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Aprile: Incontro mensile

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ASSEMBLEA DI SCUOLA DI COMUNITA’
Aprile 2002


Natale Colombo (Usmate). Oggi cominceremo con una preghiera ed un canto, poi continueremo con la lettura di un pezzo di scuola di comunità e questo ci servirà per vivere questo incontro in modo più sentito.

Don Giancarlo. Iniziamo con il canto “Il seme”. Il seme di cui si parla è la presenza di Dio nella vita, dove c’è vita ci deve essere il Creatore e il punto sorgivo della vita. La vita non si fa da sé ma è ricevuta ed è data da Colui che detiene il segreto della vita. Il seme è la presenza vitale che rende partecipi di sé la creatura; ma questo seme è non solo dono ma anche vocazione, presenza che chiama affidandoci un compito. Nella misura in cui l’uomo riconosce il dono s’interroga riguardo al proprio compito.

Il seme, questa potenzialità che c’è stata data, è l’esigenza insopprimibile della felicità. I tempi dello sbocciare e portare frutti però li conosce solo Lui. E’ nostro il desiderio che fiorisce su quest’esigenza inestirpabile, ma i tempi della fioritura e del frutto, vale a dire della pienezza, non li sappiamo. Siamo certi che chi ha seminato nel profondo del mattino (l’eterno) e all’inizio del cammino, lo fa per il nostro bene, di cui vedremo la pienezza nell’al di là. Gesù ha detto: Io sono la Resurrezione e la vita, chi crede in me non morrà in eterno. L’esistenza sarà un’oscillazione continua di morte e di rinascita, di declino e di ripresa, come abbiamo detto nell’Omelia prima di Pasqua. Vita e morte attraversano tutta la condizione umana. Noi viviamo ogni giorno nell’esperienza del morire e del risorgere con fasi di scoramento e altre di crescita. Quando Gesù dice: Chi crede in me vivrà in eterno vuol dire che Lui ha la possibilità di generare nel presente l’esperienza di un di più di vita, di vita vera, vita liberata dal male ed è una vita comunionale. Per questo adesso canteremo Un amico grande .. grande... Nei confronti delle mosse di quest’Amico c’è chiesto di essere aperti: passa, ci visita; il pericolo sta nel nostro personale scoraggiamento che ci rende ciechi ed incapaci di cogliere i segni per una rinascita verso la direzione della verità.

Canto:

Ho un amico grande, grande; di più giusti non ce n’è. Mi ha donato tutto, il Suo potere fa impallidire il potere di chi ha potere.

Ricordiamo i nostri giovani amici che Dio ha chiamato a sé in aprile: Maria Gabriella Rimoldi, Alessandro Zamboni, Dino e Paolo Castiglioni, Francesco Zurlo, Letizia Ronchi, Marco Marzorati, Mirko Delbello, Andrea Esposito, Marco Mattello, Luca Cazzaniga, Graziano Massetti.


Natale Colombo. Lasciamo la possibilità a chi è presente per la prima volta di poter intervenire.

Giorgio Massetti( Milano). Sento la necessità di esprimere un suggerimento. Ritengo che sarebbe importante ritrovarci o sentirci telefonicamente nelle zone più limitrofe , tra un incontro e l’altro, al fine di rinsaldare i rapporti e sostenerci maggiormente.

Antonio Zanotello( Cavaria). E’ da un po’ di tempo che tento di accettare la sofferenza come vocazione perché possa trasformarsi da dolore o lamentazione in offerta a Dio. Il dolore che continuo a provare lo vivo ora come chiamata. Accettare tutto questo mi offre altri spiragli e vedo modificato anche il modo di accostarmi ai giovani perché posso trasmettere loro la mia positività. Nonostante sia faticoso sento che questa via può essere accettata, perché il Signore mantiene le sue promesse.

Vito D’Incognito (Milano). Nelle pagine che andremo a leggere c’è un passaggio che vorrei presentare per come io l’ho vissuto. Quanto più si ha la percezione che attraverso la preghiera si riconosce la memoria di Cristo e delle sue opere, quanto più nella nostra coscienza, che nega se stessa in prima persona, attraverso il riconoscere l’esperienza di Cristo, tanto più si riconosce il senso forte esistenziale della fede cioè la carità. Nel momento in cui si riconosce Cristo il cuore si apre rendendosi disponibile agli altri, il come sta ad ognuno di noi trovarlo o riconoscerlo.

Icilio Antonelli ( Busto A ) Mi rivolgo soprattutto alle persone che c’incontrano per la prima volta. Il primo impatto con questo gruppo non è semplice poiché non tutti hanno le certezze che sono state fin qui espresse. E’ un cammino lungo. Chi arriva qua per la prima volta rimane un po’ sconcertato e anche la comunicazione può diventare difficoltosa. Sarebbe importante dare loro l’opportunità di parlare e di sfogarsi, facendoli così sentire a loro agio.

Don Giancarlo E’ sempre difficile rompere il ghiaccio soprattutto quando le ferite sono freschissime e ci sono delle gradualità; l’aspetto più facile, almeno inizialmente, è il contatto con le persone più vicine. Poi con pazienza s’incomincia a sfogarsi in ambito ristretto e con il cammino paziente poi anche l’assemblea diventa un momento d’ascolto. Il gesto di rinnovamento che viene detto, il dubbio che viene comunicato, il pianto che viene espresso, il problema, la disperazione, tutto può essere comunicato, là dove ci sono dei cuori che hanno fatto una scelta di essere qui in ascolto e pronti a tradurre o la fede che ha investito l’umano, o l’umano pervaso e purificato dal dolore.

Mauro( Busto A.) Anche io non ho le molte certezze che voi possedete. Noi abbiamo perso nostro figlio undici mesi fa, e oltre a questo dolore c’è rimasto qualcosa che ci rode dentro in modo particolare: chi ha provocato la morte di mio figlio non ha ancora sentito la necessità di presentarsi. Ho chiesto a Dio un aiuto perché mi rendo conto che da solo non posso farcela, per cui ho tentato di fermare questo giovane e cercare di parlargli; ma lui scappa. Non so se perché prova un senso di colpa o si rende conto del male che ha provocato oppure sono arrivato a pensare che non abbia dignità e coraggio delle proprie azioni. Mi rivolgo quindi a voi che avete fede affinché ci possiate aiutare con le vostre preghiere.

Rita Bettanello (Lonate Ceppino). Vorrei comunicarvi il difficile periodo che sto vivendo. Ho una sorella suora e quando il mio ragazzo è mancato ho pensato di avere soprattutto da lei un conforto che al contrario non ho ricevuto. Ultimamente ho avuto, attraverso un avvocato, la diffida ad incontrare la mia mamma che ha 95 anni e ha rotto il femore. Fortunatamente il giorno di Pasqua ho potuto farle visita tramite l’interessamento di mio cognato e ho avuto anche l’abbraccio di mia sorella suora. Mi rimane in ogni caso lo sconforto per non aver mai ricevuto aiuto dai miei familiari, e ringrazio mio padre per avermi donato il conforto della fede.

Don Giancarlo La vita è, oltre ad un dono, una vocazione che purtroppo abbiamo ridotto a professione, anziché recuperare le scivolate nell’idolo della professionalità, recuperarle sul crinale dello sguardo complessivo. Il vero lavoro è quello che l’uomo fa su di sé, in ogni condizione esistenziale e professionale. Tutti gli ambiti di vita hanno bisogno di essere sempre rimotivati dall’ideale.
Partirei della situazione amara di Mauro o Rita per giudicarla nella prospettiva a cui l’incontro con il Signore ci sta educando. In molti casi della vita non si riesce neppure a ricevere consolazione da quelle persone che sono state la causa diretta o indiretta del nostro dolore.
In situazioni drammatiche come quella nel caso di Mauro non c’è neppure un cenno di partecipazione magari con una presenza silenziosa se non si sa cosa dire o magari attraverso una lettera. Indipendentemente dalla colpevolezza, si constata la mancanza completa di dignità umana.
Molte volte ci può addirittura esserci una versione peggiorativa del male subito quando, come nel caso di Rita, chi è consacrato a Dio devasta ulteriormente i legami di parentela oltre quello di comune appartenenza alla Chiesa. In questo caso siamo di fronte ad un rinnegamento. Si nega cioè di potere o volere riconoscere la Verità nei fatti accaduti. Nel bestiario umano non ci sono soglie invalicabili.
Nel bestiario animalesco c’è la soglia limite delle leggi biologiche. L’uomo invece è dotato d’intelligenza e di libertà. Come tale è capace di bellezza e di conquista e se vuole incarna l’immagine dell’ Ulisse omerico, assetato d’infinito, di conquista, di totalità. L’uomo, in quanto immagine del divino, come può non dire mai basta perché vuole vivere la vita come azzardo o come sfida sull’oltre così è capace di misfatti, di crudeltà e di rinnegamento, di negare cioè la sua natura per agire contro natura.
Trovo le testimonianze di Mauro e di Rita corrette, vere dal punto di vista dell’istanza che caratterizza il cuore umano. Guai se di fronte alla tentazione del maligno affossiamo la nostra potenzialità di bene nelle discarica del male. Abbiamo di fronte un caso mondiale. Fino a quando Palestinesi e Israeliani andranno avanti nella logica del colpo su colpo caratterizzata dall’odio e dalla rappresaglia , non ci potrà mai essere soluzione ai loro problemi. Il messaggio del Papa sulla pace che è cassa di risonanza della visione culturale portata da Gesù circa i rapporti tra singoli e popoli, ci ha detto: “non c’è pace senza giustizia ma non c’è giustizia senza misericordia” .
Mauro e Rita, pur nel dispiacere delle loro situazioni, stanno tenendo il fronte della misericordia. Chi è stato colpito, chi è diventato vittima se e fin quando ha il desiderio di riagganciare in positivo il colpevole è diffusore di speranza. Magari non raccoglierà immediatamente i frutti. Però questa posizione umana è vincente nel tempo perché esprime ciò che la natura umana è e ciò che Gesù ha fatto per controbilanciare il male. La sfida non deve essere tra crudeltà e crudeltà perché diventerebbe una sfida tra disfattisti. La sfida laddove il male impera deve essere tra male e bene, tra menzogna e verità. Per avere la forza di tale tensione occorre affidarsi alla preghiera e chiedere agli amici di essere sostenuti nella preghiera, poiché la preghiera è il grido dell’uomo sofferente o inadeguato di fronte al desiderio del suo cuore. La preghiera è una traduzione della fede, come sottolineavano gli interventi di Antonio e di Vito. La modalità poi di tradurre la fede è la carità come amore a Cristo e alla verità dell’altro anche se l’altro è sprofondato nella menzogna. Bisogna guardare all’altro non per l’immagine che dà di sé ma per quello che è nel profondo imparando dallo sguardo di Cristo come arrivare al cuore. Tanti il cuore non lo ascoltano più come profondità del proprio essere, come coscienza. Tanti scappano da essa. L’aiuto che noi possiamo dare, nella misura in cui siamo presenti alla nostra coscienza, è quello di restituirli al loro io più vero. E’ lo sguardo tenuto da Gesù nella notte del Giovedì Santo quando Pietro lo rinnega, nega cioè di averlo incontrato, di essere stato bene con Lui e si rimangia l’evidenza che ha già proclamato precedentemente: “ dove vuoi che andiamo, Signore, dopo aver vissuto con te certe esperienze solo Tu hai parole di vita eterna”.
Gesù ammanettato lo guarda mentre viene portato da un’aula all’altra del Sinedrio e Pietro percepisce in quello sguardo ciò di cui aveva bisogno. Così è restituito a se stesso e, uscito fuori, piange l’amarezza del rinnegamento, sicuro di essere perdonato. I tempi non li conosciamo. Questa mossa però è la mossa decisiva che ogni uomo può fare nei confronti del fratello.

Giorgio Macchi (Varese). Faccio riferimento alla testimonianza di Mauro. L’esigenza del cuore è di sapere subito la verità. Desidereremmo che tutto corrisponda e vada a posto nel più breve tempo possibile. Questo sembra il percorso più facile. In realtà per arrivare a questa comprensione siamo noi che dobbiamo fare un cammino. Forse, attraverso quel cammino, potremo un giorno riuscire a perdonare. Non è un processo naturale. All’inizio ci sembra invece di andare contro la propria natura. Diventa quindi indispensabile lavorare su sé stessi per capire meglio. Allora il male viene visto non più come male fatto a te ma come possibile avvenimento per il tuo bene. In questo senso anche la tragedia per la morte di un figlio può avere dei risvolti positivi. Nel mio caso sono sempre in attesa dopo quindici anni di sapere chi ha ucciso mia figlia Lidia e perché? Il dolore che provo si rinnova in ogni occasione, soprattutto durante gli anniversari. Se fossimo però rimasti solo su questa posizione trascurando tutto il resto della vita e puntati caparbiamente alla risoluzione del solo caso giudiziario … non avremmo assolutamente percorso questo cammino fatto di presenze, di amici e di risposte che danno un senso a tutto. Il cammino di Fede esige un cambiamento totale della tua vita e se è fatto per amore avuto per i nostri figli è ancora più grande e ne fa memoria. Questa posizione del cambiamento all’inizio è sicuramente la più difficile e impervia perché va contro la logica.
Tutto il nostro essere reclama la giustizia e nel mio caso il ritrovamento del colpevole che debba pagare per quello che ha fatto. Ma forse anche il colpevole è fa parte di un disegno che non arriveremo mai a capire.
L’unica speranza è che la tua carità arrivi ad essere così grande da farti pregare per lui e per la sua conversione. Non possiamo fare altro perché altrimenti diventa un nostro progetto e non più quello di Dio: i tempi non li conosciamo. Guardandoci indietro negli anni e vedendo tanti amici che anche oggi sono qui e che ci hanno sostenuto per tanto tempo ci accorgiamo della strada fatta anche se inizialmente la risposta sperata era un’altra. C’è n’è stata un’altra più grande, più immensa che non mi sarei mai aspettato. Pur con una serie infinita di limiti, di difetti e di scoraggiamenti sento che dentro di me è avvenuto qualcosa di grande grazie al sacrificio di mia figlia. Forse il cambiamento sarebbe potuto succedere comunque. Certamente non l’ avrei saputo o potuto cogliere nella sua pienezza. Ciò a cui dobbiamo guardare è la realtà. I nostri figli purtroppo sono morti ma solo dentro al nostro cuore possono rinascere e vivere nella memoria. Altrimenti rimane solo il fatto crudo.
Infatti, quando il sindaco di Lavena ha deciso di dedicare a Lidia la biblioteca comunale, la cosa grande che mi allietava era che finalmente veniva messa in risalto la figura di Lidia, per come lei era e aveva vissuto, e non solo il fatto che fosse stata uccisa.

Natale Colombo. Domenica 5 maggio visiteremo la mostra a Bergamo della Fondazione Rau e la domenica 19 maggio andremo in pellegrinaggio al Santuario di Sovere. E’ prevista la colazione al sacco e la Santa Messa. Passare le adesioni ai responsabili di zona.

Anna Rimoldi ( Busto A.) Nell’ottica di trovare più tempo per stare insieme anche attraverso un’ottica di crescita della nostra umanità abbiamo prenotato la visita guidata alla mostra di Bergamo all’Accademia Carrara, raccoglie opere importanti in un arco di tempo abbastanza vasto. Chi ha raccolto queste opere ha già di per sé una vita molto appassionante: un tedesco nato nel ’22 con alle spalle una famiglia molto ricca si laurea in economia e commercio e lavora nell’azienda del padre. Eredita un immenso patrimonio e nel ’69 si laurea in pediatria. Vende tutto il patrimonio e si trasferisce in Africa dove svolge l’attività di pediatra. Con l’Europa mantiene pochi rapporti e vi ritorna solo per acquistare quadri di gran valore. Muore alcuni mesi fa lasciando il proprio patrimonio all’Unicef.
La mostra ha lo scopo di raccogliere fondi per gli ospedali e le case di accoglienza che questo mecenate ha lasciato in Africa.
Vi volevo anche parlare, a nome della Fraternità, della lettera inviata ai Presidenti del Senato e della Camera dei Deputati che riprende il disegno di legge sulla fecondazione medicalmente assistita di cui s’inizia domani il nuovo iter parlamentare. Questo gesto è già stato proposto per sottolineare come “Famiglie in Cammino” la preoccupazione per questa nuova legge perché parta anzitutto dal considerare come valore il rispetto della persona e il riconoscimento del suo stato di individuo già nell’embrione, perché da ciò discende una serie di conseguenze e riconoscimenti anche dal punto legislativo estremamente importanti. Il senso di questa proposta deriva dal fatto che dentro di noi cresce ed è cresciuta, dal momento in cui abbiamo perso i nostri figli, una passione per la vita e il desiderio della vita così come si manifesta a qualsiasi livello che ci chiede di non restare indifferenti davanti a decisioni così importanti che riguardano l’origine della vita e quel piano di sacralità e bellezza della vita come è stata pensata dalla mente del Signore.

Giorgio Targa( Milano). Il gruppo di genitori di Ferrara, che seguono il nostro cammino, ci ha invitati a partecipare ad una S. Messa celebrata dall’Arcivescovo che si terrà in Duomo. Circa sette anni fa, dopo averci incontrati, hanno creato un gruppo simile al nostro per avvicinare i genitori di quella zona con incontri periodici basati sulla lettura della Bibbia.

Don Giancarlo Lavoriamo sul testo “Alla Ricerca Del Volto Umano” che ci aiuta a cogliere il percorso dell’umano sorpreso attraverso incontri umani dal divino. L’umano che rimane segnato dal divino con ciò che il divino è in grado di operare: la rinascita dell’uomo, la riabilitazione (redenzione, trasfigurazione). L’umano è redento, rigenerato, ricondotto al fulcro originario e arricchito di una fioritura: l’apparenza dell’umano si carica di uno sfondo e di una prospettiva abissale, senza confini, la prospettiva del mistero. Nel corso del mese se qualche volta ci misuriamo sui contenuti indicati c’è tutto da guadagnare perché diventano occasioni di comunione con chi in altre città sta lavorando. E’ un’occasione di ascolto, in questo caso di Don Giussani, di chi ha maturato nella sua lunga vita arricchita da un carisma particolare che mette a disposizione. Inoltre si ha l’occasione di imparare ciò che s’ignora entrando in sale che rendono più profonda la prospettiva su cui lo sguardo del cuore inizia ad esplorare.
Nelle pagine che abbiamo letto si parla della preghiera ma non nei termini con cui la ricordiamo o l’abbiamo vissuta noi, dove la preghiera è ridotta a formula a pratica a culto, Qui si parla della preghiera come coscienza di appartenenza ad altro da sé l’Essere, Dio. L’Essere perché anche i laici e gli agnostici nella misura in cui sono leali con loro stessi e con le domande che a livello di razionalità emergono dall’io o dalla realtà possono capire cos’è l’io in rapporto a qualcos’altro e di diverso dal proprio io soggettivo. Da pag. 153 a pag. 159 titola “Preghiera come memoria dell’avvenimento Cristo”.
Parto da ciò che l’intervento di Antonio ha fatto intravedere anche come testimonianza di maturazione che sta avvenendo in lui. Antonio diceva che stava imparando ad accettare la sofferenza come vocazione, come compito. Sicuramente non c’è nessuna scivolata nel masochismo. C’è uno stadio della vita a cui sono arrivati i Santi e certi mistici che nel confronto con Gesù arrivano a tali livelli di immedesimazione da arrivare a guardare la Croce e a portare le croci (la Croce è di Cristo, le croci sono degli uomini), a guardare Cristo Risorto in comunione con il Crocefisso che ha espiato nella sua carne il male di tutti e di ogni epoca al punto che quello che Isaia aveva anticipato sette secoli prima di lui dalle sue piaghe siamo stati guariti, in Lui è accaduto si è adempiuto al punto che la lettera agli Ebrei dice noi non siamo stati riscattati al prezzo di oro e di argento, noi siamo stati riscattati e rigenerati, cioè resi uomini nuovi, creature vere, in forza del sangue sparso e del corpo donato. Antonio ha aperto a livello di testimonianza quello che a pag. 154 e 155 il nostro testo ci ha detto.
La premessa da cui don Giussani parte è che l’uomo giusto, il giusto, vive di fede. Il giusto è il giustificato cioè colui che è stato reso giusto dal sangue di Cristo e Don Giussani ribadisce che il contenuto della fede è il guardare Lui è riconoscere in Lui la risposta a me, lo svelamento di chi sono, nella radice ultima da questo riconoscimento del Signore parte la possibilità del cambiamento. Da qui nasce la carità, la traduzione della vita di fede che l’uomo giustificato vive è espressione d’amore. Perché la fede tenga un livello di tensione come apertura del cuore, come sosta innanzi a Lui, come ascolto e confronto di Lui, perché rimanga un certo livello è indispensabile che nella vita si faccia silenzio. Il silenzio non è il non parlare, il silenzio è far memoria della Sua presenza nella quale mi riconosco e Don Giussani cita il frate Laurentius dei primi secoli del cristianesimo mi fu detto tutto deve essere accolto senza parole e trattenuto nel silenzio. Allora mi accorsi che forse tutta la mia vita sarebbe trascorsa per rendermi conto di ciò che mi era accaduto e il Tuo ricordo mi riempie di silenzio. Il silenzio non è l’assenza di comunicazione, ma è il far memoria di….. La memoria di Cristo Risorto, contenuto della mia fede che Lo riconosce e Lo segue porta all’offerta di sé, quella di cui parlava Antonio. E’ una vocazione che si esprime anche attraverso l’accettazione della sofferenza che diventa compito, per cui si lascia alle spalle il lamento, la recriminazione; si comincia ad accettare la sofferenza che è data per amore che spinge all’offerta, all’oblazione di sé e delle croci, a Lui che ha il potere di trasfigurarle.
Il termine liturgico di questo cammino è l’offerta Padre veramente Santo e fonte di ogni santità, santifica questi doni. Il pane e il vino sono il segno di tutta la nostra espressione di vita. Il pane della Messa è solo il segno del fatto che noi diventiamo il Corpo e il Sangue di Cristo, la sua creazione; noi portiamo le stimmate di Cristo sempre aperte nella nostra carne. Portiamo impresso nella mia carne la Tua morte, cioè il morire quotidiano e il rinascere, il risorgere nella misura in cui mi affido a Te. In attesa dell’incontro definitivo, quando Tu ritornerai e mi prenderai con Te perché Tu sia tutto di me per sempre, cioè la fonte della beatitudine, il Paradiso è questo, quando ci sarà dato di riconoscere il Cristo come il tutto: origine, consistenza, significato, destino di tutto ciò che c’è e tutto di me.
Giussani ci mette di fronte ad alcune preghiere delle origini: il Magnificat, preghiera scaturita dal cuore di Maria, Il Cantico di Zaccaria, che aveva dubitato ed è stato penalizzato con nove mesi di mutismo e quando recupera la favella esce in un’esplosione che come quella di Maria parte dal riconoscimento di Gesù il Messia in sembianza umana e poi ne tesse la lode per quello che Lui ha fatto e detto definendolo il Sole che viene a visitarci dall’alto e termina facendoci intravedere che la preghiera che ha come espressione liturgica il vertice nei sacramenti e in specie nell’Eucaristia deve trovare la nostra vita come luogo nel quale la preghiera continua nella regola benedettina dell’ora et labora che il lavoro sia l’offerta di chi riconosce e vive per la gloria di Dio, per affermare la Sua centralità, il Suo primato di vertice e nella preghiera a memoria come silenzio del valore della fatica, dell’intraprendenza, del servizio e del valore delle croci
Natale Colombo. Martedì 30 aprile alle 21,00 alcuni nostri amici faranno una testimonianza attraverso Radio Mater. Si potrà intervenire con telefonate sul tema trattato. Il prossimo incontro sarà il 19 maggio e coinciderà con l’uscita a Sovere. L’incontro di giugno si terrà domenica 9, farà seguito la lettera. Un abbraccio a tutti e buon rientro.


                Non c’è al mondo una cosa
                più bella che essere madre.
                Vorresti che fosse tuo figlio
                a chiuderti gli occhi.


                Ma a volte il Destino
                decide che il figlio
                vada in cielo prima di te.
                E’ allora che tutto
                sembra perduto,
                che niente conti più nella vita!
                Loro sono la vita.


                Averli per noi genitor iè stato come un miracolo:
                un miracolo d’amore
                tra un uomo, una donna
                e il soffio di Dio.


                Lina Barassi, 2001
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