzano la condizione della felicità precaria dell’uomo. Sul dolore è bene far calare la luce dell’ uomo dei dolori.
Isaia, sette secoli prima della sua incarnazione, ha definito Gesù con tale appellativo. Durante la vita Gesù ha accolto e condiviso l’ esperienza di persone sofferenti nel corpo e nello spirito. Nell’agonia e nella morte in croce è poi diventato l’ icona del dolore. Nel gesto della Redenzione ha purificato tutto nel suo amore e ha ricollocato il dolore nell’orizzonte della felicità.
Il dolore è tornato a essere possibilità di bene. Da allora i discepoli hanno incominciato ad accettare il dolore come prova di amore al Maestro. Il dolore ha così subito una trasfigurazione: da segno negativo è divenuto occasione di purificazione e di bene per la promessa del centuplo fatta da Gesù. Anche noi, come i primi, stiamo imparando ad accettare e a condividere il dolore come segno di amore a Cristo che ci dice:“Non scoraggiatevi; venite a me voi che siete affaticati e oppressi. Io vi ristorerò”.
Gesù risorto è presente e vive in mezzo a noi attraverso il volto delle persone che lo hanno incontrato e che ce lo fanno sentire come presenza liberatrice.
L’emozione per i fatti di Nassirya passerà. Il dolore e le prove della vita ci saranno sempre. Bisogna imparare a vivere tutto nell’ottica della speranza “Tutto coopera al bene di coloro che si sentono amati da Dio e per questo hanno il coraggio di amarlo in ogni situazione”. (Rom.8)
Una settimana fa, in copertina al telegiornale delle 20,30 di Rai 2, lo speaker ha letto l’intervento di don Giussani sui fatti di Nassirya. Meditandolo per farlo nostro, capiremo cosa significhi educarsi alla dimensione della gratuità. Il cuore della gratuità è riconoscere che ciò che c’è è donato, ciò che io sono è frutto di un amore che mi ha fatto e mi sta facendo. Solo chi riconosce e accetta questo, nella pazienza del tempo, si educa ad accogliere un diverso da sé, fino ad amarlo. Il dolore nasce dalla constatazione che non si riesce a colmare l’abisso esistente tra noi e chi è diverso da noi, anche nei rapporti tra marito e moglie o tra genitori e figli. Un papà, la cui figlia è morta tempo fa, mi confidava che non riesce ad avere un dialogo con il figlio di 18 anni. Purificato e illuminato dalla sofferenza per la perdita della figlia, ha accettato anche questo nuovo dolore ed ha incominciato ad affidare il figlio al Signore perché pensi Lui a guidarlo.
Nell’articolo sopratcitato don Giussani afferma: “Che orrore, che vergogna! Ogni strage è vergognosa per la dignità dell’uomo…“Né il sol più ti rallegra, né ti risveglia amor”. Il pianto antico di Carducci custodisce nel cuore della nostra storia quel mistero per cui Dante Alighieri prega la Madonna perché una ricchezza di umanità nuova affermi la vittoria del bene attraverso il suo dolore di sposa e di madre:“ In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontade.” Così per noi diventa grande l’urto del cuore per il giudizio della signora, moglie del brigadiere Coletta, che ha parlato davanti alle telecamere del telegiornale.
In te misericordia. Sì, perché l’uomo cade senza conoscere il dove, il come, il quando.
In te pietate. Perché l’uomo è debole, è contraddittorio, è fragile fino alla morte.
In te magnificenza. E’ il comunicarsi di una forza di vittoria come luce finale. La bontà è il motivo d’azione per l’uomo. Quanto canto popolare potrebbe risorgere se un’educazione del cuore della gente diventasse orizzonte di azione dell’Onu invece che schermaglia di morte, favorita da quelli che dovrebbero farla tacere, tra mussulmani ed eredi degli antichi popoli, ebrei o latini che siano!
Questa educazione del popolo sarebbe la vera ricchezza della vita del popolo stesso. Se ci fosse un’educazione del popolo tutti starebbero meglio. La paura o il disprezzo della Croce di Cristo non farà mai partecipare alla gioia di vivere all’interno di una festa popolare o di un’espressione familiare. Chi odia Cristo si disumanizza. La testimonianza di Dante Alighieri è invece rifiorita nel dolore della signora Coletta. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate.”
La bontà, che è l’espressione dell’amore, è la ragione che spinge l’uomo ad agire. Chi si sente amato diventa capace di amare anche il dolore. Non il dolore in sé ma il suo valore di purificazione, di rinascita e di pienezza.
A pag.23 del testo, notiamo l’insistenza sulla parola gratuità che, come sciabolata di luce, penetra e illumina il buio di tanti momenti della vita. “La parola , in questa necessità di alzare lo sguardo che caratterizza la realtà di Cristo tra di noi è la parola gratuità. Gratuità, amore senza tornaconto, umanamente senza motivi, senza nessuna ragione, senza ragioni che la ragione capisce o spiega, senza nessun diritto cui aderire o cui obbedire. Egli è venuto gratis, in questa carità. “Perché mi hai creato?” “Perché ti ho amato!” “E perché mi hai amato?” “Perché ti ho amato!” “E perché, nella confusione e nelle tenebre del mondo, Tu sei venuto come luce sul mio cammino, sulla mia strada, mi hai afferrato e collocato dentro di Te, dentro il mistero della Tua persona, mi hai chiamato alla comunione con Te?” “Perché ti ho amato!” “E perché mi hai amato?” “Perché ti ho amato!”. La gratuità è l’infinito, che è ragione a se stesso, è quella che caratterizza di più il grande gesto con cui il Mistero ci si è comunicato”.
Albina ci ricordava che il Mistero non è l’ignoto, bensì la presenza di Gesù che ci ama.
Dio non deve dare spiegazioni a nessuno. Di fronte a tutte le domande e a tutti i dubbi, la risposta è l’amore del Padre.“E perché, nella lunga fila del popolo cristiano, così facilmente distratto, così facilmente distolto dal suo centro dal mondo in cui vive, così facilmente abbandonato, come pecore abbandonate dai pastori, mi hai raggiunto così concretamente in quella tale occasione che mi ha determinato a un atteggiamento, a un assetto di vita diverso?” “Per amore, per carità, gratuitamente, gratis”.
Portiamole nel cuore queste parole che,come luce, fendono lo spessore di tanto buio. Se in casa c’è il Crocifisso lasciatevi guardare da Lui e guardatelo. Allora capirete. La soluzione che Lui ha portato non è la soluzione dei problemi, è l’amore. Il legame d’amore deve essere alimentato e rafforzato per non sentirsi smarriti e confusi.
Natale Colombo. Durante la Messa saranno ricordati i nostri ragazzi e in particolare: Marco Benzi, Mario e Alberto La Terra, Marco Scampini, Silvia Zambon, Davide Capobianco, Simonetta Seribelli, Carla Croci, Doris Pastrello, Gian Marco Roveri, Mara Brunelli, Giorgio Di Dio. Ricordo il messaggio di Don Gigi riguardo il pellegrinaggio in Terra Santa; qui ci sono molte copie del programma.
Sabato 29 novembre si farà in Italia la colletta alimentare che ha come slogan “Condividere i bisogni per condividere il senso della vita” Il gesto di donare la spesa ai poveri educa a cambiare l’uomo per costruire la società e rientra nella legge del buon samaritano che trasforma in risorse le eccedenze. Sono il frutto di un’educazione al dono e alla condivisione, una reale occasione di cambiamento personale.
Nella colletta del mese scorso abbiamo raccolto 184 euro. A gennaio daremo il resoconto del bilancio di quest’anno
Nel terzo weekend di marzo c’è la proposta di un pellegrinaggio a Roma. Chiudiamo con la preghiera di Famiglie in Cammino.