famiglieincammino.org

  • Full Screen
  • Wide Screen
  • Narrow Screen
  • Increase font size
  • Default font size
  • Decrease font size

Febbraio: Incontro mensile

E-mail Stampa PDF
Famiglie in cammino: febbraio 2003

Macchi Giorgio ( Varese). Oggi farò le veci di Natale che è andato a prendere degli amici di Roma desiderosi di presenziare alla nostra riunione.
Porgo ad ognuno i miei saluti e quelli della Fraternità. Invito i presenti a introdurre eventuali amici che sono qui per la prima volta . Se lo desiderano possono poi raccontare la loro storia.

Don Giancarlo. Vi rammento le testimonianze del mese scorso in cui, soprattutto all’inizio, abbiamo percepito il buio che, spesso, offusca il cammino di tante famiglie provate dal dolore e non opportunamente supportate. A me è dato di aver chiaro il significato cristiano della croce. Siccome facciamo parte di un unico corpo che è la Chiesa, quando a un membro è dato di vivere la gioia della pienezza, è segno di carità cercare di comunicarla ad altri. Dove c’è luce, c’è irradiazione, dove c’è serenità, la gioia si diffonde, dove c’è esuberanza di vita, chi ne attinge se ne arricchisce.

Canti: Se il Signore non costruisce la città invano noi mettiamo pietra su pietra…
Pon tus manos en la mano del Senor de Galilea…

Preghiera: Tu che adesso vedi senza ombre….

Don Giancarlo. Vi sono alcune correzione da apportare al ciclostilato che vi è stato distribuito e che è la sintesi dell’incontro di gennaio. Nella 2° facciata Giovanni Rimoldi dice: “Intervengo con il cuore. Il dolore e la solitudine li abbiamo provati”. Aggiungiamo “ tutti ”.
Nella terza facciata completare la frase in questo modo: “Il cristianesimo, da quando ha fatto irruzione nella storia attraverso l’incarnazione del Mistero, è una religione di carne perché ha a che fare con ogni aspetto della nostra carnalità.”
Dopo una grande disgrazia il primo contraccolpo che si prova è quello della carne e degli affetti lacerati. Poi subentra il contraccolpo della razionalità con le classiche e irragionevoli domande: “Perché è accaduto? Perché il Padre eterno, se c’è e se è buono, ha permesso ciò?”
In quella fase, attraverso la riflessione di Fede, c’è un lavoro da fare sullo sguardo del cuore corrucciato, smarrito e talora ribelle. A chi si trova in tale stato d’animo rivolgo l’invito della canzone di sopra: “Permetti che le tue mani siano prese nelle mani del Signore di Galilea”. Non dimenticare poi che qualcuno è passato prima di te nelle prove e le ha superate. Permetti che sia lui a guidarti. Tu devi solo non perderlo di vista e mettere i tuoi piedi nelle sue orme. Egli è la strada. La via del dolore l’ha tracciata Lui innanzitutto per sé, poi per te, per me, per ogni uomo. Anche se fai fatica, fa affiorare sulle labbra il grido del tuo cuore che mendica comprensione e conforto per raggiungere un nuovo equilibrio.
Parecchi in mezzo a noi sono portatori di questo nuovo equilibrio, frutto della speranza in Gesù Cristo. La ferita c’è, ma cicatrizzata. Nella sua visibilità rimane come emblema di prove sostenute in prima linea.
Dal momento che la volta scorsa non c’era stato il tempo di fare una sintesi, vorrei far risentire alcuni interventi di chi è ancora nella bufera e di altri che ne sono già fuori.

Rosalba (Castelseprio): ho perso una figlia di 34 anni. Finalmente aveva trovato il lavoro per il quale si era preparata. Era laureata in lingue e aveva trovato la supplenza di un anno presso una scuola.. Proprio nel momento in cui aveva raggiunto la sua meta professionale il Signore l’ha chiamata. Così è stato anche per mio marito, morto in un incidente in cui anch’io sono rimasta coinvolta.
Ritengo che il Signore o ci ha abbandonati, o non vuole capire quanto siamo annullati da prove così gravose. Se questo è l’intervento di Dio io mi sento annullata, non ho più energie. Le uniche cose che mi sono rimaste sono le poche amicizie. Qualcuno si ricorda ancora di me, più che altro però sono io che mi ricordo di loro e li vado a stufare. E’ difficile stare vicino a chi soffre. Oggi non c’è più il rapporto semplice di una volta, si è più assenti. Il Signore dovrebbe sapere che uno non
ce la fa più a vivere in compagnia dei muri di casa. E’ stato riportato sui giornali ciò che il Papa ha detto: “Dio tace perché è disgustato dall’uomo.” Probabilmente è disgustato anche di me, mi ha portato via quello che avevo di più caro. Questo Dio non solo ha taciuto, mi ha colpito con la falce, togliendomi la possibilità di vivere.

Annamaria Quaglia Io condivido appieno i sentimenti appena espressi, mi sento molto confusa e provo talora ribellione e tal’altra speranza. La mia fede sta vacillando perché mi sento abbandonata. La morte di mio figlio è stata traumatica. Mio figlio era sposato da un anno. Aveva faticato per trovare la sua strada e il suo lavoro. Aspettava la nascita della figlia con tutto l’amore possibile; non ha avuto la soddisfazione di vederla perché la bimba è nata il giorno dopo la sua morte. L’equilibrio è scosso da questa prova ma spero che il Signore mi dia la forza di non abbandonarlo. I problemi però sono tanti e non sento più la voglia di vivere.

Don Giancarlo. Voglio aiutarvi a cogliere la diversità di posizione umana e di sguardo espressa da Rosalba e Annamaria da quella di Icilio di Solbiate che, qualche anno fa, si è venuto a trovare nella stessa situazione. Egli dice: “Anche a mio figlio è successa la stessa cosa. Nel momento della disgrazia si pensa a tutto. Io non ho mai avuto del rancore verso chi lo ha investito. Per quanto non sia mai stato un uomo di grande fede metterei questi eventi nell’orizzonte dell’imprevedibile che si presenta nel corso della vita. Ho capito che siamo nel mondo liberi. Tutto quello che, nello svolgimento della nostra vita, ci può accadere non è colpa di Dio. L’astio non risolve niente.”

Marcello Crolla (Busto Arsizio) ha aggiunto: Nostro figlio Mirko, nonostante si fosse vaccinato, è morto a causa di un virus di morbillo. Non aveva ancora sedici anni. Anche lui ha sofferto molto e se ne è andato dopo quattro mesi. La domanda sul perché della sofferenza non ha risposte univoche.
Posso dire cosa ha significato la presenza di Mirko nella nostra famiglia: un dono che ha fatto seguito al miracolo del concepimento. Quel bambino poteva anche non esserci. Come ha detto Giovanni ci sono più di quattro milioni di bambini non nati. Mirko poteva essere uno di questi. E’ del tutto inutile continuare a porsi domande a cui l’intelligenza non saprà mai dare risposte. Io, piuttosto, ringrazio il Signore di avermelo dato permettendomi di capire il significato di essere genitore. Giovanni ed Anna hanno avuto una bimba che ha vissuto cento giorni. Questo è già un miracolo! Ci sono tra di noi superstiti di incidenti nei quali la loro famiglia è stata distrutta. Sono un miracolo vivente! I miracoli accadono. Sta a noi riuscire a vederli. Perché una cosa sia successo a loro e non a me è inspiegabile.
Nella mia vicenda il miracolo che chiedevo stava già avvenendo. Per una porta che si chiudeva un’altra si apriva, l’amicizia delle persone e l’apertura di cuore che non avevo mai avuto. Fino a quando le cose capitavano agli altri pensavo che fossero degli sfortunati. Quando la tragedia è capitato a me ho capito il senso del Padre nostro: “ sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra”. Non è la mia volontà, è quella del Signore che io non capisco. Un giorno però riuscirò a capire cosa ha voluto dirmi attraverso questa sofferenza.
Ho imparato anche che è inutile cercare delle colpe. Dico soltanto: “Signore aiutami a portare il peso della mia croce, rendi il mio cuore umile e capace di vederti su quella croce affinchè in essa possiamo rispecchiarci”. Noi abbiamo il dovere eil diritto, di continuare ad avere la speranza. In caso contrario noi denunceremmo che nella nostra vita non siamo stati capaci di insegnarla ai nostri figli. La speranza è la vita e la gioia che loro avevano dentro. Chiuderci in un cuore arrugginito sarebbe come far morire di nuovo i nostri figli. E’ più semplice, è più umano e più saggio aprire il nostro cuore e chiedere al Signore aiuto perché possiamo, giorno dopo giorno, continuare a guardare alla nostra realtà e così portare una parola di sollievo e di amore a chi in questo momento sta soffrendo come noi. Questo è il senso del nostro gruppo di Famiglie in Cammino: portare speranza attraverso la prossimità umana fatta di sguardi, di incontri, di telefonate... La vita deve continuare ad avere un senso. il Signore non ci ha dato i figli per toglierceli. Il Signore ce li ha dati in prestito e solo quando ci sono mancati ci siamo resi conto di quanto grande era il nostro amore.

Sono ottiche diverse. Negli ultimi due interventi l’ottica di speranza è già ricca di sapienza e, per questo, risulta più umana. Non è in gioco il merito o il demerito bensì la constatazione che chi segue una compagnia di uomini cambiati dalla grazia di Dio, nel tempo si trasforma. Dice Gesù:“Io sono la luce del mondo. Chi cammina dietro me non cammina nelle tenebre”.

Nicoletta Dell’Elce ( Varese). Vorrei leggervi alcuni pensieri tratti dal libro:“Più vento più fuoco” di Susanna Tamaro.“ C’è un detto giapponese che recita: quando un figlio muore i conoscenti soffiano con la testa, gli amici col cuore, la madre con tutta la profondità delle sue viscere”. Questo è vero ma, dopo, dobbiamo cercare la pace che non può nascere dalla ribellione, dalla rabbia o dalla chiusura. Solo attraversando le tenebre del cuore possiamo affrontare la profondità del cambiamento.
Il cammino interiore è simile al lavoro che una volta facevano gli uomini per accendere il fuoco. Si batte e ribatte una pietra contro l’altra senza stancarsi finché scocca la scintilla. Per nascere, il fuoco ha bisogno del legno ma, per divampare, ha bisogno del vento. Anche noi dobbiamo cercare nella nostra vita il fuoco dell’amore ed il vento dello Spirito. Come? Con la costante preghiera ed abbandonandoci al Signore. Un giorno ognuno di noi si risveglierà e, aprendo gli occhi, si renderà conto che dentro di lui vive la pace, non come l’aveva desiderata ma una pace diversa, intrisa sì di malinconia ma che è indice di una costante rinascita. Non è facile. Ma Dio non abbandona mai gli animi affranti”.

Anna Maria Brunelli ( Milano) Ho sempre ritenuto che i figli sono un dono e Mara era arrivata in un contesto particolare. In quel tempo ero affetta da esaurimento nervoso che mi dava la sensazione di vivere in un buio totale. La nascita di questa bambina, non voluta, è stato un grande dono ed io ringraziavo Dio giorno dopo giorno. Nel momento in cui mi è stata tolta non ho potuto assolutamente pensare che fosse stato un regalo.
C’è un salmo che dice: “Ancor prima che io nascessi, i miei giorni erano contati.”
Se Dio è Padre di tutti, io che figlia sono se mi ha dato una pena così grande? Non bastavano le sofferenze che avevo già passato prima? Cosa avevo fatto al Padre Eterno? Il mio dolore non si è mai attenuato. Anche dopo sei anni, la sua presenza mi manca. Anche se idealmente, chiudendo gli occhi, chiedo a Mara di abbracciarmi. La fisicità di mia figlia non c’è più. L’andare al cimitero è un gesto materiale che faccio per trovare consolazione. Anche Mara aveva studiato e stava cercando un lavoro. Tale soddisfazione non l’ha potuta avere. Voleva l’amore e non ha fatto in tempo ad avere un fidanzato. Sono cose materiali di questo mondo ma noi siamo fatti anche di materia. Io non sono spirituale. Quando lo sarò mi adatterò alle cose spirituali. Non riesco a capire come Dio abbia potuto fare questo a tutti noi.

Don Giancarlo. Dopo sei anni sei riuscita a fare un discorso lucidissimo, puntuale, cosa che nelle altre occasioni non eri mai riuscita a fare. Secondo me sei già dentro a un cambiamento che ci incoraggia tutti.

Anna Maria Brunelli. Forse il merito è che a Natale il nostro parroco ci ha chiesto di ospitare dei rifugiati politici. Uno di loro aveva l’età di Mara; un altro era più grande. Erano senza casa, senza vestiti, senza niente. Ospitare questi ragazzi è stato un momento di grande gioia. Lo straniero è sempre guardato come portatore di delinquenza. Invece non è così.

Elena Piatti (Varese). Vorrei riprendere l’intervento che hai fatto il mese scorso in cui dicevi “Non dobbiamo mai dimenticare il fattore libertà e il fattore peccato originale. La condizione umana è segnata da un’eredità pesante che trova nella morte la sua espressione più cruda. Dio ha introdotto la morte come conseguenza della libertà mal usata.”
Il concetto della libertà non riesco a capirlo. Se uno è un delinquente e fa del male usa male la sua libertà. Ma se un ragazzo si ammala o è coinvolto in un incidente d’auto non vedo dove ci sia l’uso scorretto della libertà. Anche per il peccato originale non so di cosa si parli. La storiella di Adamo ed Eva mi sembra andar bene per i bambini.

Don Giancarlo. Sulla questione del peccato originale si gioca la concezione ebraica, cristiana e islamica della vita. Noi abbiamo un testo sacro: la Bibbia. I suoi contenuti abbracciano l’arco di circa 1950 anni di una storia incominciata con la elezione di Abramo, chiamato patriarca perché riconosciuto come loro capostipite dagli Ebrei, dai Cristiani e dai Mussulmani. Con lui è iniziata una relazione nuova fra l’uomo e Dio, definita dal termine Alleanza. Abramo infatti è stato il primo uomo scelto da Dio come alleato. A lui Dio ha fatto tre promesse: una discendenza numerosa, una terra e una benedizione: “Io ti proteggerò”.
I primi 11 capitoli della Genesi sono racconti mitologici. L’autore, ispirato da Dio, ha usato i miti dell’epoca per insegnare a gente analfabeta delle verità fondamentali. Il mito è paragonabile a una profezia perché fa intravedere oltre l’apparenza della realtà qualcosa che non si vede con i propri occhi ma c’è. Attraverso il mito l’uomo diventa più lungimirante perché supera la soglia limite della sua capacità razionale.
Nel 2°capitolo della Genesi c’è il racconto del peccato originale. Nell’Eden (Paradiso) l’uomo partecipava della vita di Dio: godeva dell’immortalità e dell’onniscienza (non aveva bisogno di studiare), non conosceva il pudore (Adamo ed Eva vivevano nudi senza alcun imbarazzo) e lavorava senza fatica. Era però di fronte a un divieto di Dio: non avrebbe dovuto mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Fissare il contenuto del bene e del male è compito di Dio.
Quell’albero, metaforicamente, indica il livello di sbarramento alle possibilità umane. Da quella soglia in su l’uomo non può più accampare diritti ma ha solo dei doveri da riconoscere, accettare e seguire. Il contenuto della verità non lo fissa l’uomo ma Dio.
Nel mito biblico del peccato originale è contenuta una descrizione poetica e psicologica profondissima del cuore umano. Nel serpente è evidenziata l’attrattiva seducente della tentazione che mette alla prova la libertà dell’uomo.
Il peccato originale, definibile come atto di sfiducia e di disobbedienza a Dio, non è localizzabile né geograficamente né cronologicamente. E’ una categoria culturale comparsa all’interno della tradizione ebraica per spiegare il fenomeno dell’inimicizia tra individui e popoli, dell’ignoranza, della fatica, della concupiscenza e della morte.
. Il peccato originale è da considerare come quell’evento della storia che ha segnato così profondamente e drammaticamente la vita dell’uomo da lasciare in lui un indebolimento strutturale. Fin dal concepimento l’uomo si porta addosso tale eredità che si potrebbe riassumere così: “ uomo, ricordati che non sei più quello degli inizi; hai però la possibilità di ridiventarlo grazie all’azione redentrice di Cristo. A una condizione: riconoscerlo, accoglierlo come Salvatore e lasciarti da lui plasmare.”
La questione del peccato originale è insegnata dalla Chiesa come verità da credere e da vivere (dogma) per essere aiutati a capire la condizione umana nella sua reale paradossalità: l’uomo, pur dotato di libertà, può usarla male.

Giovanni Rimoldi ( Busto A). Il dolore di un innocente è terribile, non ammette repliche. Ci sono filosofi, come ad esempio Camus, che diceva: “Io, di fronte al pianto disperato di un bambino, mi rifiuto di credere ad un Dio buono”. Non dobbiamo dimenticare che abbiamo tutti una colpa. Facciamo parte della stessa umanità e del corpo mistico di Cristo. Il nostro singolo peccato si unisce a quello di Adamo ed Eva. Diventiamo così causa dei mali del mondo. Come ogni bene anche la sofferenza innocente dei bambini si riversa positivamente sull’umanità intera. Noi dobbiamo imparare a ragionare nell’ottica dell’eternità. Il pianto disperato di un bambino e le nostre sofferenze, unite alla Croce di Cristo, salvano il mondo. Il non senso della sofferenza annichila il mondo, lo rende più greve e pesante.
Noi abbiamo il compito di unire le nostre sofferenze a quelle di Cristo e caricarle di un valore redentivo che possa salvare il mondo dall’angoscia e dalla disperazione

Maria Rosaria Agostino ( Vimercate): Io penso che Dio ha voluto la disobbedienza di Adamo ed Eva altrimenti ci sarebbe un’altra storia. Dio poteva trovare il modo di farsi ubbidire.

Don Giancarlo. Questo fa parte del rapporto fra l’onniscienza di Dio e la libertà dell’uomo. E’ il problema della predestinazione che nemmeno i grandi Padri della Chiesa e i teologi hanno saputo risolvere.
Per quanto riguarda il peccato originale in riferimento alla sofferenza degli innocenti è necessario non perdere mai di vista l’insegnamento della Chiesa sulla sorte dei bambini dai 3 anni in giù al tempo di Erode. Essa li venera come martiri nella festa del 28 dicembre.
Il battesimo è la via normale per la salvezza. Ricevendolo si fa l’incontro con Cristo che rende figli di Dio, creature nuove. Gli innocenti della strage di Erode sono stati battezzati nel loro sangue. Il disegno misterioso di Dio lo aveva previsto. Essi hanno fatto, a loro insaputa, un incontro con Cristo Salvatore divenendone martiri, cioè testimoni.

Leonardo e Albina ( Roma) Noi non sapevamo della vostra esistenza fino al Meeting di Rimini del 2002. Una nostra amica ci ha dato il vostro depliant che ci ha molto colpito. Abbiamo perso nostro figlio per leucemia il 15 agosto, In particolare ci ha colpito la preghiera che poi abbiamo incisa sulla lapide. Oggi siamo venuti per conoscervi perché abbiamo molto bisogno di un aiuto in un’amicizia, questa amicizia. Appena entrati ci siamo accorti che è un’amicizia già incontrata: la Chiesa e, per noi, il Movimento di Comunione e Liberazione. E’ questo che cerchiamo.

Vito D’Incognito( Milano). Vorrei leggervi una breve poesia che si collega anche a quello che ha detto Giovanni. Questa poesia è stata trovata su un pezzo di carta vicino al corpo di un bambino nel campo di concentramento di Ravensbruck:
“Signore non ricordarti soltanto degli uomini di buona volontà ma anche di quelli cattivi ma non per guardare a tutte le sofferenze che ci hanno fatto patire. Ricordati piuttosto delle cose buone che quelle sofferenze hanno fatto nascere in noi: la fratellanza, la lealtà, l’umiltà, il coraggio, la generosità, la grandezza d’animo che ci è cresciuta dentro per tutto quanto abbiamo sofferto. E quando quegli uomini verranno al Giudizio finale lascia che i buoni frutti che da noi sono nati siano il loro perdono”.

Pausa e convivenza

Don Giancarlo. Questo è il momento in cui tirare le fila sulla giornata e indicarci il lavoro da compiere durante il mese. Molti non sono ancora allenati a usare il testo che abbiamo adottato. Questo non ci esonera dall’utilizzarlo anche se, per parecchi, può risultare difficile. E’ un testo ricco della profondità di pensiero di don Giussani, il fondatore del movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione. Questo testo e’ uno strumento di lavoro. Le cose importanti e decisive della vita si imparano nella pazienza e con fatica. Nella parola pazienza sono implicati due elementi: un’ipotesi da verificare che è la nostra amicizia in corso da 11 anni e la fatica di un seguire per imparare. Nella vita si trattiene solo ciò di cui si fa esperienza e che, nella verifica dell’esperienza, lo si giudica conveniente.
L’uomo è fatto per la felicità e cerca di portare a casa ogni giorno qualcosa che gli permetta di essere felice. Il Vangelo ci suggerisce di arriva a sera e, dopo aver vissuto tutto quello che la vita ha permesso di incontrare, di fare l’esame di coscienza e di ripetere a se stessi: “Servo inutile sono” perché tutto quello che si è incontrato, ascoltato, e sperimentato non è venuto da noi ma Dio.
Tale atteggiamento è molto più illuminante dell’orgoglio che attribuisce tutto a sé. Può diventare espressione di presunzione orgogliosa la posizione di chi lascia il suo cuore incatenato in ciò che gli è accaduto giudicandolo offensivo perché immeritato.
Nella visione cristiana della vita bisogna cancellare la parola castigo perché la vita è un dono e un compito continuamente abbracciati e vivificati dall’amore di Cristo che ha riscattato noi non a prezzo di oro e argento ma, dice la lettera agli Ebrei, a prezzo del suo sangue! Quando, nell’abisso di un dramma, il cuore non sa staccare e, in permanete conflittualità, non si consegna all’orizzonte di Dio, ne viene devastato. Attenzione a non diventare masochisti!.. Nella fatica del vivere di tutti c’è un fatto inspiegabile, l’accettazione.
Nel capitolo dell’affezione a Cristo ( pag. 174ss.) l’accettazione non viene data come indicazione di partenza, cioè come un dovere. Ci sono contrasti e situazioni esistenziali nelle quali non si riesce ad accettare o ad accettarsi perché entra in gioco una reazione anche somatica o psicosomatica: la ribellione dell’ io.
Don Giussani ci dice che l’uomo impara ad accettarsi e ad accettare l’accaduto solo dopo o all’interno di un percorso di fede : “Soltanto la compagnia del Figlio di Dio che è penetrato nella storia e si è collocato al fianco di coloro che il Padre gli ha dato nelle mani, rende alla vita di un uomo la capacità di realizzazione proporzionata al suo destino”.
L’uomo diventa capace di accettare sé e tutto quello che configura la condizione sua e degli altri solo all’interno di un’esperienza di compagnia in cui si sente amato. La nota caratterizzante e dominante la compagnia è la presenza di Cristo che ha dato se stesso fino alla fine: avendo avuto i suoi li amò sino alla fine, fino al sangue, cioè con il dono della vita. Tra questi suoi ci sei anche tu con la tua storia di dolore. Chi accetta di essere educato dentro questo orizzonte di Fede merita l’appellativo di santo. Il santo non è colui che vuole la santità come meta dei suoi sforzi. Santo è l’uomo che ha il desiderio attivo di Cristo. “La santità, dice la mistica von Speyr , non consiste nel fatto che tu dai tutto ma nel fatto che il Signore prende tutto” in un certo senso anche a dispetto di colui che il Signore sceglie. “ L’uomo offre tutto, forse a parole, pronuncia l’offerta a mezza bocca. Il Signore lo ascolta come se l’offerta fosse stata pronunciata nel modo dovuto, cioè nel modo più autentico” (pag.172).
C’è un implicazione. Abbandonarsi a Cristo e al suo disegno richiede sacrificio, chiede di morire a se stessi. La parola mortificazione, etimologicamente, contiene questa esperienza che porta un po’ di morte ma per far intravedere una ripresa di vita migliore. Non mortificazione, quindi fine a se stessa, ma come passaggio obbligato per un di più. “Il santo non rinuncia a qualcosa per Cristo ma vuole Cristo in modo tale che la sua vita ne venga permeata anche visibilmente, anche come forma(pag.173). La rinuncia è la modalità momentanea, attraverso la quale il Signore plasma. A voi è chiesto di accettare la mortificazione della paternità-maternità sopraggiunta con la morte dei vostri figli. Tutti potete continuare a viverla in modo spirituale. Il guaio è che a questo crediamo poco perché lo giudichiamo un di meno. L’affettività nel rapporto con una presenza fisica è diversa dall’affezione spirituale. La prima è istintiva, la seconda è da educare.
Oltre a questa implicazione il nostro testo fa intravedere il frutto dell’affezione a Cristo che è una rinascita, l’accorgersi cioè che dal gelo del cuore emerge il rigoglio di una nuova possibilità, un nuovo io. La liberazione portata da Gesù plasma l’io in un atteggiamento radicalmente nuovo innanzi tutto verso se stessi. Sorprendentemente una novità sgorga dal suo intimo come acqua misteriosa. E così si incomincia a comprendere, accettare, sopportare e a ricuperare se stessi in qualunque condizione. Se, al contrario, l’obiettivo è la riuscita personale, allora si incomincia a trattare il proprio io con la stessa violenza con cui lo tratta l’orgoglioso e il passionale. L’esito non può che essere la delusione. L’ideale del mondo è la riuscita che mette in conto la serietà di una lotta per avere successo. L’uomo si accorge di diventare creatura nuova nella misura in cui si affida alla presenza di Cristo. Dice Paolo: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova. L’antico è passato. Ecco, il nuovo è sorto”. L’evangelista Giovanni dice “questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede”. E la ragione per cui l’uomo vincerà è la fedeltà di Dio: “Dio è fedele alle sue promesse”.

Natale Colombo ( Usmate). Lasciamoci provocare da quello che ci è stato detto. Meditiamo le pagine del libro (pag. 171-179). Saranno di grande aiuto.
Vi informo che stiamo preparando un sito Internet. Penso che, entro questo mese, riusciremo a definirlo
Durante la S. Messa ricorderemo tutti i nostri ragazzi; in particolare: Alberti Ivan, Leonardo Targa, Alessandro Migliavacca, Davide Longobardi, Claudio Leoni, Luca Bossi, Daniele Macagnano, Suor Michela Rotondi, Elisa Monza, Larghezza Luca, La Bianca Maria Pia.

I prossimi incontri sono fissati per il 23 marzo e il 13 aprile. Colgo l’occasione per salutare anche i nostri amici di Roma. Chi vuole potrà fermarsi per una pizza insieme a loro. Nella S. Messa ricorderemo anche il loro Andrea che è morto l’anno scorso all’età di 15 anni.
Buona serata e buon rientro a casa. Nell’intervallo che ci separa dal prossimo incontro continuiamo a tenerci in contatto.
You are here: Testimonianze Anno 2003 Febbraio: Incontro mensile