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Agosto: Giornata nazionale di Rimini

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Meeting di Rimini: agosto

Natale Colombo (Usmate).Mi chiamo Natale Colombo e faccio parte del gruppo di Fraternità di Famiglie in Cammino. Insieme agli amici presenti vi porgo un saluto e il benvenuto.
Dall’anno scorso siamo presenti al Meeting con uno stand. Ciò ha facilitato l’incontro con persone che vivono il dramma del comune dolore. Trovarci insieme ci fa bene e ci aiuta ad affrontare la vita.
I cartelloni esposti in questa sala sono indicativi del percorso che stiamo seguendo.
Per capire meglio ci facciamo aiutare da Don Giancarlo, nostra guida spirituale e amico. Provocati anche da ciò che ascolteremo potremo poi intervenire.

Canto: Pon tus manos en la mano del Senor de Galilea……

Don Giancarlo. Con questo canto ci affidiamo alla presenza del Mistero che ha assunto il volto umano di persone catturate e trasformate dal suo amore. Permettiamo che la nostra mano, simbolo dell’uomo in cammino, sia presa nella sua che è la più sicura.
La storia è maestra di vita. Chi è attento non solo alla storia dell’umanità ma anche alla trama di avvenimenti, incontri e prove che toccano la sua vita, ha la possibilità di imparare l’essenziale.
Da 13 anni ci stiamo aiutando per far sì che lo sguardo del nostro cuore sia indirizzato all’essenziale. L’Essenziale non è in noi; è altro da noi, è nell’ “Oltre” come ci racconta il primo tabellone:

Famiglie in cammino: oltre la morte di un figlio

Per i genitori provati dalla perdita di un figlio, l’oltre non è innanzitutto un dopo ma un prima. Nel prima di tutta la realtà c’è l’Eterno, il Mistero che, nel corso della storia umana, si è fatto conoscere e ha dato di sé l’immagine di una Padre buono.
Il contenuto di questa bontà, paradosso dell’annuncio di Gesù, non si identifica e non si esaurisce in ciò che noi riteniamo buono ma si estende a tutto ciò che c’è e a ciò che accade affinché si compia il destino di tutto e di tutti.
La bontà di Dio si è manifestata come misericordia in Gesù di Nazareth. Misteriosamente ma realmente, tutto concorre alla salvezza dell’uomo. Salvezza è compimento dei desideri più profondi di cui è fatta la natura umana, riassumibili nella parola felicità.
Il disegno buono di Dio che ha preso forma in Gesù svela il segreto che tutto serve per la salvezza, anche il dolore, la prova, l’incomprensibile…Non a caso il titolo del Meeting dice: “C’è un uomo che ama la vita e desidera giorni felici?”.
E’ la domanda che attende la libera risposta di ognuno.
L’uomo portatore di amore alla vita e custode del desiderio di felicità lo vediamo in azione ad esempio in chi non si rassegna di fronte al morire che è la prova più terrificante della vita.
Anche voi che siete qui siete la dimostrazione più convincente che la perdita dei figli non vi ha devastati e travolti. L’Oltre, il Prima, ha immesso in voi un’energia inesauribile che vi ha mobilitato nella ricerca di una risposta. A molti poi ha regalato il ricupero della speranza e il gusto del vivere.

Per capire il senso del vivere non bisogna mai partire da ciò che si è perso. Sulla perdita si costruiscono ribellioni, lamenti, angosce…e persino fughe dalla realtà (esoterismo), reazioni tutte illusorie e inappaganti. Anche se umanamente comprensibili.
Il punto vero di partenza è la realtà nella sua interezza e non solo in alcune contingenze. Solo a questa condizione il nostro io impara a decifrarla nel suo significato più profondo e positivo. Il Papa nell’enciclica Redemptor hominis dice che “l’uomo, nella sua sofferenza, rimane un mistero intangibile”. Il cammino di questi 12 anni ci ha fatto scoprire che l’amicizia aperta al disegno di Dio è l’ambito in cui si è aiutati a mettersi di fronte alle circostanze della vita e a giudicarle alla luce della Fede nel Signore che salva. La fede in Gesù rende l’uomo realista e capace di speranza.
Non pretendiamo che chi ci incontra abbia la Fede in Cristo ma che sia realista, accetti cioè la sua condizione e segua quelli che, prima di lui, hanno incontrato Cristo come vincitore della morte e come redentore di tutta la realtà: “Io sono la Resurrezione e la Vita”. (Gv 9) “ Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (Rom.5)
Cristo è la strada che porta a fare l’esperienza del rinnovamento (il centuplo), inizio e anticipazione del Tutto. Chi accetta di farsi accompagnare dalla nostra compagnia e di lasciarsi introdurre a quello che Gesù è e a ciò che dice sul dramma della condizione umana, ri-nasce.
Agli amici diciamo che la fede cristiana è un dono che si incontra in uomini che la vivono e la declinano come accoglienza e condivisione premurosa.
Chiediamo loro di affidarsi e di non scoraggiarsi quando ci si accorge di non essere ancora capaci di accettare quanto è successo. Chiediamo di partire dallo sguardo di chi il Signore ha messo sul loro cammino e di incominciare ad affrontare la vita con il loro sguardo.
Chiediamo di prendere iniziativa e di chiedere aiuto per uscire dal tormento, di lasciare alle spalle il vuoto, di partecipare ai nostri incontri, di fare una telefonata o di cercare qualcuno di noi…Questo domandare è già segno iniziale di preghiera. Chi domanda sa attendere nella pazienza.
Il mistero dal volto buono che è Dio ci è venuto incontro attraverso Gesù che ci raggiunge attraverso persone che, provate come noi, ci danno una carica umana e ci trasmettono la loro speranza. Dopo l’incarnazione di Cristo l’umano è strumento e veicolo della grazia di Dio.

Giuseppe e Tina Forame, due amici milanesi, hanno perso il loro unigenito Matteo di 20 anni in un incidente stradale.. Dopo alcuni anni hanno scritto:
“Ciò che ci ha depressi, dopo la morte di Matteo, era la mancanza di speranza. Un genitore progetta il futuro del figlio e, a un certo punto, non c’è più niente. Attraverso l’incontro con gli amici di Famiglie in Cammino e attraverso il loro modo di vivere, siamo riusciti a riconoscere Gesù Cristo sul loro volto e a ritrovare la fede; e, attraverso la fede, anche la speranza di reincontrare nostro figlio”.

Marcello e Marisa Crolla di Busto Arsizio scrivono:
“Chiudersi in un cuore arrugginito sarebbe come far morire di nuovo i nostri figli. E’ più umano e più saggio aprire il nostro cuore e chiedere al Signore aiuto perché possiamo, giorno dopo giorno, guardare alla nostra realtà. La vita deve continuare ad avere un senso, nutrito dalla speranza”.

Simonetta e Gilberto di Milano, sull’autostrada che da Rimini conduce a Porto San Giorgio, hanno perso qualche anni fa la loro unica figlia, la mamma e la nonna. L’anno scorso hanno adottato due fratelli cileni. Ci hanno scritto:
“A seguito di un incidente automobilistico sono morte la mia unica figlia, mia mamma e mia nonna, avevo perso in un solo colpo tre generazioni. Più prendevo consapevolezza di quello che era successo e più cresceva in me e in Gilberto mio marito la certezza che un evento così grande non potevamo viverlo da soli. L’incontro, apparentemente casuale, con Famiglie in Cammino ci ha cambiato completamente la prospettiva facendoci intravedere una luce in mezzo al buio. Lì abbiamo reincontrato Cristo e abbiamo iniziato un cammino di fede che ci ha portato a crescere spiritualmente e ad aiutare chi il Signore mette sulla nostra strada”.


L’incontro con il segno vivente di Cristo diventa fonte di speranza e inizio di certezza. La morte non appare più solamente come una perdita ma come una possibilità di arricchimento del cuore e della vita attraverso la comunione dei Santi. Il figlio è così ricuperato in una prospettiva di memoria più vera e più profonda perché completata dall’abbraccio definitivo della misericordia di Dio. Anche il dolore carnale comincia a trasfigurarsi. All’inizio il dolore assomigliava a un abisso senza fondo che rendeva la vita insopportabile. Nel tempo si trasforma e può arrivare ad assumere la fisionomia del dono. Il dolore si trasforma in amore missionario. La speranza in Cristo risorto ci fa diventare strumento di speranza per altri.
Famiglie in Cammino è un’opera nata da un gruppo di amici che spende energie e intelligenza per far incontrare ad altri la speranza e la gioia di vivere.

Giorgio Macchi: Ringraziamo don Giancarlo per il suo intervento. Nell’esperienza del dolore è facile chiudersi. Nella mia vita ho visto difficilmente la sofferenza sfociare in una fonte di vita nuova. Normalmente ho visto depressione, disperazione e chiusura. Molti, pur tendendo alla felicità, non la incontravano perchè mancavano dell’energia sufficiente.
L’amore per i figli persi, anziché riaccendere la vita, la rende una valle di lacrime. Tale dramma deve diventare motivo di riflessione per capire con chi mettersi e a chi guardare. Io posso testimoniarvi che, nella vita della mia famiglia, il dolore è diventato fonte di rinnovamento.
Vi invito a portare il vostro contributo.

Anna Bellini (Rimini). Vi leggo queste righe che sono frutto della mia riflessione sul dolore.
Ci sono momenti nella vita in cui tutto sembra distrutto da un uragano che in un attimo spazza via l’edificio costruito con pazienza per anni. Sono i momenti della morte delle persone care, specialmente di quelle da cui mai avremmo pensato di separarci.
Infatti, ognuno di noi, in qualche modo, si prepara col pensiero alla morte dei nonni o dei genitori anziani. Ma la morte di un figlio determina nel cuore una lacerazione e un vuoto che sembrano incolmabili. Allora ogni cosa intorno a noi crolla e ci si trova per terra in un deserto arido.
Sono questi i momenti in cui ci rendiamo conto che con le nostre forze non possiamo salvarci e che la disperazione può tentare di schiacciarci totalmente. In quei momenti siamo come naufraghi che stanno per essere travolti dall’onda che incombe su di noi. Ci troviamo tra la vita e la morte. Vorremmo subito morire per non soffrire così atrocemente e, nel contempo, percepiamo in noi un prepotente desiderio di continuare a lottare.
Le vanità di questo mondo non ci interessano più. Scopriamo all’improvviso che la vita non ha più senso senza la presenza di nostro figlio e che nulla ci interessa più. Per sopravvivere dobbiamo in qualche modo ritrovarlo. E’ proprio in questi momenti, nel vuoto improvviso che prende forma dentro di noi, che avvertiamo il bisogno di Dio. E’ proprio così! Accade un fatto strano. Sotto quella tremenda scossa irrompe Dio nella nostra vita. E’ lui che invochiamo e che interroghiamo. Il nostro dolore deve avere una risposta. Nasce in noi fortissima l’esigenza dell’immortalità perché non possiamo credere ed accettare che tutto finisca e che quel mondo di amore, di tenerezza e di dedizione reciprocamente vissuto sia scomparso per sempre. Allora ci accorgiamo che gli altri non possono aiutarci e che solo Dio, nel suo silenzio, può darci la risposta che cerchiamo. Solo Lui può darci la certezza che i nostri figli non sono andati persi ma che hanno raggiunto la meta. Sono insieme a Lui e ci guardano. Il loro amore per noi non è svanito ma è cresciuto e si è purificato. Ci hanno solo preceduti nella vita definitiva. Il Signore li ha amati tanto da volerli subito accanto a Lui.
Si apre allora davanti ai nostri occhi una visione diversa della realtà ed un bisogno di impostare la vita in modo più vero e libero da ipocrisie. Ci rendiamo anche conto che la nostra Fede, fino a quel momento, era stata superficiale e forse ipocrita.
In tale prospettiva impariamo a giudicare le cose della terra con occhi più comprensivi e più buoni. Scopriamo che la vita umana è un soffio che prepara e introduce alla vita più vera. Dobbiamo chiedere aiuto ai nostri figli perchè ci insegnino a guardare in alto dove c’è la luce vera che mai tramonta. E poiché siamo sicuri che essi ci sono sempre accanto e continuano ad amarci, dobbiamo essere sereni e dobbiamo fare nostra la bellissima preghiera che Chiara Lubich rivolge al Signore.


                    Tu non passare. Tu solo sei fiorito per me
                    e nel silenzio di ogni cosa tu solo hai parlato.
                    Nell’assenza di ognuno tu solo ci hai fatto compagnia
                    ripetendoci soavemente le verità che non debbono affievolirsi nella nostra anima.
                    Qui siamo di passaggio. Il luogo dell’arrivo è un altro.
                    Tutti sono ombra e tu solo la realtà.
                    Passi la prova, Signore, ma tu non passare.
                    E chiudici, incantati nel dolore, nel cuore della Trinità.
                    L’inganno del mondo non ci riprenda.
                    Siamo contenti, Signore, anche nelle cose più sante
                    quando l’ala di un angelo ci discopre il celeste orizzonte
                    che la prova ci aveva bruscamente annientato.
                    Siamo contenti, Signore, perché il tuo amore
                    si mostrò in quei momenti così onnipotente
                    che la nostra anima è in adorazione fino al silenzio.
                    Passi, Signore, la prova che ci attanaglia l’anima fino all’agonia.
                    Non tramonti mai quella splendida tua figura luminosa
                    nella notte buia quando nel deserto del tutto
                    tu solo sei fiorito per me.
                    Solo il Santo sia con noi e in noi
                    e la santa vergine tua Madre.

Intervento di un’amica. Vivo una grande confusione e forse non riuscirò ad esprimere quello che ho in cuore. Mi trovo tra amici che non conosco ma con i quali condivido la pena più grande che un uomo possa provare. E’ una pena che porto dentro da nove anni. Mio figlio aveva 23 anni quando si è suicidato. E’ una cosa tremenda: Non so collocare la mia sofferenza in questo ambito. Capisco tutto quello che ho sentito e mi sforzo di condividerlo anche se ho una fede un po’ acerba, una fede che ho riscoperto dopo la morte di mio figlio. E’ l’unico modo di vederlo ancora vivo. Il suo suicidio mi crea uno scompenso enorme. Non è un ragazzo che lascio tra le braccia di Dio, in quanto io non so dove si trova lui adesso. Per me trovare conforto diventa, perdonatemi, uno sforzo che mi sembra più grande del vostro. Il suicidio è la negazione della vita da parte di chi ci lascia e non trovo conforto perché non so se lui lo ha trovato. E’ la prima volta che ne parlo e vorrei sentire qualcuno che, nelle mie condizioni, ha superato questo grande tormento che mi sembra insuperabile. Perché se Dio aiuta me ma non ha potuto aiutare mio figlio, che senso ha la vita? Ho amici che hanno perso il figlio e mi hanno aiutato; mi sento molto vicina a loro ma il loro figliolo lo hanno lasciato tra le braccia di Dio dopo tanta sofferenza e mi sembra che abbiano un conforto che li aiuta. Io non ho questo conforto.

Giorgio Macchi (Varese): La sofferenza per la morte di un figlio non dipende dalla causa della sua morte. E’ dovuta alla perdita fisica di quella persona, unica e irripetibile. Gli altri figli, se ci sono, ti possono aiutare ma non sostituire quel figlio/a. Mia figlia è stata uccisa con 29 pugnalate nella schiena e, ad oggi, non conosciamo il nome del suo assassino. Sono convinto che lei è però nelle braccia del Signore e così tutti gli altri nostri figli, abbracciati nella Sua immensa misericordia.
Dal momento che l’argomento è molto delicato forse è meglio lasciare la risposta ultima a don Giancarlo. Se qualcuno avesse vissuto lo stesso dramma e si sente di intervenire lo faccia.

Pinuccia Borsani (Cassano Magnago). Anche nostra figlia si è suicidata e nei primi tempi c’è stato solo il vuoto. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere degli amici che ci hanno accompagnato e ci hanno fatto capire che il nostro limite non ci permette di dare risposta ai tanti perché. Incontrando per la prima volta gli amici di Famiglie in Cammino e guardando a tutti loro ho percepito di incominciare a vivere il dolore in modo profondamente diverso. Noi siamo stati accolti in un modo grande senza pregiudizi e senza essere giudicati. Questo ci ha aiutati a fare piccoli passi, giorno dopo giorno, e soprattutto a dare un senso alla nostra storia. Adesso cerco di dedicare un po’ del mio tempo per incontrare i giovani. E’ è un modo per sentire più vicina Viviana.

Albina Taglianetti (Roma).Un anno fa abbiamo perso nostro figlio e i nostri amici che lavoravano al Meeting ci hanno fatto avere il pieghevole con la storia di Famiglie in Cammino. Ci ha colpito molto la preghiera scritta da don Giussani e l’abbiamo voluta incidere sulla lapide di nostro figlio così che chiunque possa pregare con tali parole.
L’incontro con questi amici non è avvenuto subito. Sono trascorsi prima alcuni mesi. Il nostro cammino è stato molto difficile nonostante la nostra lunga appartenenza al Movimento. Tanti amici ci sostenevano ma noi non riuscivamo ad accettare la morte di nostro figlio e la ribellione andava verso tutti e verso tutto.
A febbraio ci trovavamo a Milano per incontrare don Pontiggia. Abbiamo pensato di contattare questo gruppo e ci siamo rivolti dapprima a Marcello e Marisa, poi a Natale e Flora. Abbiamo avuto una grande accoglienza e siamo stati colpiti dalla loro serenità che a noi sembrava una cosa impossibile.
Incontrarli e sentire anche don Giancarlo ci ha fatto intravedere che la Resurrezione è un fatto, qualcosa di vivibile. Questo ci spinge ad incontrarli quanto più possibile perchè da soli non si riesce ad uscire dalla negatività. Incontrare loro mi aiuta a rivedere la realtà: mio marito, mio figlio e i miei studenti. La domanda è nella preghiera: “Aiutaci a vivere la vita con più verità”. Questo è il nostro compito. Lo possiamo adempiere guardando chi lo vive con certezza.
Io attendo e spero di poter capire qual è il mio compito con l’aiuto di questi amici.

Antonella: Per caso mi sono fermata al vostro stand e per caso ho incontrato Tiziana. Ho perso mio figlio 10 anni fa e ancora mi commuovo perché secondo me la matrice per una famiglia è l’attesa.
Quello che mi colpisce, nella mia storia, è questo: mi sono sposata nell’86 con tanti progetti e nel matrimonio, io e mio marito, avevamo chiesto: “Cosa ci porta ad amare pienamente la vita nelle sue gioie e dolori, nelle sue conquiste e perdite, nel suo flusso e riflusso. Dacci forza a sufficienza per vedere ed ascoltare l’universo e in esso lavorare con pieno vigore. Fa che viviamo in pieno la vita che ci hai donata, fa’ che coraggiosamente prendiamo e coraggiosamente doniamo”.
Nella Pasqua del ’90 è nato Giulio ed è morto nel Natale del ’93.
Il dolore è uguale per il cattolico come per il non cattolico. Ho accettato l’invito a questo incontro perché sia io che mio marito pensavamo al modo per ricordare il decimo anniversario della morte di nostro figlio. Di fronte al dolore tutti vorremmo scappare. Invece a noi è stato chiesto di viverlo senza avvalerci di manuali che ci indicassero un comportamento. Dopo dieci anni, mentre tutto tace, desidero ricordare, con una preghiera, quel dono che ci è stato dato e poi ci è stato chiesto di riconsegnare al Padre.
Solo la grazia del Padre ci ha tenuti saldi come coppia e come famiglia, non c’è niente di scontato. La grazia elemosinata quotidianamente allontana il dolore e le ribellioni. La nostra povera umanità ha fatto sì che quell’Ostia bianca venisse accolta e amata in un abbraccio totale e completo. Sono grata a Dio che mi ha regalato Giulio.

Giorgio Macchi(Varese). Tutti noi siamo grati a Dio che ci ha regalato i figli. La vita è un dono.
Il nostro problema, oggi, è capire se la morte ha l’ultima parola su di noi. L’amore per i nostri figli deve finire perché non ci sono più fisicamente o può essere fonte generativa di amore per altre persone?
Un amico mi raccontava come suo figlio era generoso, aveva dentro la gratuità pur non avendo fatto nulla di particolare. E’ bello scoprire i nostri figli attraverso gli amici e le persone che li hanno conosciuti. Come genitori, molte volte, siamo preoccupati di altro e conosciamo poco della loro vita. Gli amici sono un aiuto insostituibile. Essi ci fanno ricordare e completare la figura umana dei nostri figli testimoniando la loro esistenza e confermando il loro compito.
Noi siamo certi che i nostri figli non ci sono stati dati per caso e poi cancellati con la morte; sono stati messi nel mondo per un compito. Sta a noi scoprirlo per continuarlo.

Enrica(Rimini). A me è successo quasi il contrario di quanto è stato per altri. In ciò che ci accadeva ho subito visto un disegno buono. Dopo due anni sto facendo molta più fatica e ho dentro molta rabbia.

Giorgio Macchi. Se noi viviamo un ricordo solo sentimentale di com’erano i nostri figli, ad un certo punto, abbiamo un crollo. Noi chiediamo a Dio che ci aiuti a mantenere viva la memoria, cioè a sentire il figlio vivo in noi e che opera attraverso di noi. Così avviene il cambiamento. Mia figlia Stefania mi diceva che lei pregava affinché Dio le mantenesse desto nel cuore il dolore per la morte della sorella Lidia perché solo in tal modo poteva farne memoria per la sua vita. Allora mi sembrava assurdo. Tutti noi infatti preghiamo perché il dolore passi. Il cuore del percorso luttuoso non è la dimenticanza o il sentimento ma la purificazione e la trasfigurazione del dolore.
Quando diciamo grazie al Signore non è certo per la morte del figlio ma per il percorso del dopo che effettuiamo con il suo aiuto.

Marcello Crolla( Busto A.). A distanza di 13 anni dalla morte di mio figlio non sono stato ancora vaccinato contro il dolore. Anch’io chiedo continuamente quanto diceva prima Giorgio circa la preghiera di Stefania.. Il dolore, nel tempo, mi ha trasformato e mi fatto capire tutto quello che mio figlio Mirko mi ha insegnato; non quello che io ho dato a lui ma ciò io ho ricevuto da lui.
Nel secondo cartellone vediamo scritto: “Chi ha provato la sofferenza vive l’attesa”.
E’ l’attesa di poter incontrare qualcuno e un’amicizia grazie alla quale dare un senso al vivere. Il grazie che nasce in me è legato al percorso di una ricerca in corso da 13 anni. Un grazie al Signore per avermi permesso di fare l’esperienza della paternità. Quando ricordo il primo giorno di vita di Mirko allora il grazie diventa ancora più forte.
Questo grazie continuo a rinnovarlo perché, se con la morte di mio figlio si è chiusa una porta, altre se ne sono aperte. Abito a Busto e non avrei mai immaginato di essere qui oggi tra persone di varie parti d’Italia. Ciò che mi muove è il cambiamento per un disegno accettato. E’ un disegno fatto per il mio bene. Devo ricominciare ad imparare cos’è la felicità.
L’amore, oggi, mi permette di guardare negli occhi la persona che sta soffrendo e riconoscere in lei la Sua presenza.

Don Giancarlo. Ringrazio veramente tutti e soprattutto lo Spirito Santo che ci ha illuminato e arricchito. Cerco di rispondere alla domanda della nostra amica in merito all’abbraccio di Dio per il figlio suicida.
Purtroppo, negli ultimi anni, il fenomeno del suicidio si è enormemente esteso.
La Chiesa, attenta all’evoluzione della mentalità, da anni, sta formulando il suo tradizionale giudizio etico in articolazioni diversificate. In un mondo sempre più confuso, dominato dallo stress e dal materialismo nichilista, il suicidio non è sempre pensato e compiuto come rifiuto del dono della vita e quindi come ribellione a Dio. Spesso è pensato e attuato come gesto liberatorio dalla problematicità della vita. Nelle condizioni di grave e prolungata depressione i meccanismi della ragione portano a vedere il morire come l ‘unica soluzione soggettivamente deisderabile anche se oggettivamente sbagliata. Il suicidio è spesso cercato come la risposta al desiderio di un io represso, lacerato e frantumato. Tante volte non è imputabile come colpa ma come espressione di una malattia che ha minato l’io profondo della persona.
Di fronte alla voragine di una psiche alterata, umanamente è più saggio affidarsi al giudizio soggettivo, spesso incompleto e falsato da troppi condizionamenti, o al giudizio di Dio? E’ molto meglio affidarsi al giudizio di Dio che è pieno di misericordia e va oltre la lettura fenomenica della cose. Il giudizio dell’uomo, per quanto tendenzialmente ragionevole, è solo parziale. Quello di Dio vede la globalità dei fattori in gioco in ogni situazione. Per un genitore o per qualsiasi altro individuo è impossibile formulare un giudizio sereno e integrale, viste le circostanze in cui ci si viene a trovare dopo il suicidio di una persona cara. Dio inoltre non giudica secondo i parametri dei tribunali terreni ma secondo quello della verità più profonda che è la misericordia.
Gesù, rappresenta il volto incontrabile della Dio che ha svelato la misericordia in quanto si è fatto carico di tutti i mali del mondo ed ha espiato questo gesto con il martirio. Per l’umano, l’unica cosa ragionevole è affidarsi alla misericordia e non andare a ricercare le colpe. Quando ci vengono i dubbi e, siamo logorati, affidiamoci a Dio recitando l’Atto di fede e domandando la misericordia per noi. E’ questo il perdono più grande al di sopra di tutti i codici morali esistenti.
Concludiamo questo incontro recitando la preghiera di Famiglie in cammino. Vi invito a prenderne un foglio ed a fare bene attenzione alla parte finale che riassume tutto quanto detto precedentemente.

“E ci guardi con la stessa pietà
e con lo stesso sguardo di Colui in cui sei”

Questo è il Dio misericordioso. Alziamoci in segno di rispetto, di onore e di amore di tutti coloro che già vivono la Comunione dei Santi e chiediamo aiuto e forza per noi che siamo la Chiesa in cammino e Famiglie in cammino.
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