Famiglie in cammino: marzo 2003
Macchi Giorgio (Varese) Vi porto i saluti di Natale, assente perché malato e della Fraternità. Marzo è stato un mese carico di eventi soprattutto per i venti di guerra. Noi che abbiamo perso i figli conosciamo il dolore che si prova in tale situazione. Introduciamo l’incontro con il canto “La guerra”.
Don Giancarlo Questo canto ha circa trent’anni ma i contenuti sono illuminanti perché tracciano la linea di demarcazione fra la posizione culturale del pacifista e la posizione culturale del pacificatore. Il nostro Arcivescovo invita le Parrocchie della Diocesi a leggere la sua lettera che riporta la sintesi del convegno sulla pace tenutosi al Palalido. La lettera è del 17 marzo, data in cui la guerra non era ancora scoppiata. Ad un certo punto si pone la domanda: “Se nonostante tutto ciò dovesse scoppiare la guerra e se questa guerra venisse dichiarata e condotta a dispetto del diritto internazionale e di ogni principio morale?” Il Cardinale risponde: “Anche in questa ipotesi deprecabilissima che speriamo non si verifichi dovremmo forse perdere la fiducia e abbandonarci alla delusione perché tutti i tentativi di scongiurare la guerra sono falliti e la nostra preghiera sembra non essere stata esaudita? No, carissimi, anche in questa gravissima e inaccettabile situazione dovremmo continuare ad essere sentinelle della pace. Proprio in tempo di guerra, infatti, la missione delle sentinelle si fa più preziosa e necessaria. Da sentinelle vigili ed accorte dovremmo allora condannare questa guerra e chiedere che finisca utilizzando anche ogni mezzo democratico per far sentire la nostra voce e incidere così sull’opinione pubblica. Continuare a praticare il dialogo e il perdono, nella convinzione che essi hanno un valore giuridico e politico anche nei rapporti tra Stati. Non perdere mai la fiducia nel Signore ma rinnovarla ancora di più, intensificando l’impegno della preghiera, della penitenza e della carità. Convertire il nostro cuore e intercedere perché si converta il cuore di quanti non hanno fatto abbastanza per evitare la guerra e di quanti la hanno caparbiamente voluta.”
L’impegno del pacificatore abbraccia tutto ma parte dal suo cuore che è la sorgente di tutti i conflitti. Il cuore dell’uomo, infatti, è stato segnato dal peccato originale che ha indebolito la libertà. Di conseguenza, l’uomo non sempre fa il bene che stima e desidera ma fa il male che detesta e condanna.
Canto Nella mia guerra contro la falsità
contro l’ingiustizia, contro la povertà
ho imparato soltanto ad ingannar me stesso,
ho imparato soltanto la viltà.
La mia terra non l’ho difesa mai,
sono fuggito ancora, io fuggo sempre sai.
Ho imparato soltanto ad ingannar me stesso,
ho imparato soltanto la viltà.
A questo mondo non ci sarà dunque giustizia? (2v)
Ho trascinato tutti i pensieri miei
nell’illusione di quello che vorrei.
I nemici di un tempo tornano vincitori:
è una guerra perduta per me.
Nelle mie mani non è rimasto che
terra bruciata, nomi senza un perché.
I nemici di un tempo tornano vincitori:
è una guerra perduta per me.
Con le mie mani non potrò mai fare giustizia! (2v)
Ora son solo a ricordare che
mi son perduto quando ho creduto in me.
Resta solo il rimpianto di un giorno sprecato
e forse l’attesa di Te.
Resta solo il rimpianto di un giorno sprecato
e certo l’attesa di Te.
Don Giancarlo Sottolineo il passaggio dal “forse” al “certo” perché esprime la maturazione di ogni cammino esistenziale. All’inizio delle prove, come quelle in cui tutti voi siete passati, c’è il contraccolpo di un io che recrimina, si pone domande e, magari, si ribella. Poi subentra il bisogno di raccogliere i brandelli di una vita esplosa per ricomporli nel grande mosaico di una vita riconosciuta come dono e come compito.
Quando si è smarriti e confusi la visione della vita come vocazione viene a mancare. Diventa allora urgente ricomporla. Il gesto che aiuta maggiormente tale ricostruzione è la preghiera. Per questo adesso preghiamo. Ne abbiamo bisogno tutti. Il compito primario del pacificatore è ricordarsi che la pace è un dono che viene dall’alto. Solo questo dono rappacifica l’io.
Nella preghiera ricordiamo anche gli amici che, oggi, non sono con noi: Angela Ganassini di Busto Arsizio appena uscita dall’ospedale, Angela Seribelli che, in seguito intervento chirurgico, sta seguendo la riabilitazione a Cunardo e Marilena che il Padre eterno ha chiamato a sé. A Marilena dobbiamo essere grati per quello che è stata agli inizi di Famiglie in cammino e per quello che ha fatto per la nostra associazione. Nel ’91 è stata lei, a Rimini, a creare le premesse per la nascita di Famiglie in cammino attraverso un incontro non programmato con Giorgio Targa di Milano. Ricordiamo anche i ragazzi di cui, in questo mese, ricorre l’anniversario della dipartita.
Preghiera: Tu che adesso vedi senza ombre……
Canto: Nel mare del silenzio una voce si alzò.
Da una notte senza confini una luce brillò
dove non c’era niente quel giorno.
Avevi scritto già il mio nome lassù nel cielo,
avevi scritto già la mia vita insieme a te,
avevi scritto già di me.
E quando la tua mente fece splendere le stelle
e quando le tue mani modellarono la terra
dove non c’era niente quel giorno.
E quando hai calcolato la profondità del cielo
e quando hai colorato ogni fiore della terra
dove non c’era niente quel giorno. Rit.
E quando hai disegnato le nubi e le montagne
e quando hai disegnato il cammino di ogni uomo
l’avevi fatto anche per me.
Se ieri non sapevo oggi ho incontrato te
e la mia libertà è il tuo disegno su di me.
Non cercherò più niente perché tu mi salverai.
Macchi Giorgio. Il capitolo “ l’affezione a Cristo” del libro “Alla ricerca del volto umano” è molto ricco. Per me è stato liberante perché, nella mia concezione, la figura del santo era una figura un po’ troppo virtuosa, quindi un po’ lontana. Questa parte del libro mi ha chiarito che la santità non sta nella coerenza ma nell’illuminare le nostre azioni con la presenza di Cristo.
Don Giussani, a un certo punto, dice: l’uomo promette a parole ma poi queste parole non sempre vengono mantenute. Le braccia di Cristo sono talmente grandi da abbracciare la nostra povertà perché egli apprezza anche le nostre intenzioni. A noi è chiesto di tener desta la tensione a Cristo. Non sempre si riesce ad agire in questo modo perché siamo peccatori. Sappiamo anche, però, che il cambiamento è possibile.
Flora Colombo (Usmate). Oggi hanno telefonato i nostri amici di Roma. Vi salutano tutti. Sono stati con noi una sola volta. Ci hanno nel cuore come un grande riferimento. Hanno detto che quando sono un po’ in crisi pensano a noi. Diventiamo per loro un punto cui attaccarsi. Hanno colto un grande segno di fraternità, di amicizia e di sostegno e, per la prossima volta, si organizzeranno in modo da restare a pranzo con noi.
Hanno seguito la Messa nel Santuario della Madonna del Divino Amore a Roma e hanno pregato per tutti noi, per i nostri ragazzi, per la pace e per il nostro incontro.
Giorgio Macchi Ci sono moltissime famiglie a cui noi scriviamo e a cui tutti i mesi mandiamo la sintesi dei nostri incontri. Di alcune si sono perse le tracce. Alcuni invece ci scrivono. Abbiamo ricevuto due lettere bellissime. In una la signora Simonetta ci dice che aspetta con ansia la nostra sintesi che risulta di aiuto a tutta la famiglia. In tal modo ha anche la possibilità di sentirsi a noi vicina. L’altra lettera è di un medico pediatra che ha pubblicato a Cesena la testimonianza di Marcello del mese scorso.
Nicoletta Rosselli (Varese) Ho ricevuto una lettera dal Comitato delle vittime della scuola elementare di S. Giuliano (Puglia) colpita dal terremoto. Ci ringraziano e dicono: “Siamo commosse perché la sofferenza per la mancanza dei nostri bambini è alleviata se condivisa da altre mamme che hanno avuto lo stesso dolore.”
Anna Signorelli (Gallarate) Al primo di agosto, giorno della morte di Andrea, ho ricevuto la telefonata di una mamma che mi ha fatto infinitamente piacere ma che non conosco. La ringrazio.
Don Giancarlo Sulla lettera di invito sono state proposte due domande per favorire un lavoro personale di confronto sul testo di scuola di comunità e di verifica sulla vita. “Come stai vivendo l’affezione a Cristo? In questa Quaresima la nostra amicizia in che cosa ti può essere di aiuto?”. “Lo sguardo sulla tua persona e sulla realtà che ti circonda in che cosa ha incominciato a diventare più vero e positivo?”.
Angela Troncone (Cantù) Quanto dirò vi sembrerà più una lettera che una testimonianza. In questa Quaresima così fortemente sofferta per gli eventi bellici guardo verso l’altrui dolore e prego. Oggi posso dirvi più che mai che mi sento affranta per la sofferenza dei miei fratelli in guerra e per quella di tanti amici presenti. In questo tempo volgo di più lo sguardo a Cristo che ci ha donato la vita regalandoci fonti di bene inesauribile: l’amore di carità verso il nostro prossimo. Il Signore è fonte di cambiamento positivo per la mia esistenza. Trepidante di gioia sono accorsa a Lui per donargli la mia vita.
Una gioia nuova mi pervade quando il Signore mi rende capace di amare il prossimo. Cerco con tutte le mie forze di imitarlo amandolo in ogni attimo della mia vita e chiedendogli di perdonare le nostre iniquità. A lui devo tutto. Ha voluto che vi incontrassi. Per questo vi amo tutti e vi accetto come siete. E’ nel Signore che confido affidando a lui le mie speranze, pensieri e affanni. Solo lui è il nostro Salvatore. Con questa grande speranza mi incammino verso nuovi traguardi, stabiliti da lui dall’eternità.
Don Giancarlo E’ la testimonianza di un cambiamento che ha al centro Cristo che ha illuminato innanzitutto lo sguardo del suo cuore. Angela riconosce il dono di un’amicizia e di legami autentici in quanto c’è di mezzo il fatto di Gesù Cristo. Tale fatto rimane qualunque peccato avessimo compiuto come è accaduto a Giuda che non lo ha saputo accogliere o a Pietro e al buon ladrone del Calvario che, invece l’hanno accolto. Quel fatto li ha ricuperati e resi nuovi.
La nostra amicizia diventa sempre più vera quanto più si affida e si radica su quel fatto. Cristo risorto è qui con noi: “Sarò con voi fino alla fine del mondo”.
Nicoletta Rosselli (Varese) Anche per me, come Giorgio diceva prima, in questo periodo è difficile l’affezione a Cristo. Mi pare di chiedere ma sempre a mezza bocca e non con il cuore. In questo momento ho bisogno di voi e della vostra preghiera affinché io possa diventare più umile. Mi sembra di non fare abbastanza, di non essere d’aiuto agli altri come vorrei. In questo periodo di Quaresima mi rivolgo molto più facilmente a Gesù Crocifisso. Mi è arrivata una fotografia di un Cristo in Croce con questa frase: ”Il Crocifisso non è un morto di cui parlare ma un vivo al quale parlare”. Voglio anche leggervi questa preghiera:
Chiesi a Dio di essere forte per eseguire progetti grandiosi
ed Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà
Domandai a Dio che mi desse la salute per realizzare grandi imprese
Ed Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto
E mi ha lasciato povero per non essere egoista
Gli domandai il potere perché gli uomini avessero bisogno di me
Ed Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro
Domandai a Dio tutto per godere la vita
E mi ha lasciato la vita perché io potessi essere contento di tutto
Signore non ho ricevuto niente di quello che chiedevo
Ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno e quasi contro la mia volontà
Le preghiere che non feci furono esaudite
Sii lodato mio Signore fra tutti gli uomini nessuno possiede più di quello che ho io.
Ho trovato questa preghiera molto significativa e inerente a quanto si dice a pag. 173 del nostro libro “l’uomo grida e rimpiange quello che gli è stato preso ma la grazia della santità sta nel fatto che il Signore permette questa svista”.
Sandro Cremona (Legnano). Mi sembra importante guardare Lazzaro. Gesù arriva quattro giorni dopo la sua morte. La sorella andandogli incontro gli dice: “Se Tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. La stessa frase è ripetuta anche dalla sorella Maria. Gesù ha una risposta folgorante: “Io sono la Resurrezione e la Vita. Chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”.
Don Giancarlo Cito un detto proverbiale: di fronte a un bicchiere non pieno qualcuno dice che è mezzo vuoto, qualcun altro che è mezzo pieno. La tendenza istintiva è di percepire il negativo. Ci si sofferma cioè sulla perdita come se essa fosse l’ultima parola, il giudizio definitivo oltre il quale non c’è più nulla. I nostri figli sono morti…Ma se crediamo a Gesù che è la Resurrezione, lui che è un morto sulla croce non è più un cadavere, è vivo. I morti sono biologicamente venuti meno e ne soffriamo la perdita come accade per la salute quando cadiamo nella malattia.
Vi cito il caso di una signora la cui mamma è malata da otto anni di esaurimento nervoso. Non riconosce più la mamma di prima. Il ricordo che porta di lei è quello della stagione antecedente alla malattia. Anche questa è una perdita che tutti vivono in mille frangenti.
Se quando giudichiamo la realtà ci fermiamo sulla quello che si perde, non guardiamo la realtà nella sua interezza bensì nella sua apparenza. Le persone che Dio ci sottrae attraverso la morte biologica le giudichiamo morte. Ma se riflettiamo sul fatto che in Cristo sono dei risorti, umanamente è più bello e più incoraggiante. Tale certezza alimenta di più la speranza e quindi la voglia di continuare a vivere anche in loro nome sentendoli vicini attraverso la comunione dei santi.
Rosalba Milanesi (Cremona). Ricordo di aver letto nella Bibbia una frase che parla di Dio che ci abbandona. Anch’io vivo spesso quello che mi è successo come un abbandono da parte di Dio.
Don Giancarlo Il Vecchio Testamento parla di assenza e presenza di Dio, non di abbandono. Il popolo, in alcuni frangenti della sua storia, è tentato dal dubbio circa l’abbandono di Dio.
Il dubbio è sempre attacco alla certezza della fede e della speranza. Quando si insinua in noi impedisce di riconoscere le evidenze o le certezze che prima illuminavano il nostro cammino. Dio allora, da presenza riconosciuta, comincia a essere sentito come assenza fino al punto di sentirsi abbandonati.
Dio è sempre presente anche se frequentemente sembra essere non incontrabile.
Quando in autostrada incontriamo un muro di nebbia non si ha più la percezione della realtà. La strada che prima si vedeva non la si vede più. Però continua ad esserci. E’ cambiata la percezione dello sguardo.
Impariamo perciò a metterci in un’ottica di apertura soprattutto quando si è assaliti dal dubbio. Non è Dio che ci abbandona. Siamo noi che non lo riconosciamo più nella realtà. Non è razionale ipotizzare che solo alcuni indizi e non altri, di segno diverso o opposto, debbano accompagnare e alimentare la nostra speranza. Se alcuni segni, affettivamente a noi cari, non rispondono più bisogna puntare lo sguardo su altri segni che diano luce e ridonino qualche certezza morale che tenga viva la speranza.
Abramo è definito dalla Bibbia come colui che ha sperato contro ogni speranza. Ha continuato a sperare quando la soglia della plausibilità era venuta meno. Senza aver chiesto nulla gli erano state promesse una terra, una benedizione e una discendenza. Quando Dio mantenne la promessa e gli regalò Isacco, non lo lasciò però in pace e, dopo alcuni anni, gli chiese di sacrificarlo sul monte Moria (in ebraico equivale a monte della provvidenza). Su quel monte la Presenza di Dio che sembrava averlo abbandonato gli restituì non solo il figlio ma anche un capretto da sacrificare. E’ il centuplo di cui parla Gesù. Anche agli Apostoli è capitato di non riconoscerlo immediatamente quando sul lago vennero sorpresi da una tempesta. Lo confusero con un fantasma. Poi Gesù rivelò a loro la sua identità e li salvò.
Sandro Cremona (Legnano). Pensando a Gesù sulla Croce ricordiamo che anche lui grida: “Mio Dio, perché mi hai abbandonato?” . L’abbandonato muore tra le braccia del padre. Anche Gesù si è sentito abbandonato ma non lo era. Era tra le braccia del Padre.
Vito D’Incognito (Milano) Vorrei dirvi di come sto vivendo l’affezione a Cristo in questo periodo. Ho letto più volte le pagine del libro. Mi ritrovo in buona parte in quello che ho letto, anche se non ho capito tutto. Mi rifaccio alla pag. 171: “Ciò che brama il santo non è la santità come perfezione; è la santità come incontro, appoggio, adesione, immedesimazione con Gesù Cristo.” C’è quindi un percorso che parte dall’incontro e si consolida in esso per diventare poi partecipazione intensa e, infine, adesione.
Le prime volte in cui venuto a Busto, stravolto e con una fede zoppicante, ho affermato di non voler diventare santo. Giorgio Macchi mi ha risposto: forse qualcun Altro lo vuole per te. Probabilmente sono ancora indietro nel cammino. Due anni fa mi è capitato di fare qualche giorno di vacanza a Bonassola con don Giancarlo. Uno gli chiese dove incontrare Cristo. Lui gli rispose che Cristo è nel volto di ogni uomo, anche di quello che soffre. Questa indicazione mi colpì molto e incominciò a farmi capire più profondamente di aver incontrato Cristo anche nel volto degli amici di Famiglie in Cammino. L’alimento della mia fede lo cerco però anche nella meditazione della parola di Cristo e nei Sacramenti.
Credo di vivere questa Quaresima aderendo a Cristo e usando attenzione alle situazioni di sofferenza degli amici con una telefonata o una preghiera. La guerra in corso ci sta scuotendo per gli scenari di dolore che ci mette sotto gli occhi. E’ motivo di sofferenza sentire con quanta leggerezza, da una parte e dall’altra dei contendenti, si invochi Dio per la vittoria.
La mia domanda riguarda la questione della libertà. Il testo dice a pag. 176: “La nostra libertà non sta in quello che riusciamo a realizzare perché questo dipende da Dio.” A me sembra di esprimere la mia libertà anche nel fare delle scelte; e queste non risultano completamente condizionate.
Don Giancarlo Per rispondere alla domanda di Vito leggiamo insieme la pag. 175. Solo, infatti, all’interno di un lavoro di paragone fra le affermazioni del testo e la vita si può far maturare la coscienza personale. Certi drammi obbligano a uscire dalla distrazione, a rimettersi di fronte alle domande decisive (chi sono, dove vado, con quale attrezzatura…) e a cercare risposte soddisfacenti, cioè vere. Una risposta è vera quando risponde alle esigenze primarie della natura umana.
A pag.175 don Giussani insiste sul cambiamento che accade nella vita dell’uomo quando incontra Cristo e si lascia da Lui plasmare e condurre. Parla di forme di vittoria che si riassumono in una sensibilità nuova nel trattare se stessi, gli altri e i fatti della vita. Il cambiamento è una rinascita, una possibilità di vita nuova. L’incontro con Cristo genera un cambiamento che porta l’uomo ad affezionarsi ai segni (persone, esperienza, luoghi, letture…) da cui è stato sorpreso, afferrato e cambiato dentro.
“Le forme della vittoria del cristiano non potranno mai essere contenute nella nostra immaginazione. Se la nostra ricchezza è nel gesto con cui Dio viene, non possiamo prevedere il modo e i tempi del suo affermarsi fino al compimento, nella nostra vita”. Sappiamo che il compimento non accade qui e ora ma nell’aldilà. “…così la nostra salvezza, la nostra perfezione già c’è ma nello stesso tempo ha ancora da manifestarsi”.
L’inizio è sperimentabile da subito, il compimento no. La storia dell’uomo che ha fatto l’incontro con la Verità è la storia di un già aperto al non ancora. I fattori che la contraddistinguono sono il già dato e il non ancora posseduto. E’ nell’attesa che il compimento si avvera.
“…In nessun senso l’atteggiamento del cristiano è determinato come obiettivo da un risultato da sé formulato: l’obiettivo qualificante è la venuta di Cristo”.
E’ quello che diciamo nella Messa dopo la consacrazione: “Annunciamo la Tua morte o Signore, proclamiamo la Tua Resurrezione, nell’attesa della Tua venuta”.
La venuta storica di Cristo come uomo è già accaduta. La sua ultima venuta come Dio che giudica ha da venire. L’atteggiamento del discepolo è quello dell’attesa. “…l’attesa che Cristo venga dentro di sé – e attraverso sé dentro il mondo – nella santità. Il cristiano attende e desidera essere purificato da tutti i suoi peccati, ma nessun peccato lo potrà mai sottrarre a questa attesa”.
L’uomo può essere il più agguerrito farabutto. Cristo lo ha coinvolto nel suo abbraccio e lo ha redento insieme a tutta la realtà. Cristo non abbandona mai l’uomo peccatore, attende nella pazienza il suo ritorno. Nella parabola del padre misericordioso il figlio degenere si ribella, e se ne va fino al giorno in cui rientra in sé e capisce che solo nella casa del padre c’è il conforto, cercato altrove fino a quel momento. Quando si accorge che il padre non lo ha mai dimenticato si commuove per il fatto di essere sempre stato presente nel suo cuore. Quando l’uomo ritrova se stesso, ritrova anche il Tu cui appartiene, la Presenza che aveva considerato assente. Nessun peccato lo potrà mai sottrarre a questa attesa.
“…così desidera la venuta di Cristo in sé – e attraverso sé nel mondo – più di quanto sia attaccato ai suoi peccati, o dominato da essi. L’attesa darà i suoi frutti secondo i tempi di Dio: “Chi medita la legge di Dio giorno e notte darà frutto a suo tempo”. Il tempo di Dio, appunto.”
In Dio l’unità di misura del tempo è l’eterno; in Lui quindi il tempo non ha scadenze. La comprensione di ciò fa superare ogni moralismo.
Il moralismo c’è quando l’uomo pensa di bastare a se stesso. La moralità incomincia nel momento in cui l’uomo riconosce la centralità di Dio nella storia e, di conseguenza, la sua dipendenza da lui. Nella storia dell’uomo Dio è il protagonista, l’uomo è suo collaboratore. In questa ottica la nostra libertà non coincide tanto o innanzitutto con quello che noi riusciamo a realizzare ma nella verità con cui chiediamo sostegno a Dio e facciamo i mendicanti di Cristo. Questa è la condizione indispensabile per l’avverarsi della libertà. L’uomo libero è colui che domanda la verità di sé e per tutti. Non si esclude la capacità di decidere (arbitrio) o la possibilità di opzioni diverse. Siccome ciò che definisce l’uomo è un rapporto di appartenenza a Dio che è tutto, la prima espressione della libertà sta nel domandare a Lui la personale salvezza. Questa atteggiamento non deve mai venir meno: “Bisogna pregare sempre” dice Gesù. Non perché l’uomo debba chiudersi in clausura a pregare ma perché viva abitualmente la mendicanza. Mentre si opera si chiede che la presenza di Dio, senso del vivere, accompagni sempre.
Giorgio Macchi (Varese). Il nostro cammino non è certamente facile. Comprendiamo che certe situazioni, specie quelle legate al dolore, non si risolvono se dietro non c’è una conversione del cuore. Ogni volta che lavoriamo sul testo la favoriamo.
Giovanni Rimoldi (Busto A.) In fraternità si è sentita l’utilità di effettuare, come lo scorso anno, un pellegrinaggio a un Santuario della Madonna. Si è scelto quello di Monte Berico (Vicenza). La data prevista è domenica 18 maggio. Il viaggio di tre ore sarà fatto in pullman. Ci saranno un incontro presso i Padri Serviti, la Messa a mezzogiorno e, nel pomeriggio, la visita di Vicenza.