INCONTRO FAMIGLIE IN CAMMINO
NOVEMBRE
NOVEMBRE
Natale Colombo (Usmate). Desidero portare il mio saluto personale e quello della Fraternità di Famiglie in cammino a tutti i presenti. Vedo diverse facce nuove. Se dopo lo desiderano possono presentarsi all’assemblea. Don Giancarlo presiederà la seconda parte dopo l’intervallo.
Giorgio Macchi (Varese). Carissimi, oggi, vedo presenti diverse persone nuove. Credo che sia il caso di richiamare e di presentare un po’ il nostro gruppo e ripercorrere un po’ assieme il cammino fatto in questi anni. Per capire meglio racconto la mia esperienza.
Circa 15 anni fa mia figlia Lidia è stata assassinata. A tutt’oggi non si conosce ancora il colpevole di un simile delitto. Potete immaginare come un fatto così improvviso e drammatico abbia sconvolto in totto le nostre esistenze. Non sapevamo più cosa fare. A parte le indagini della polizia che scardinavano per ovvie ragioni la sua vita privata ed anche la nostra noi eravamo distrutti dal dolore. Non avevamo più voglia di fare niente. Ci trascinavamo in un’inutile ipotesi di scoprire l’assassino pensando che tutta la giustizia fosse il trovare chi aveva potuto commettere un’infamia simile a nostra figlia. Neanche il piccolo Alberto, che era appena nato, ci poteva consolare della perdita di Lidia. Mia moglie lo nutriva come un’automa passando le giornate distesa sul divano. Noi, allora, credavamo e pensavamo di avere tanti amici. Ma questi in questo genere di cose non erano in grado di aiutarci. Allora abbiamo incominciato ad incontrare altre persone nuove che erano capaci di dirci le parole giuste nei momenti giusti. Nei momenti di gran dolore si sente la necessità di avere intorno delle persone cui fare riferimento; persone che nei momenti di crisi sono in grado di ascoltare e capire, che stanno insieme con te mangiando semplicemente una pizza, che possono sostenerti anche senza parlare; a volte è importante la sola presenza. Non è un genere di persone che s’incontrano facilmente poiché ognuno è preso dai propri problemi. Di fronte al dolore è più facile chiudersi nel proprio mondo. In questi momenti è pertanto importante scegliere e capire quali sono le persone cui ci si possa appoggiare. Per diventare forti si ha bisogno di qualcuno che accompagni nel dolore. Le nostre famiglie, col tempo, fanno questo, ognuno nella propria zona, aiutando in modi diversi.
Pertanto definirei una prima fase del dolore che corrisponde a quello più doloroso dove la perdita del figlio non trova alcuna risposta. In questa fase, dove prevale il pianto, è importante trovare qualcuno che ci ascolti e che ci possa abbracciare per quelli che siamo. E’ il periodo delle domande; soprattutto la nostra giornata è caratterizzata dai perché senza risposta e purtroppo in molti casi nei sensi di colpa. E’ un periodo lungo e faticoso. Non è uguale per tutti.
Alla fine di questa fase ci sono due possibilità. O il nostro dolore si apre e inizia un cammino che prospetta delle possibilità di purificazione e di desiderio di vita nuova o si chiude diventando disperazione sprofondando in alcuni casi in vere e proprie manie depressive che si aggiungono alla già difficile situazione familiare. Se il dolore si apre alla vita gli amici giusti sono importantissimi. La ragione comincia ad avere il sopravvento sul sentimento e pur avendo ancora crisi si è in grado di discernere quello che è importante per noi. Si è facilitati se si osservano i volti di quelli che hanno avuto la stessa esperienza e che ci fanno da guida. E’ una fase che richiede fiducia e affidamento. La Fede si rafforza e la preghiera diventa quasi un bisogno.
Poi si può riconoscere una terza fase. Il dolore inizia ad essere vissuto in modo diverso. Nella persona comincia a nascere un amore che è il dolore trasfigurato. E’ il desiderio di fare qualcosa, magari da soli, ma ci sentiamo impotenti. In questo momento è importante la compagnia degli amici attraverso i quali può avvenire un confronto e si può capire meglio come muoversi e, cosa fare. Ognuno di noi apporta un valore aggiunto come persona, come dolore. Tante cose che all’inizio non si capiscono o sono difficili o da soli sembrano impossibili, con l’aiuto degli amici tutto questo diventa meno gravoso.
La quarta fase è la missione quando si riesce a dare una risposta, anche se incompleta e mai definitiva, al perché della morte di un figlio. L’amore ha avuto il sopravvento su tutto, per questo si diventa missionari nei confronti degli altri. La persona è cambiata poiché è attenta al dolore del mondo ed a quello che per vari motivi tocca le persone più vicine. In questi casi a volte è possibile partecipare solo con la preghiera. Di fronte alle tante sofferenze del mondo, penso in questo momento ai ventisei bambini vittime del terremoto e a come potranno affrontare il dolore i loro genitori, si può pensare che la preghiera sia poca cosa ma è qualcosa. Noi siamo impotenti, ma siamo solidali con loro, non come fatto emotivo. Molte persone emotivamente sono vicine, ma non sanno reagire, non sanno come aiutare. Nell’ambito della Fraternità è nato il desiderio di farci vicine ai genitori di questi ventisei bambini e Marinella Rimoldi ha scritto una lettera al Vescovo e alle famiglie per essere lì con loro anche in modo diverso. Quando una persona arriva alla fase della missione, è una persona che si è giocata , che ha detto il suo sì. Il cuore è purificato dal dolore pur continuando ad esserci. Così si mantiene vivo. Guai se non ci fosse il dolore che ci sostiene e ci ricorda la memoria dei nostri figli. L’amore ha però preso il sopravvento e quindi si diventa missionari nei confronti dei nostri amici. Non obblighiamo nessuno alla scelta religiosa ma la scelta deve essere libera, vogliamo rendere partecipi della nostra vita e della speranza che abbiamo incontrato, poi ciascuno deve sentirsi libero di accettarla o meno.
Natale Colombo (Usmate). L’importanza di Famiglie in Cammino è stata spiegata benissimo da Giorgio: ci troviamo qui per sostenerci l’uno con l’altro, ciascuno di noi ha bisogno di vedere la concretezza di volti e d’esperienze. Dopo dieci anni che frequento questo gruppo capisco che c’è sempre da imparare. L’iniziativa sorta nell’ambito della Fraternità e in particolare portata avanti da Marinella rileva l’importanza del nostro stare insieme e poter trasmettere messaggi di positività, nonostante il dolore. Ricordiamo i nostri ragazzi in cui questo mese ricorre l’anniversario della loro morte: Marco Benzi, Marco Scampini, Silvia Zambon, Davide Capobianco, Simonetta Seribelli, Carla Croci, Doris Pastrello, Gian Marco Roveri, Mara Brunelli, Giorgio Di Dio, e tutti gli altri che non ci conoscono.
Noi siamo con tutte le persone che anche questa settimana ci hanno telefonato, anche dopo la trasmissione di don Giancarlo, persone disperate che non sanno come affrontare il domani: noi siamo qui proprio perché abbiamo dentro la coscienza che Qualcuno, più grande di noi, ci ha dato questa storia. Ci ha fatto conoscere la gioia della vita e anche il dolore che vissuto nella fede ci purifica, dandoci uno sguardo diverso. La gioia dentro la si può trovare aiutando o accogliendo gli altri come hanno fatto Giorgio e Paola Macchi accogliendo nella loro famiglia una donna con la sua bambina, senza pensarci troppo, non perché si è bravi ma perché c’è dentro la voglia di aprirsi alle sofferenze altrui per dare valore alla vita.
Giorgio Targa ( Milano). Noi siamo insieme qui innanzi tutto per la nostra componente umana, tutti siamo genitori, capiamo quant’è grande il dolore per la perdita di una figlio, a livello umano sappiamo venirne fuori attraverso le lacrime. Quando noi ci siamo accorti che tirando fuori la nostra fede debole che avevamo fin d’allora, il Signore ci ha aiutato a vivere questo dolore ai piedi della Sua Croce che come la Madonna ha avuto la pazienza di vederla trasformata da una croce di dolore in una croce di salvezza, in una resurrezione. Noi questo l’abbiamo sperimentato e abbiamo visto che l’unica strada che ci sosteneva era la strada della fede, della parola di Dio, del vivere questo alla luce di un disegno di salvezza che Cristo aveva su ciascuno di noi. Quando ci siamo resi conto di questo abbiamo capito che questo era il cammino da proporre ad altri genitori, perché solo così potevamo dire ad altri genitori che la strada indicataci dal Signore è quella da percorrere. Il Signore ci ha aiutati a passare dalle lacrime ad un momento più sereno che ci ha consentito di lavorare e guardare ad altri genitori nel dolore. Dobbiamo ringraziare anche Don Giancarlo che ci guidati in questi dieci anni lungo i quali abbiamo visto cose meravigliose nei vostri volti, nelle vostre storie e nel vostro cambiamento di cuore. Questo è possibile perché Gesù è presente in mezzo a noi, non dobbiamo nasconderci che la strada della croce può diventare, gradualmente, una croce di salvezza.
L’amore che Cristo ha avuto nella nostra storia non possiamo tenerlo solo per noi, ma va comunicato, il Signore aiuta tutti quelli che sono disposti a chiedere il Suo aiuto, perché dia sostegno nei momenti di crisi, sostegno nel superare le lacrime, per riacquistare fiducia nella vita. L’aspetto umano è estremamente importante, ma se il Signore si è fatto uomo ed è morto sulla croce è per condividere il nostro dolore e sublimarlo in un dolore che diventa aiuto, solidarietà umana, e passa attraverso il dolore, aiuta altri a passare attraverso il dolore e ad andare avanti, chiedendo ogni giorno l’aiuto del Signore. Don Giancarlo ci ha aiutati a crescere attraverso un cammino di fede, a cambiare il nostro cuore, a riscoprire e a fortificare la fede.
Valentina Migliavacca (Milano). Ho qui una preghiera che potrebbe aiutare molti di noi.
Ve la leggo. Preghiera al Signore:
Ho l’anima piena di amarezza e rischio di essere sopraffatto dallo sconforto. Eppure tu avevi previsto questa mia sofferenza e vado allora chiedendomi perché non sei ricorso alla tua onnipotenza per evitarmela. Subito ripenso al fatto che per salvare il mondo tu stesso hai scelto tra mille formule a tua disposizione quella del dolore e hai pagato di persona in misura incredibile. Se il dolore non avesse in Te un potere immenso di redenzione e di bene Tu non l’avresti scelto per l’azione del tuo piano di amore e tanto meno l’avresti riservato ai tuoi amici più cari. Indubbiamente è una legge strana quasi sconcertante ma Tu mi assicuri che è legge di vita e di salvezza. Dammi allora, o Signore, la forza di accettarla nella visione chiara di questa sua inestimabile prerogativa. Dammi la convinzione profonda che questa mia sofferenza si fonde con la Tua passione e con il Tuo dolore ed acquista così valore incalcolabile. Se in un istante di debolezza mi dovesse sfuggire un gesto di rivolta professando la mia innocenza ricordami Signore che Tu stesso, pur essendo infinitamente buono, sei stato crocefisso e rinnova in me il coraggio di aspettare quanto mi riserva questa legge misteriosa del dolore che giorno per giorno va restaurando nel mondo il diritto a sperare. Così sia
Vi porto i saluti di Angela Seribelli che è ricoverata all’ospedale di Busto Arsizio a causa dell’ intervento all’anca. Adesso sta facendo la riabilitazione. Il vostro aiuto, la vostra vicinanza, le dà un grande conforto.
Pinuccia Borsani (Cassano Magnago). Ogni tanto sfoglio il diario di Viviana e lì ho trovato ricopiata una frase della Divina Commedia di Dante: “Fatti non foste a viver come bruti ma a perseguir virtute e conoscenza”. Mi rendo conto che vivendo il dolore si rischia di lasciarsene sopraffare e di non fare più nessun passo. La compagnia aiuta a fare nuovi progetti e a continuare a vivere con i propri figli.
Giovanna Del Bello (Sovere). Sono due anni che frequento questo gruppo e devo dire che la vera disperazione qui non l’ho mai vista. Già dalla prima volta ho visto visi sereni che mi hanno colpito. La prima volta che sono venuta erano solo quaranta giorni che mio figlio era morto e io non ero proprio serena. Mi sembrava impossibile riuscire ad essere come loro, ho cercato di ascoltare le esperienze degli altri, mi sono rispecchiata in alcuni, ho cercato di rafforzare la fede. In questi giorni nella mia parrocchia si stanno svolgendo le missioni e a differenza degli anni precedenti adesso mi sono sentita più coinvolta. In casa abbiamo accolto un centro di ascolto e mi sono sentita molto bene nel fare qualcosa anche per gli altri. Sicuramente quello che facciamo ci viene per l’aiuto di Dio e ci fa trovare un po’ di pace. Sento mio figlio sempre vicino e la sua morte ha risvegliato la fede che era come assopita.
Valentina Migliavacca (Milano). Prima della morte di mio figlio, oltre la Messa domenicale, durante la settimana non sentivo la necessità della preghiera. Poi ho imparato a invocare Dio e sentivo che Li era la mia unica speranza. Questa invocazione è sicuramente ascoltata e il Signore si fa trovare. Sento che, sia io che mio marito, siamo rinati ad una nuova vita. La nostra croce è diventata una croce fiorita. Con l’aiuto di Dio si può tutto, Lui non abbandona, perciò dobbiamo coltivare questa certezza.
Giovanni Rimoldi ( Busto A.) Io e Anna, come tutti i genitori, siamo stati tormentati ma devo aggiungere che se non ci fosse stata la croce di Cristo, sarei ateo. La morte in croce di Cristo non è fine a se stessa, ma attraverso di essa Gesù ha redento l’umanità e ci dà la possibilità di abbracciare i nostri figli, in carne ed ossa. La fede cristiana è una fede realistica, con i piedi per terra. Si parla di resurrezione dei corpi, di tutta la persona, quindi noi abbracceremo i nostri figli, con il loro corpo. Quando S. Paolo è andato ad Atene a testimoniare tutti erano attenti ad ascoltarlo. Quando ha iniziato a parlare di Resurrezione dei corpi lo hanno interrotto, perché nella filosofia greca era una cosa impensabile. Per i filosofi di allora il corpo era il carcere dell’anima, per i cristiani il corpo è tempio dello Spirito Santo. Avviene un salto qualitativo fortissimo, noi dobbiamo essere felici di avere questa fede, che è una fede “dolente”, perché passa attraverso la croce. Guai se noi non provassimo sofferenza: saremmo schizofrenici, soltanto che non ha amato i figli o è schizoide, non soffre. La sofferenza è parte integrante di noi, ma non è fine a se stessa e quindi non è assolutamente disperazione. E’ speranza perché Cristo ha riscattato la morte. Se c’è un miracolo fondamentale è la Resurrezione di Cristo, gli altri miracoli potrebbero anche non esserci e la nostra fede non cambierebbe. Dobbiamo avere speranza e fiducia che si basa sulla certezza che Gesù è risorto.
Savina D’Incognito (Milano). Quello che ha detto Giovanni mi ha riportato indietro, quando ho iniziato a venire a Busto e ricordo che questo pensare mi aveva colpito moltissimo, anche se non potevo capire pienamente. Adesso sono più consapevole e sento che la forza della Croce mi dà la forza di continuare, perché dietro c’è la Resurrezione, la vita. Sembra un paradosso, ma tante volte mi dico di essere arrivata alla vita vera, che prima non conoscevo, proprio attraverso il dolore più grande che possa esistere. Quando è mancato Leonardo, il prete che venne a trovarci e che noi non conoscevamo, mi fece l’esempio del vaso: può rompersi l’involucro ma quello che in esso è contenuto rimane integro e spettava a noi farlo crescere. La chiave stava nel dare un senso al dolore, farlo crescere in un modo diverso di vivere, che è personale, ognuno può scoprire la propria strada. Per noi è importante anche la missionarietà: proviamo il desiderio di trasmettere anche ad alti quello che noi abbiamo incontrato. La strada è proprio quella della fede, non ne esiste un’altra; ci sarebbe altrimenti solo la disperazione. Questa strada ci porta ai nostri figli, anche attraverso la fatica e la sofferenza. Non dobbiamo però sprecare il tempo che ci è dato, che non sappiamo quanto possa essere, i nostri figli ce lo chiedono.
Natale Colombo (Usmate). Tutto quello che abbiamo ascoltato è la risposta alla riflessione riportata sulla lettera di invito a questa assemblea, che dice: “Il cristiano che obbedisce al disegno di Dio dentro le circostanze della vita impara ad affrontare e a vivere tutte le situazioni con un metro di misurazione unico, la Fede”. Lo strumento della fede diventa la regola di vita, stando con Gesù Cristo, riconoscendo nell’altro la Sua presenza. Cristo si manifesta attraverso un altro, attraverso il modo di stare insieme che aiuta e dà conforto.
Maria Magni ( Vimercate). E’ giusto piangere, abbiamo pianto tanto. Chi mi ha aiutato è stato dapprima un sacerdote, poi degli amici carissimi Flora e Natale, Paola e Giorgio e la fede in Dio.
Mamma di Silvia ( Legnano). Mi sento privilegiata perché parto dalla fede di mia figlia e vorrei farvi leggere l’omelia dei funerali di mia figlia.
Nel suo misterioso disegno il Signore ha anticipato crudamente quello che a Pietro aveva preannunciato nella vecchiaia. Non quando sarai vecchia, Silvia, ma nel fiore della tua giovinezza un altro ti ha cinto la veste e ti ha chiesto questo sacrificio portandoti dove tu non vuoi perché la vita non è fatta per la sofferenza e il dolore, la vita non è fatta per la morte. Eppure nella tua vita all’inizio, nel fiorire della tua vocazione, il sì che con letizia e certezza hai detto insieme ad Achille, è fiorito misteriosamente, fin dall’inizio, come lotta con il dolore, la fatica, la sofferenza, la prova della malattia. Quello che per il mondo, per il buon senso con cui normalmente, cioè banalmente guardiamo le cose, potrebbe essere una contraddizione insanabile: perché proprio una giovane sposa è chiamata a soffrire così. Perché tanto dolore? Perché tanta fatica? Per te è diventata la circostanza con cui rendere esplicito quello che in te sin dagli anni dell’università, fin dagli incontri con il Movimento, è diventato familiare: il riconoscimento di quella Presenza, di questo uomo che è morto e risorto, di questo uomo che non è una Presenza del passato, che non è un nome generico tra tanti che si possono fare, ma è l’unica Presenza che ha vinto la morte; è l’unica realtà che ha dato alla fatica, al dolore, alla sofferenza dell’uomo, dignità grande, dignità di salvezza, circostanza di speranza, non con delle parole ma dentro la carne, diventando uomo, diventando compagnia della vita. Ciò che in ogni istante, circostanze della vita, si apre al riconoscimento di questa Presenza, consistenza ultima, radice misteriosa ma reale, fisicamente reale di ogni cosa. Per te Silvia la circostanza di questa lunga prova è stato il fiorire di un abbandono certo e sicuro senza fronzoli, essenziale come è nel tuo carattere e nel tuo temperamento, decisa, con una decisione che non nasce dalla nostra forza ma dallo sguardo a questa presenza così che anche questa circostanza, altrimenti terribile, è stata tra di noi, innanzi tutto per tuo marito, per Achille, per la tua mamma, per i tuoi amici, per gli amici della Fraternità, il fiorire di una testimonianza di certo abbandono. Il fiorire di un’obbedienza non come meccanica e passiva accettazione, ma come amore a volte detto con decisione, a volte solo in un soffio, come Pietro ha risposto alla domanda di Gesù quel giorno: “Mi ami tu?” “Sì, Tu sai tutto, Tu sai che ti amo”. Abbiamo visto in te quello cui don Giussani continuamente ci invita a guardare: la realtà, la circostanza, l’istanza, la densità dell’istante vissuti come tocco del mistero, non perché l’istante di per sé è vero, perché la vita è lotta e Dio solo sa quanto è stata per te. Ma non una lotta da schiavi, non una lotta da incoscienti una lotta di un Io amato che può, fino alla fine, guardare questa presenza. Così per te la vita di casa, la vita della normalità, che le tue amiche iniziano ad affrontare e che per te non è mai stata tale è stato il sì cosciente, cosciente, come ci siamo detti tante volte, che la nostra vocazione è per essere partecipi alla vocazione di Cristo, alla salvezza del mondo, alla salvezza del popolo cristiano, per il bene del movimento, per il bene della Chiesa, per il bene del mondo: è il compito più grande. A te il Signore ha chiesto l’avamposto, l’avamposto nella battaglia dell’umanità, come domanda, come ubbidienza, ti è stata donata. Ora tu vedi con chiarezza la ragione di questa fatica, la ragione di questo dolore, la causa che la Croce, che il dolore sono condizione, non obiezione, condizione per una vita più vera. Aiutaci, aiuta innanzi tutto Achille, aiuta la fede di ciascuno di noi a vivere il rapporto con il mistero, a vivere il rapporto con Cristo che dà tutto, tutto se stesso per noi, con la certezza, con l’obbedienza, con l’essenzialità con cui tu l’hai vissuto. Ti chiediamo, guardando tu la Madonna, fonte di speranza verace, di ridere, di aiutarci a che il nostro sì sia più limpido, meno incerto, che la nostra fede che fiorisce nella certezza di una compagnia qui, nella compagnia al destino, nell’affezione a noi che restiamo qui uniti a te, che vivi il peso vero delle cose la densità ultima di tutto, di quello che per noi è ancora la fragilità affascinante dei passi di ogni giorno. Aiutaci, che il nostro sì, che la nostra amicizia, che la compagnia ad Achille e ai tuoi cari sia densa come la tua, come quella che tu hai vissuto e che continui definitivamente a vivere, carica di coscienza, carica di essenzialità, carica di passione per chi ti è più prossimo e per tutto il mondo. Sì Signore Tu sai tutto, Tu sai che ti amo.
Anna Rimoldi ( Busto A.). Pensando ai ventisei bambini morti nella loro scuola e avendo noi una bambina che avrebbe la loro età in noi è scattato immediatamente il desiderio di renderci prossimi a queste famiglie, facendo loro sentire la solidarietà che è nel cuore di ognuno di noi. Parlandone all’interno della Fraternità si è pensato di inviare una lettera al Vescovo per introdurre quella alle famiglie. La lettera inviata al Vescovo è firmata dal nostro priore e ad essa sarà allegata la sintesi dell’incontro di settembre che è stato un momento eccezionalmente ricco. Vale la pena che sia condiviso con chi vive l’esperienza del dolore.
Eccellenza reverendissima monsignor Tommaso Valentinetti vescovo di Termoli Larino le scriviamo quali coordinatori di Famiglie in Cammino, gruppo di genitori accomunati dalla perdita di un figlio. I recenti tragici fatti del terremoto che ha colpito la sua diocesi e in particolare S. Giuliano di Puglia hanno particolarmente colpito tutti noi di Famiglie in Cammino. Nelle bare bianche che lei ha benedetto in occasione della S. Messa con cui sono state effettuate le esequie di tanti bambini, abbiamo rivissuto con commozione la morte dei nostri figli, ci siamo sentiti particolarmente solidali con i genitori dei piccoli angeli di S. Giuliano. Il nostro gruppo ha avuto la grazia di trovare in un sacerdote amico la guida spirituale con cui cominciare un cammino di fede che dal dolore possa portare, passo passo, a quella serenità interiore che solo la croce e la certezza della Resurrezione di Cristo possono dare. Auguriamo di cuore che anche i genitori di S. Giuliano possano trovare una guida spirituale in un cammino di fede ed una compagnia di amici uniti dallo stesso dolore e dalla stessa speranza.
Dal depliant allegato potrà conoscere il nostro gruppo, qui unita troverà anche la lettera che due nostri amici Anna e Giovanni, sulla base della loro esperienza hanno scritto a nome nostro ai genitori di S. Giuliano. La preghiamo di consegnarla loro. Con la nostra guida spirituale, don Giancarlo Greco, parroco della parrocchia di S. Anna a Busto Arsizio, ci consideri a Lei vicino in questo arduo cammino di fede e di speranza. Uniti nel Signore.
Fra qualche giorno sarà anche attivo un nostro sito web che potrà essere occasione di incontro e di scambio di esperienze.
Carissimi genitori degli angeli di S. Giuliano siamo Anna e Giovanni, mamma e papà di un altro piccolo angelo, Maria Gabriella. Se fosse vissuta oggi avrebbe la stessa età dei vostri bambini che sono in cielo. Vi scriviamo a nome di tutti gli amici di Famiglie in Cammino, gruppo di genitori che come voi piangono la morte di un figlio, ci sentiamo a voi particolarmente vicini e solidali. Di fronte alle tante bare bianche che hanno racchiuso i corpi dei vostri bambini e che le immagini televisive hanno mostrato, abbiamo anche noi pianto di dolore e di commozione. Per noi è stato spontaneo unire a quelle dei vostri bambini la piccola bara bianca della nostra unica figlia, e così hanno fatto anche gli amici di Famiglie in Cammino, rivivendo con voi la morte dei loro figli. Anche noi come voi come tanti altri genitori ci siamo chiesti più volte dov’era Dio al momento della morte dei nostri figli. Anche noi ci siamo sentiti da Lui traditi, eppure, passo dopo passo, anche se oggi mentre vi scriviamo questa lettera ci scendono ancora lacrime di dolore abbiamo maturato la convinzione che il dono più bello della nostra vita sia stata la nascita della nostra piccola bambina e ringraziamo sinceramente Dio, l’autore della vita, di avercela donata. La mamma del piccolo Luigi con tanto coraggio e dignità di fronte alle tante bare ha affermato: “Sono la mamma di Luigi ma sono anche la mamma di tutti questi angeli, gli angeli di S. Giuliano”. Carissime mamme e papà come avete intimamente avvertito questa non è una frase di circostanza è la realtà che nasce dal cuore, dal più profondo degli affetti. I vostri bambini sono tanti piccoli angeli come lo è la nostra piccola bambina. La sua presenza è per noi sempre viva, il suo ricordo è parte integrante della nostra vita, come lo sono per voi i vostri bambini che oggi sicuramente sono nella braccia del Padre celeste. Ogni giorno ci rivolgiamo a lei, come nostro angelo, con la preghiera dell’angelo custode che abbiamo così modificato: “Angelo di Dio che sei il nostro custode illumina, custodisci reggi e governa noi che ti abbiamo affidato alla pietà celeste”. Nell’oggi di Dio in cui vivono i nostri bambini non possono che essere i nostri custodi come il vostro Vescovo ha ricordato. Allora quella terribile domanda: dov’era Dio in quel momento, si stempera alla luce del Crocefisso che dà un senso alla sofferenza e apre alla resurrezione e che per tutti noi sarà un incontro con i nostri figli che oggi insieme piangiamo. La nostra fede cristiana ci insegna che la resurrezione è resurrezione di tutta la persona, anima e corpo. La speranza di poter riabbracciare nella certezza cristiana, nostra figlia anche con il suo piccolo corpo, è per noi motivo di vita. Con tutti gli amici di Famiglie in Cammino vi auguriamo di cuore che questa speranza si affermi sempre di più in voi. I nostri bambini ci chiedono di vivere di lottare per la vita, che per voi è anche la ricostruzione materiale di ciò che il terremoto ha distrutto. Il dolore, quando è profondo, non si vince da soli, ha bisogno di una compagnia, di un’amicizia. Stando insieme, solidarizzando insieme, con la grazia di Dio si vince la tentazione della disperazione. Facendo così noi tutti genitori di Famiglie in Cammino con l’aiuto di una guida spirituale, un sacerdote, un amico, abbiamo intrapreso un cammino di fede con cui abbiamo ritrovato o stiamo, sia pure a fatica, ritrovando, la forza di raggiungere una speciale serenità interiore, malgrado il dolore che inevitabilmente, specialmente in alcune particolari circostanze, si rinnova. La nostra e la vostra è una ferita che si rimarginerà solo in cielo quando saremo accolti da tutti i nostri figli. Questa speranza che nella resurrezione di Cristo è certezza, ci dà la forza di vincere la disperazione. E’ quanto di cuore, con i genitori di Famiglie in Cammino vi auguriamo. Un abbraccio affettuoso.
Don Giancarlo. L’importante è diventare coscienti del punto a cui si è arrivati. Se non si è consapevoli della collocazione nella quale l’io si è venuto a trovare non si può fare il passo successivo che permette poi di passare da un prima a un dopo, migliore e più positivo. Il punto a cui si è arrivati è diverso a seconda delle storie, a seconda della vicinanza o distanza dei rovesci esistenziali. Chi ha affrontato il dramma già fornito di un’attrezzatura di fede, avrà un punto diverso da chi si è trovato totalmente spiazzato e travolto. C’è chi si trova all’inizio di legami, c’è chi invece appartiene da anni alla storia di legami che ha potuto e può valutare in modo consapevole, valutandone i vantaggi, la positività, i limiti, le lacune. L’importante è riconoscere il punto in cui si è, con lealtà verso se stessi e il primo punto che uno scopre, che sia sul primo gradino o al settimo dell’inferno o purgatorio o del paradiso dantesco, una cosa sorprende tutti perché ne è il denominatore comune è quella che troviamo nel nostro testo a pag.167 sotto il titolo “La coscienza della personale incapacità evidenzia”. Questo fattore che ci accomuna è il limite, è sentirsi peccatori, è la debolezza. Don Giussani ci dice: l’essere peccatore è la modalità esistenziale con cui si documenta, si manifesta, il limite strutturale che accompagna la nostra libertà. Infatti, la libertà ha una limitatezza indistruttibile da ci scaturisce la possibilità del male che noi facciamo. Una condizione originale e misteriosa rende così attuale tale possibilità che sorprendente diventa il non aver sbagliato o il non sbagliare, più che il non aver sbagliato. Scriverà San Francesco di Sales: “Che meraviglia se la debolezza è debole”. Nel punto in cui siamo arrivati, qualunque esso sia questo è un fattore che non possiamo asportare, non possiamo ignorare, quasi non fosse presente come elemento che ci costituisce. Tutti i giorni facciamo esperienza del limite della nostra libertà e tutti i giorni facciamo anche l’esperienza del male di omissione a cui la debolezza della nostra libertà ci espone. Infatti, quante omissioni, come possibilità di crescita, di bene, di conforto, di incoraggiamento, di dono, ci passano vicino, ma noi siamo distratti, superficiali, omettiamo. Ma non siamo solo proclivi al male, il male lo facciamo e altri lo fanno su di noi teorizzandolo come bene, come missione avuta da Dio. Pensiamo al terrorismo mondiale, il Papa lo ha a ricordato al parlamento nella speranza che tutti, indipendentemente dal credo politico o religioso, si rendano conto che nessuno ha il diritto di prendere Dio come pretesto e giustificazione di un male che si vuole contrabbandare come bene. Questa è la satanicità più evidente, prendere il bene come pretesto per fare il male, solo l’assatanato è in grado di farlo. Don Giussani ci dice in questo contesto: qualunque esso sia, impara una cosa, l’umiltà. L’umiltà è la familiarità virtuosa a pensare sé a sentire il proprio vivere come un essere continuamente creato ma più che amorosamente a riconoscere l’esistenza come una condizione nella quale essere continuamente ripresi. Ripresi da chi vuole il nostro bene, da chi ha misericordia di noi, da chi soffre vedendoci soffrire e vorrebbe essere portatore di un conforto, di una gioia, proprio perché non è connaturale all’uomo la sofferenza, connaturale alla natura umana è la gioia. Quell’uomo, il verbo che si è fatto carne, diventando uno di noi e ha dato la vita per noi, continua ad essere vicino a noi come il contenuto della speranza ha introdotto la logica del buon pastore, del padre misericordioso che ha la libertà di fermarsi al bordo della strada e di capire che quell’uomo sofferente non è nella condizione connaturale alla natura umana e se ne fa carico, provvede ad esso. E’ la nostra storia, in tanti di noi è ricominciato a rifiorire la rosa dell’occhio che reimpara a sorridere. Se noi stiamo facendo qualche passo nell’esperienza di un rasserenamento che in qualche momento diventa letizia è perché qualcuno ci ha insegnato o ci ha contagiato nella positività del vivere. Qualcuno tra di noi pensa che sia un’offesa ai figli ritornare a divertirsi, a godere in modo lieto della vita, si difendono, non è l’umiltà. L’umiltà è riaccorgersi che la nostra vita è continuamente ripresa dal padre buono che si china su di noi, ci prende per mano e ci permette di riscoprire le bellezze che ci circondano. L’umiltà ci viene solo dall’alto. Un inno della liturgia ambrosiana recita: “Senza la Tua forza ricreante nulla è nell’uomo, nulla c’è di intatto nell’uomo”. L’umiltà si appoggia tutta ad un’ultima calma perché la verità di sé incontrata e riconosciuta induce alla pace in cui l’umano trova il ristoro e il rifluire progressivo della vita autentica. Siamo lontani dal pensiero di poter fare tutto da sé: in questo modo si rischierebbe di fare disastri soprattutto se nelle prove che hanno ferito profondamente l’io si può pensare di essere medici di se stessi. Il riconoscere nell’umiltà la condizione di fragilità, di debolezza e quindi anche di proclività al male rende poi capaci di calma, dove la calma non è apatia ne rassegnazione ma questa calma è il flusso sorgivo che penetra: la grazia. E’ un dono che non ha sembianze umane, è una circolazione interiore di un ossigeno diverso che riconcilia l’umano frastornato con l’esigenza che niente e nessuno può sradicare dall’io profondo: l’esigenza di felicità e di pienezza. La calma dell’umiltà penetra un dolore attivo che si chiama mortificazione, la messa in conto del sacrificio. Il cristianesimo non è la teorizzazione del patire, è accettazione realistica del patire perché si è uomini, creature segnata dal peccato originale e dal limite personale, ma il patire è trasfigurato da quello che l’uomo crocefisso, risorto e vincitore, ha fatto intravedere oltre l’orizzonte del patire. Ha fatto intravedere che tutto coopera al bene di coloro che si sono sentiti amati, si lasciano amare e rispondono all’amore. Allora accetta di compiere nella propria carne ciò che manca nei patimenti di Cristo, per amore non per dovere o sconfitta. La mortificazione è una sembianza di morte, morte facere, l’etimologia della mortificazione tutto ciò che porta momentaneamente e apparentemente l’esperienza del morire, del venir meno, ma è solo una sembianza è solo un momento di passaggio, di evoluzione che poi fa intravedere la promessa del centuplo. Il santo, cioè l’uomo vero, riconosce tutto questo se ha la semplicità del cuore di un bambino, cioè avere il cuore capace di domanda. Domandiamo l’impossibile, il cambiamento di noi, domandiamolo a chi tutto può.
Natale Colombo. La data del prossimo appuntamento è il 15 dicembre. Sarà una giornata di convivenza che prevede il pranzo comunitario, lo scambio degli auguri e la S. Messa alle ore 16 dove ricorderemo tutti i nostri ragazzi.
Don Gigi Peruggia ( Vimercate). Vorrei spiegare perché vado a Gerusalemme sette giorni. Il bisogno di andare a trovare il senso, vado specialmente perché ogni cristiano andrebbe volentieri a Gerusalemme ma per me, in questi otto anni, c’è stato un motivo in più. Proseguendo nell’esperienza di assistenza ai malati in fase terminale, a domicilio nella mia zona e poi anche a Monza, mi sono sentito sempre più attratto anche ad andare fisicamente nei luoghi dove Cristo ha vissuto la sua terminalità, con tutta la sua fatica e umanità, soprattutto a Gestemani, nell’orto degli ulivi. Avendo là degli amici ed essendo già andato quest’anno siamo in sei, tre di noi andranno direttamente a Gestemani, la mia intenzione è di trascorrere quasi tutto il tempo lì, per una settimana di preghiera, imparare a pregare per sentire il Signore vicino. Certamente lo si può sentire dappertutto, però lì ci sono dei luoghi dove l’incarnazione del Signore, la sua debolezza e la sua vicinanza si è fatta maggiormente sentire. Lui lì non ha avuto l’accompagnamento, la palliazione, la copertura dell’affetto degli amici. Le cure palliative sono questo: l’accompagnamento e l’aiuto a livello medico e infermieristico, oltre che psicologico e spirituale. Lui ha chiesto agli amici ma quelli dormivano e li ha capito. Vivrò dei momenti di solitudine e di preghiera e momenti di incontro con i cristiani anche non cattolici, purtroppo c’è una situazione di difficoltà che possiamo immaginare, ma non come ce la presentano in televisione, c’è anche tantissimo bene, tantissima voglia di pace sia tra i cristiani sia tra gli ebrei e i musulmani. La vicinanza alla città vecchia permette la visita al Santo Sepolcro e gli incontri con i vari gruppi, probabilmente incontreremo i rappresentanti della Caritas a cui daremo le nostre offerte. C’è, infatti, anche questo secondo scopo di condividere concretamente una situazione con i nostri fratelli che sono rimasti completamente senza lavoro, poiché è cessato il flusso dei pellegrini e dei turisti. Chi aveva investito sul turismo si è trovato bisognoso di essere aiutati.