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Febbraio: Incontro mensile

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ASSEMBLEA DI SCUOLA DI COMUNITA’
Febbraio 2002


Natale Colombo (Usmate). Oggi lavoreremo sul messaggio del Papa riguardante la pace.

Don Giancarlo E' da prima di Natale che non ci incontriamo. Oggi può essere un'occasione per recuperare i rapporti pur sapendo che, per comunicare, a volte, vale più lo sguardo delle parole.
Iniziamo con un canto.

                Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino.
                Il Signore ha messo un seme nel profondo del mio mattino.
                Io, appena me ne sono accorto, sono sceso dal mio balcone
                e volevo guardarci dentro e volevo vedere il seme.
                Ma il Signore ha messo il seme nella terra del mio giardino.
                Il Signore ha messo il seme all’inizio del mio cammino.
                Io vorrei che fiorisse il seme, io vorrei che nascesse il fiore,
                ma il tempo del germoglio lo conosce il mio Signore.
                Il Signore ha messo un seme nella terra del mio giardino.
                Il Signore ha messo un seme nel profondo del mio mattino.

È il seme della speranza, fondata sulla certezza più convincente e persuasiva per la condizione umana: la presenza di Qualcuno. Dio rimane una presenza astratta finché non si compie il salto dall'idea metafisica di Dio a quella di Dio presenza incarnata e quindi incontrabile. I cristiani sono coloro che hanno incontrato Dio nell'uomo Gesù, presenza alleata, fedele (sarò con voi fino alla fine) e misericordiosa fino al perdono. Il seme è l'immagine di questa speranza e di questa presenza.
Questa certezza educa il cuore di ciascuno alla dimensione della bontà. Quanto più ci si sente salvati, amati e guidati da una persona buona tanto più ci si sente spinti a corrispondervi. È vero anche il contrario. L'appartenenza contagia. Quanto più decidiamo di appartenere o di privilegiare persone che ci ricordano la presenza di Dio che ci ama tanto più vorremo il bene degli altri.

Natale Colombo( Usmate). Nel suo messaggio il Papa sostiene e spiega la tesi "Non c'è pace senza giustizia e non c'è giustizia senza perdono". Vogliamo aiutarci a capirla vista anche la condizione in cui versa il mondo.
Donare il perdono per avere la pace. Nel corso per fidanzati che sto accompagnando nella mia Parrocchia, riferendomi alla Genesi ho evidenziato che, dopo il peccato originale la prima preoccupazione dell'uomo è stata quella di ricercare il colpevole per scaricare su di lui la colpa e non di riconoscere la propria responsabilità. Dobbiamo imparare a perdonare.

Fausto Benzi (Cuggiono). Mi riferisco al punto 8 "Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono." Personalmente ho pensato al perdono come a una necessità. Cristo sulla Croce invoca il Padre dicendo: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno".
Ho rivisto la mia esperienza delle virtù teologali (fede, speranza, carità) e ho capito che la virtù della Fede mi ha sempre accompagnato nella vita. Spesso però dimenticavo la virtù della speranza. Per questo non riuscivo ad operare nella carità. La mia Fede non generava frutti perché non vivevo la speranza. E' la speranza e la grazia per prepararla attraverso le buone opere che fa attendere la vita eterna. Ho anche capito che la perdita di Marco, attraverso il perdono, può essere offerta in vista del Paradiso aiutando tutti quelli che il Signore mette sul mio cammino. La Verità vive anche dentro il dolore e così evita di cristallizzarsi in dottrina. Penso che il peccato più grave di Giuda non sia stato il tradimento di Gesù ma la disperazione. Non ha più sperato nella misericordia. L'invito che faccio a tutti è di vivere la speranza.


Liliana(Milano). Anche a me è successo di perdonare. In quei momenti mi sentivo più buona e magnanime. Mi sono anche resa conto che il perdonare è un modo per riconciliarmi con Dio. E' come sentirsi più in comunione con Lui.

Don Giancarlo. Vorrei riprendere la testimonianza di Fausto. Ha evidenziato che ha sempre vissuto la Fede ma senza scorgerne il frutto, cioè la carità. Attribuiva questo alla sua distrazione sulla virtù della speranza. Poi ha aggiunto di non considerare troppo grande nessun sacrificio se finalizzato al Paradiso. Mi è nato dentro un interrogativo. Qual è la differenza tra un cristiano e un kamikaze ?
Il kamikaze si suicida per la certezza del Paradiso. Il credo islamico fondamentalista è infatti talmente totalizzante e invasivo da spingere dei giovani al sacrifico della vita con la certezza di essere considerati eroi dal loro popolo e meritevoli del Paradiso. I loro genitori sono fieri di aver in casa un eroe. Sia il cristiano che il kamikaze tendono al Paradiso. Nessun sacrificio è considerato sovrumano se valutato nell'ottica di Dio e della promessa del Paradiso. Ma attenzione alla diversità. La ragione che muove un cristiano non è il Paradiso bensì l'imitazione dell'uomo Dio, Gesù. Ne scaturisce poi la pace centuplicata e il Paradiso come compimento delle attese più profonde del cuore e della promessa di Cristo: "Chi mi avrà seguito otterrà il centuplo quaggiù, insieme alla sofferenza e poi la vita eterna dove non ci sarà più né pianto, né lutto, né condanna".
Il criterio che ispira e mobilita il cristiano non è un futuro sconosciuto bensì un presente sperimentabile. Il cristiano è un uomo che guardando l’uomo Gesù e sentendosi guardato con amore da Lui vive l'esperienza che Paolo, il convertito, chiama struggimento. L'amore di Gesù intuito e poi sperimentato è così struggente da obbligare alla corrispondenza "Anche se ho conosciuto Cristo attraverso la carne, da oggi, non è più così perché incontro e guardo la realtà come l'ha guardata Lui". Questa è la diversità fra un kamikaze e un cristiano.
Il Papa con chiarezza di giudizio è intervenuto sul fenomeno del terrorismo e sui suoi fautori diretti o indiretti. Non sappiamo come Dio li giudicherà perché Dio solo conosce l'intimo dei cuori e lì, in molti casi, ci potrebbe anche essere una buona fede ispirata da una falsa coscienza. Chi ha avuto il dono della Fede cristiana come consapevolezza di essere fatti da Dio, di appartenere a Lui e di tendere a Lui attraverso la Chiesa, sa che la Fede è un legame di imitazione e di assimilazione. È come se Gesù dicesse: "Guardate me nel volto dei Santi, ed incontratemi nel volto della Chiesa e della realtà".

Natale Colombo. Mi sembra di capire che il terrorismo sfrutta non solo l'uomo ma anche Dio e finisce per fare di Dio un idolo di cui servirsi per i propri scopi. Vorrei capire meglio questa intuizione.

Don Giancarlo. C'è una differenza abissale e incolmabile fra Dio e un idolo. La tentazione più forte dell'uomo non è mai l'ateismo ma l'idolatria. Il mondo si sta riempiendo di idolatri. Quando leggevamo l'Iliade, l'Odissea, l’Eneide o certe tragedie della letteratura pre-cristiana, i loro paradisi (Pantheon o Olimpo) erano pieni di dei troppo simili agli uomini nei loro difetti.
Il politeismo pre-cristiano era però più rispettoso del Mistero che non l'idolatria di oggi perché oggi gli idoli sono innanzitutto costruiti a tavolino e poi lanciati attraverso una comunicazione che bombarda i cervelli. E’ necessario allora impegnarsi per capire la credibilità di quello che viene sbandierato, attraverso una verifica personale. Spesso si dà più peso all'oroscopo che non alla preghiera, all'attivismo pragmatico che non a Dio. Si assolutizzano cose o interessi effimeri dimenticando o censurando Dio.
Oggi viviamo in una società idolatrica, non atea. Risale a pochi giorni fa la notizia di una setta religiosa nata negli anni '70 che è stata dichiarata illegale perché insolvente di fronte al fisco e indiziata di soprusi e crudeltà sulla persona. Tale setta nata dall’idolatria ha reso idolatri gli adepti. L'idolo è fabbricato dell'uomo e offerto sul mercato dei prodotti. E’ quindi una scimmiottatura di Dio nelle mani dell’uomo. Dio invece è altro dall'uomo; è irriducibile a uno schema umano. Dio sopravanza sempre la misura conoscitiva, interpretativa, volitiva e affettiva dell'uomo. E’ sempre altro. Il Dio che Gesù ci ha fatto conoscere, rimane sempre altro da noi e non può essere comperato e soggiogato dalle nostre pretese.


Il Papa sostiene chiaramente che il terrorismo è una forma di idolatria. Inoltre ci aiuta a capire la relazione che intercorre tra giustizia, perdono e pace.
Riferendosi all'insegnamento di S. Agostino ci ricorda che la pace a cui mirare è “la tranquillità dell'ordine. La vera pace pertanto è frutto della giustizia sia come virtù morale che come garanzia legale dei diritti e dei doveri”. La giustizia riposa anche sulle leggi chiamate a garantire l'ordine e la tranquillità del bene comune attraverso disposizioni a cui i cittadini devono attenersi. La giustizia intesa anche nell'ottica etica della equa distribuzione e del riconoscimento di diritti, doveri, benefici e oneri”. Il Papa continua: “Poiché la giustizia umana è sempre fragile e imperfetta perché sempre esposta ai limiti e agli egoismi personali e di gruppo, essa va esercitata e completata con il perdono. Caratteristica del perdono è di risanare le ferite e di ristabilire in profondità i rapporti umani turbati”.
Pensiamo all’assassinio del bambino di Cogne che ha tenuto le famiglie italiane in tensione per tanto tempo. Qualora la magistratura riuscisse a trovare e a punire il colpevole, il paese, i genitori, i parenti tirerebbero un respiro di sollievo. Ma la ferita del cuore sarebbe rimarginata solo perché il colpevole è stato individuato e condannato? Il cuore incomincerà a placarsi e a fare una iniziale esperienza di pace interiore solo se si lascerà permeare dal perdono. E' bene che la giustizia umana intervenga ma il cuore ha bisogno di altro. “Solo il perdono risana le ferite e ristabilisce i rapporti umani turbati”, ci ricorda il Papa. Lui ha dato l'esempio perdonando Alì Agca che gli aveva sparato e andandolo a trovare in carcere.
Il perdono non si contrappone in alcun modo alla giustizia. Mira piuttosto alla pienezza della giustizia che conduce “alla tranquillità dell'ordine la quale è ben più che una fragile e temporanea cessazione delle ostilità: è risanamento in profondità delle ferite che sanguinano negli animi. Per tale risanamento sono indispensabili sia la giustizia sia il perdono”.

Giorgio Macchi ( Varese) La mia famiglia ha perso la figlia maggiore Lidia, assassinata da un bruto che la giustizia non ha mai individuato. Non so dire se ho veramente perdonato. Credo però che mi sia stata data la grazia del perdono. Esso è dono di Dio e frutto di un cammino. Generalmente si manifesta attraverso segni che, dopo un certo percorso, si riesce a riconoscere. Nel nostro caso il primo segno è stato l’inizio di una nuova vita nel momento in cui Lidia veniva assassinata. Probabilmente, guardando oggi Alberto, l’ultimo nostro figlio, ho l'impressione che se non avessi avuto il perdono nel cuore non avrei potuto ancora educarlo alla vita, al mondo, alla gioia, all'amore. Quando si ha sete di vendetta o di giustizia a tutti i costi il cuore rimane paralizzato in pensieri che non lo aiutano nella crescita personale. E’ come se si fosse perennemente avvolti in una cortina di nebbia che impedisce di vedere, di gustare la realtà e di essere aperti alla vita.
Il Papa ci ha offerto delle riflessioni che sento in sintonia con quello che è stata la mia vita dopo i tragici fatti accaduti. Qualcuno mi ha detto che non avevo il diritto di perdonare. Avrebbe potuto farlo solo Lidia!! Sono convinto che il perdono sia qualcosa di personale che nasce dentro il cuore e che riconcilia con la vita.
Questo non significa che chi ha ucciso mia figlia debba farla franca ma che il perdono gli offra un’ulteriore possibilità per pentirsi, per espiare la propria colpa e per rinascere. Se non avessi perdonato, oggi mi ritroverei con la stessa domanda di 15 anni fa e non avrei fatto il più piccolo passo. Sarei rimasto fermo sulle mie posizioni ed alla ricerca spasmodica di una verità che, a tutt’oggi, non è ancora conosciuta. Il mio cervello e le mie azioni sarebbero state condizionate ineluttabilmente dalla negatività del tragico evento e non avrei potuto fare il genitore e l’educatore nei confronti di Stefania e di Alberto.
In tante occasioni ho incontrato genitori che non avevano voluto perdonare coloro che avevano causato la morte dei loro figli. Li ho trovati spenti, cinici e disperatamente alla ricerca di soddisfazioni che non avrebbero comunque ridonato a loro il figlio. Il peggio è che trascuravano i figli viventi in nome della giustizia. Nel perdono bisogna saper riconoscere il dono di essere aiutati.

Giorgio Targa( Milano). Leggendo il messaggio del Papa con altri genitori ci ha colpito molto la frase "Offri il perdono e ottieni la pace". Si applica molto bene anche a noi di Famiglie in cammino poiché siamo tutti alla ricerca della pace che ci viene dal Signore.


Alla fine del punto 8 il Papa dice:

"Ogni essere umano coltiva in sé la speranza di poter ricominciare un percorso di vita e di non rimanere prigioniero per sempre dei propri errori e delle proprie colpe. Sogna di poter tornare a sollevare lo sguardo verso il futuro per scoprire ancora una prospettiva di fiducia e di impegno".
La speranza di poter ricominciare un percorso di vita ricco di una nuova consapevolezza, di impegno e di fiducia è proprio quello che ognuno di noi sta cercando. Questo cambiamento è frutto della grazia del Signore ma anche del nostro impegno. Siamo invitati a guardare il futuro e a pensare che la nostra vita è cambiata rispetto a prima. Il Papa ci dice che il cambiamento è sempre possibile.

Giorgio Massetti (Milano) Nei nostri incontri parliamo spesso di speranza il cui contenuto è la certezza che Dio ci è vicino e ci sostiene. Il perdono datoci da Gesù sulla Croce è una semente tra le più feconde per farci progredire nel cammino di fede. Dobbiamo avere cura di questo seme perché possa diventare una quercia poderosa dove poter trovare rifugio. Il perdono è un dono che possiamo dare al nostro prossimo. Perdonare è donare misericordia e incoraggiamento.

Nazareno Pulitano (Tradate) Credo che le parole del Papa "Non c'è pace senza giustizia e non c'è giustizia senza perdono" abbiano tenuto presente i punti caldi come la Terra Santa e l’Afganistan. Credo che l'unica cosa che noi possiamo fare sia pregare. La preghiera placa l'odio, dà pace e serenità e rende umili e buoni.

Vito D’Incognito (Milano) Vorrei ricollegarmi alla testimonianza di Giorgio Macchi sul perdono. Non sempre la questione del perdono si pone a livelli così drammatici. In molti casi è legata a incomprensioni nate in famiglia. In seguito alla morte di Leonardo, mio fratello maggiore ha avuto delle difficoltà a comunicare con noi. E’ infatti subentrato un periodo nel quale non ci sentivamo più. Allora è maturata l'idea di andare a trovarlo e ho vissuto questo momento come perdono per la sua incapacità a starci vicino. Ho così capito che, mentre attraverso il perdono crediamo di dare, al contrario riceviamo molto di più. Al punto 13 della sua lettera, il Papa chiede di pregare per chi compie dei delitti e l'ho sentito in modo particolare durante la marcia della pace ad Assisi.

Anna Rimoldi (Busto A.) Vorrei leggervi la lettera della figlia di Anna.
Inizio questo breve monologo con il salutare tutti i presenti e soprattutto presentandomi dato che mi è impossibile partecipare ai vostri incontri. Sono Lucilla Antonelli sorella di Eriberto scomparso il 16 luglio dello scorso anno. Vorrei subito cominciare con una riflessione su come certi eventi tragici portino comunque a una similitudine di comportamenti e reazioni tra le persone che devono sopportarli. Quando i miei genitori hanno iniziato a frequentare Famiglie in cammino avevo scherzosamente chiesto loro di informarsi se anche per le sorelle e fratelli rimasti potesse esistere qualcosa di simile. E' nata in me come l'esigenza di voler parlare a qualcuno del mio profondo dolore, ma non con qualcuno a caso, ma con chi potesse capire cosa significa. Mi era balenata per la mente l'idea di scrivere due righe e di venire poi ad esporle personalmente ma poi dentro di me mi definivo un po' egocentrica e non mi è sembrato proprio il caso.
Un giorno mia madre mi ha fatto leggere alcuni verbali dei vostri incontri e casualmente mi sono imbattuta proprio in quello del 26/3/99 in cui gli interventi erano stati principalmente di fratelli e sorelle coinvolti. Ho capito che la necessità di esprimersi e di comunicare nei momenti di dolore, altri l'avevano provata prima di me ed allora eccomi qua. E' probabile che mi trovi a dire o ad affermare cose che voi già sentite ma per me, in 36 anni, è la prima volta. E’ difficile se non impossibile razionalizzare il turbinio di emozioni e sensazioni che nascono in queste situazioni anche se poi tutto si riassume con le parole “dolore e sofferenza” per la perdita di un fratello amatissimo da me, per l'incredibile senso di solitudine che ho subito avvertito, soprattutto se proiettato in un futuro. E' pazzesco parlare di solitudine dato che sono la mamma di 3 splendidi bambini e moglie felice, ma quella che non c'è più era una parte altrettanto importante della mia vita. Non è certo fonte di minor angoscia vedere i miei genitori soffrire in questo modo atroce e riconoscere di non essere in grado di poter fare assolutamente niente se non star loro vicino come già facevo visto che siamo sempre stati molto uniti.
Non mi sono mai sentita abbandonata da loro in questi mesi neanche quando so che sono a casa soli a piangere per Eriberto. Anzi nutro per loro un profondo sentimento di ammirazione perché, nonostante questa tragedia, mi hanno sempre sostenuta nell'organizzazione e nella conduzione della mia vita familiare che vi assicuro è abbastanza caotica. Ho sempre ringraziato Dio di quanto mi aveva dato fino a poco tempo fa, ritenendomi molto fortunata per come le cose andavano nella mia vita e in quella della mia famiglia. Ora improvvisamente mi trovo a chiedergli aiuto per i miei genitori e per quanti come loro hanno vissuto questa triste esperienza, aiuto per imparare a convivere con questo immenso dolore che mette a dura prova anche la resistenza fisica. Non nascondo di provare una certa invidia per quelle famiglie che serenamente affrontano ancora la vita anche se dentro di me nasce sempre più forte la speranza che Dio ci restituirà prima o poi un po' di serenità. Sono consapevole che queste prove ci fanno crescere interiormente aiutandoci a capire di più quelli che soffrono e ci rendono più disponibili ad aiutare il prossimo.
Famiglie in cammino ne è certo una bella conferma.

Fausto Benzi (Cuggiono) Si è già svolta una riunione con alcuni di noi per definire una risposta all’emittente cattolica con sede a Erba (Lecco), Radio Mater che ha chiesto a Famiglie in cammino una collaborazione che si articolerà in tre trasmissioni annuali. Abbiamo scelto come testo di riferimento l'Enciclica del Papa sul dolore, la “Salvifici doloris”. Il 23/2 a casa mia si terrà il 2° incontro per stendere una traccia da utilizzare durante questi incontri. E' aperto a tutti coloro che volessero parteciparvi.

Don Giancarlo Non possiamo terminare i nostri incontri senza consigliare alcuni punti da verificare attraverso l’esperienza di questo mese. Parto dalla domanda che mi è sembrata più importante.
Quale posizione assumere di fronte al problema del rapporto fra pace, giustizia e perdono? E' una questione questa che interessa l'uomo nelle sue relazioni con gli altri (singoli, gruppi, popoli) e con la realtà intera. Prendiamo in considerazione l'ozono. Se l’uomo, mentre fa uso delle risorse naturali, non tiene presente l’esigenza di una giustizia che salvaguardi l’equilibrio dell’ecosistema egli diventa causa del degrado e dello squilibrio del cosmo. Ciò che è nato dall'amore di Dio (e il cosmo è tale) chiede che sia l’amore a regolarne il mantenimento e lo sviluppo.
Anche nelle relazioni quotidiane (tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra colleghi o tra vicini) la questione della pace è perennemente in gioco. Spesso noi siamo fonte di sopruso attraverso la pretesa, l'arroganza e la risposta dura. Diventiamo anche vittime di ingiustizie, di violenze dirette o indirette quando siamo bersaglio di calunnie, mormorazioni, pettegolezzi… Quotidianamente ci troviamo nella "corrida".
Il Papa ci ricorda che c'è sempre una coscienza da ascoltare e da salvaguardare. Al numero 9 dice "In quanto atto umano il perdono è innanzitutto una iniziativa del singolo soggetto nel suo rapporto con gli altri suoi simili".
1. La prima cosa da fare quindi è stare in ascolto vigile della coscienza che ha sempre in sè l'imperativo ultimo: "Fa’ il bene, evita il male". Tale imperativo è scolpito nella natura. Tutti ce l'hanno. Lo si può non ascoltare, rimuovere, lo si può rifiutare ma c'è. E quando si cerca di rimuoverlo c'è un particolare che disturba: il rimorso e l’insoddisfazione. La voce del cuore è la voce di Dio perché l'uomo è una creatura che porta in sé il divino in quanto fatto a sua immagine e somiglianza.
2. La parola perdono è frutto della fusione di due termini: dono e super o iper. Il perdono è un dono super, un atto d'amore cioè che supera la soglia del ragionevole e per questo irraggiungibile e impraticabile. Il perdono, in quanto dono super, non può mai essere pescato dentro di noi. È una grazia!! Il Papa lo ricorda al punto 8: "Il perdono ha una radice e una misura divine. Questo non esclude che se ne possa cogliere il valore anche alla luce di considerazioni di umana ragionevolezza".
L'origine del perdono è divina. Razionalmente l’uomo ne capisce la bellezza e l’importanza. Il Papa ricorda: "Ogni essere umano coltiva almeno in sè la speranza di poter ricominciare un percorso di vita e di non rimanere prigioniero per sempre dei propri errori e delle altrui colpe. Sogna di poter tornare a sollevare lo sguardo verso il futuro per poter scoprire ancora per sè la possibilità di una prospettiva di fiducia, di impegno e quindi di speranza".


Uno degli incontri più amari avuto negli ultimi anni è stato quello di un papà la cui figlia si è suicidata. Non vuole guardare l’accaduto con misericordia. A distanza di anni, si sente ancora offeso dal gesto estremo di sua figlia. Non volendo affidarla al giudizio misericordioso di Dio, vive da disperato, da dannato. E’ un esempio di come il cuore umano possa dimenticare la natura divina del perdono. Dato che il perdono ci è stato dato in Gesù abbiamo sempre la possibilità di chiederlo.

3. Domandiamo la grazia di diventare misericordiosi nei confronti di noi stessi accettandoci e amandoci per quello che siamo. Il che non significa autogiustificarsi bensì guardarci con gli occhi del Padre Eterno. Domandiamo la grazia del saper perdonare soprattutto quando il cuore è combattuto e vive conflitti esasperati. La mendicanza fa capire nel profondo la bellezza e la verità di questo dono che è anche esigenza del cuore. Il cuore capisce che il perdono e la misericordia sono più umani dell’odio o della vendetta.

4. Cerchiamo di essere testimoni e suscitatori della moralità della misericordia, che ha il potere di rendere più umane le relazioni interpersonali. La carità ha come vertice il perdono. Il suo fondamento è Gesù da guardare, invocare e seguire nel segno di una compagnia che, come la nostra, porterà frutti nel tempo.


Natale Colombo. Prima di lasciarci segnalo che il prossimo incontro si terrà il 17/3. Data la vicinanza della Pasqua, come è tradizione, pranzeremo insieme e, a metà pomeriggio, celebreremo la S. Messa per noi e per i nostri figli. Grazie a tutti e arrivederci.
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