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Gennaio 2001: Incontro mensile

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INCONTRO DI FAMIGLIE IN CAMMINO
GENNAIO 2001

 

Natale Colombo: porgo un saluto a tutti i presenti e soprattutto alle nuove famiglie. Il periodo delle feste è terminato e ora ci aspetta la ripresa del lavoro sui contenuti dei discorsi del Papa al Giubileo mondiale delle Famiglie.

Don Giancarlo: il primo pensiero evidenziato dal canto che faremo è quella di una Presenza amica che supera la misura della nostra immaginazione e sa colmare le attese autentiche del cuore.  

                Ho un amico grande , grande.
                Di più giusti non ce n’é.
                Mi ha donato tutto il mondo.
                È più forte anche di un re.

                1) Se io tremo lui è sicuro
                e non ha paura mai;
                è l’amico più sincero, sai,
                e ti segue ovunque vai.
                Rit.

                2) Però talvolta lo sfuggo
                e voglio fare da me,
                ma crolla presto il mondo
                perché lui è più forte di me.
                Rit.

                3) Una volta io credevo
                di potere amare da me;
                non pensavo e non sapevo
                che non può nemmeno un re.
                Rit.


Vi invito ad aprire il cuore e a cantare coralmente. Se qualcuno non sa la canzone di Chieffo cerchi di impararla in modo che, in futuro, si abbia a disposizione un certo repertorio per gli incontri di Famiglie in cammino. Un popolo è tale se ha coscienza della sua identità e se è in possesso di mezzi espressivi adeguati. Fra essi spicca il canto. Purtroppo, oggi, non si canta più. I canti della tradizione popolare che veicolano identità, ideali, proposte e riflessioni, principalmente, sono quelle dei cantautori.

Anche la preghiera è espressione dell’identità del popolo di Dio che è la Chiesa. E’ facile però renderla magica o solo abitudinaria. La preghiera, nel suo significato più vero, è un faccia a faccia con Dio. È il trovarsi di fronte a Colui che è tutto con la coscienza del proprio limite e della propria grandezza. Noi ci scopriamo fragili soprattutto quando, in certi momenti della vita, non utilizziamo le enormi risorse che il buon Dio ci ha dato.
Fra noi, oggi, c’è una famiglia di Cormano che, da circa un mese, è stata duramente provata dalla perdita del figlio unico in un incidente stradale. In tale situazione si piomba in uno stato di prostrazione che tende a sfuggire tutto quello che la vita propone. Il pregare è come un attingere a una fonte di luce che irraggia chiarezza. Il pregare fa vivere il grido “Mostrami il tuo volto, Signore”. Era il grido di Mosè quando non capito dal popolo, si sfogava: “Mi hai scelto Tu! Adesso dove sei? Mostrami il Tuo volto in modo che il mio cuore si rassicuri e le mie energie possano essere spese per il compito che mi hai assegnato!”

La vita è essenzialmente un compito. In certi momenti la preghiera significa: “Maràn atà = Vieni Signore!” In altri è contemplazione serena della sua presenza. Alcuni di noi, durante la settimana fanno anche un’ora di adorazione dell’Eucaristia. È importante imparare a star davanti e sentirsi guardati dalla Presenza di Cristo anche nel segno di un Crocefisso o di un quadro di Maria con in braccio Gesù bambino. La preghiera genera trasformazione interiore e pacificazione del cuore. Allora gli affanni e i problemi assumono un’altra valenza ed improvvisamente si semplificano: non perché cessino ma perché cambiamo noi nel modo di affrontarli e guardarli. Il segreto è in noi.

Spesso commettiamo enormi errori di prospettiva che poi paghiamo amaramente. Chiedo a tutti di pregare sia come grido che come adorazione contemplativa a seconda delle necessità personali e delle esigenze del proprio cuore. Ricordiamo anche i nostri ragazzi che già sono nella luce. Sentiamoli vicini e camminiamo con loro. Angela Ganassini in un colloquio con me e Giorgio, ci parlava di suo figlio Augusto e diceva: “In questo periodo di feste e di anniversario mi è mancato carnalmente.” Nell’ultimo periodo della sua vita Augusto ha fatto un cambiamento radicale. Era tossicodipendente ed è morto di Aids. Per una mamma che l’ha concepito e tenuto dentro di sé, il figlio è un richiamo fisiologico inestirpabile. È’ veramente difficile accettarne la mancanza o la perdita. Il richiamo del sangue e della carne è un richiamo indelebile. Però dobbiamo riconoscere che tutto è scritto nel disegno misericordioso di Dio che abbraccia tutti e le cui braccia sono più lunghe del colonnato del Bernini di Piazza S. Pietro. Al pellegrino che arriva a S. Pietro il colonnato appare come un grembo che fa sentire accolti nel cuore della Chiesa. E’ un’architettura suggestiva! Anche fra di noi ci sono alcuni artisti che comprendono meglio di altri il significato di questo linguaggio. Vi mostro una ceramica fatta da Gilberto.

Gilberto Prina (Milano): avevo fatto inizialmente uno stampo in legno. L’ho mostrato ad una conoscente che mi ha proposto di trasformarlo in piatto di ceramica. Ero partito con l’idea di realizzare un orologio con le lancette al centro ma poi era così bello che mi spiaceva rovinarlo. Voglio metterlo a disposizione di “Famiglie in Cammino”.
Rappresenta il Paradiso con al centro la Trinità (sorgente luminosa) attorniata da schiere di angeli, di santi e da tutta la corte celeste in cui sono compresi tutti i nostri figli che hanno raggiunto la luce.

                Preghiera:
                “Tu che adesso vedi senza ombre
                quel mistero che tanto ci attira e ci affascina tutti,
                aiutaci a vivere con più verità
                la nostra vita ed il nostro compito.
                E quando al mattino, nell’inno di Lodi, reciteremo:
                E noi che di notte vegliammo attenti alla fede del mondo,
                protesi al ritorno di Cristo, or verso la luce guardiamo,
                vedremo te, nella luce.
                Adesso ci sei vicino in modo diverso da prima
                ma infinitamente più di prima.
                E ci guardi con la stessa pietà
                e con lo stesso sguardo
                di Colui in cui sei.” Amen

Natale Colombo: lasciamoci provocare dagli interventi del Papa alle famiglie durante le giornate del Giubileo mondiale e proviamo a mettere in comune esperienze vissute, desideri e domande.

Giorgio Macchi ( Varese) :Quest’anno è il 14° anniversario della morte di nostra figlia Lidia che è stata assassinata. Come tutti gli anni, la data del 5 gennaio provoca alti e bassi, confusione e improvvise chiarezze. Da una parte si festeggia la nascita del Salvatore e si fa festa con gli altri figli che hanno diritto alla loro felicità; dall’altra il cuore si interroga sulla ferita sempre aperta. La carne grida più che mai e domanda il perché è potuto avvenire. Quello che sembrava chiaro in altri periodi si offusca e le domande incalzano. La sete di giustizia che c’è nell’uomo vuole la risposta. Il suo assassino è tuttora libero e, a livello di indagini, tutto è fermo in attesa di novità che non arrivano mai. Questo silenzio forse fa comodo all’assassino ma non certamente a noi. Lì subentra la domanda se noi, come famiglia, abbiamo fatto tutto il possibile e non abbiamo lasciato niente di intentato. Noi l’abbiamo messa al mondo, allevata ed educata alla gioia e all’amore. Improvvisamente ci viene portata via e non sappiamo neanche da chi. La domanda priva di risposta mette ulteriormente in crisi e annebbia la vista. Per fortuna ci sono gli amici che ti vogliono bene , si fanno sentire, partecipano alla S. Messa e tutto si rasserena.

Il primo modo di rendere giustizia a Lidia è di farne memoria. Mercoledì era un giorno particolarmente critico e sono venuto da Don Giancarlo. Ho assistito alla Messa e poi mi sono fermato a parlare con Angela, la mamma di Augusto. Da tanti anni ci conosciamo e ci frequentiamo. Non avevo mai avuto modo di parlare con lei e di conoscere il suo dramma. Davanti a un caffè ci siamo raccontati tutto quello che avevamo nel cuore alla discreta presenza del Don che ci dava consigli e giudizi. Dallo sguardo dell’Angela ho intuito quanto amore aveva avuto per questo figlio che, nell’ultimo anno, era di una serenità soprannaturale. Angela riusciva persino a sorridere ricordando le sue malefatte. E con orgoglio diceva “Però mi ha sempre rispettata”. Alla fine dei suoi giorni mi consolava. Sono rimasto molto colpito e la cosa mi ha fatto pensare.
Il giorno prima di Natale ho ricevuto uno dei regali più graditi, la lettera di una ragazza che avevo conosciuto a Roma quando avevo fatto il volontario per il Giubileo. Le avevo regalato un libro di poesie della Lidia perché scoprisse l’umanità e la speranza che alberga nel cuore di ognuno. Non a tutti è dato di poter esprimere in poesia le intuizioni del cuore.

Caro amico Giorgio
Sono Valeria: Spero ti ricorderai di me! Nell’occasione dell’anno giubilare ho avuto modo di incontrarti a Roma nel mese di ottobre. Mi assetava il desiderio di scrivere queste umilissime righe dopo aver letto le “Poesie” di Lidia che tu mi avevi donato prima della mia partenza per la Sicilia. Non potevo non rimanerne colpita ed, al tempo stesso, rimanere indifferente a tutto quello che mi scorreva sotto gli occhi, nel cogliere la grandiosità di pensieri che Lidia racchiudeva in quelle pagine immortalate. Vorrei così, caro Giorgio, esprimere alcune riflessioni che Lidia ha suscitato in me quando il mio animo smaniava in attesa di risposta, alle domande che incalzano sempre più radicali in quest’orizzonte dell’agire umano che sembra aver perso ogni capacità di “senso”, di valore, di desiderabilità e di presa sulla realtà. Evocazione del “Nichilismo”è certamente l’ottusità del nostro tempo sempre più globalizzato. Questo è tutto quello che Lidia gridava continuamente dentro il suo cuore affermando così un allarme esistenziale. Mi colpiscono le sue parole che dicevano: “Tutto l’essere anela alla totalità ma la carne limita, strazia. L’acuta ferita del bisogno , sempre nuovo il desiderio, sempre più grande la risposta”( Lidia –Natale 1981) “ La ricerca della verità in cose senza fondo, in cose senza vita, la tristezza dell’insoddisfazione, il tormento della fuga. La speranza nella Fede…( Lidia “Fuga continua di fronte alla solitudine- Marzo 1980).

Mi rivedo tanto in Lidia e sento che questo è contro un mondo sempre più distratto. Vediamo continuamente costruirsi barriere intorno a noi e la falsificazione del vero che si introduce dentro di noi e ci sommerge sempre di più. Quello che più mi coinvolge in tutta questa storia è l’umanità di Lidia, l’affermazione della sua sostenuta identità senza lasciarsi cristallizzare in uno smodato conformismo che blocca totalmente e paralizza il nostro io. Ma dove attingere le profonde esigenze di verità e di amore, nascoste in fondo al nostro cuore? Lidia me lo ricorda: “Ho nel cuore la poesia dell’amore, della vita, della speranza; la certezza di un incontro che ha riempito la mia vuota solitudine” ( Lidia Primavera 1981) “ed il mio piccolo, profondo dolore, una miseria che riconosce in Cristo il centro” ( Lidia –Natale 1981). Riconoscere in Cristo il centro è la nostra salvezza! Forse una grande fede può sospingere l’animo oltre il limite che incombe su ogni uomo. La certezza e il superamento riposano in Dio.
Amico Giorgio, averti incontrato è stata una grande benedizione! Grazie di cuore per le tue parole. Le Poesie di Lidia rimarranno un sostegno per la mia vita. Lidia è un esempio indelebile che mi introduce verso una dimensione che va al di là , nella ricerca esasperata di perseguire il “vero”. Con cuore aperto affido un piccolo contributo per la “Fondazione Lidia Macchi” centro di azione e di solidarietà nel mondo.

Savina D’Incognito (Milano): Molti di voi conoscono già la mia storia in quanto vi frequento, dopo la morte di Leonardo, da circa tre anni. Nell’ultimo anno ho subito altri due gravi lutti con la perdita di entrambi i miei genitori nel giro di tre mesi. Sono figlia unica e non mi è rimasto più nessuno se non mio marito Vito. Vorrei ringraziarvi tutti perché in questo periodo vi ho sentito molto vicini. Un grazie particolare ad una mamma che, quando è qui a Busto, vedo sempre disperata e piangente. Mi ha scritto una lettera di grande speranza ed apertura. Vi ho sentito così vicini da sentire in me la forza che viene da voi. Di questo ne ero già a conoscenza perché l’avevo sperimentata tre anni fa in occasione della morte di Leonardo.
La morte di un figlio ti segna e bisogna iniziare a vivere in modo diverso. Se oggi riesco ancora a ridere, se provo piacere nel vedere un film, se mi emoziono ancora di fronte a un campo fiorito significa che sono viva. Come ha potuto Dio mostrarsi a me nella sofferenza? Non lo so. Gli eventi della vita mi riportano comunque sempre a Lui. Probabilmente è la soglia del grande mistero oltre la quale non posso proseguire. Mi sono fidata e affidata ed ho avuto questi risultati. Mi sento aiutata da Lui anche se il prezzo pagato è forse troppo alto. Però lo ringrazio ugualmente.

Ritengo che, anche nel dolore, si possa scoprire una forza positiva che, se ben indirizzata, fa compiere un cammino di Fede. Non è facile. Lo dico soprattutto per chi è qui per la prima volta ed è disperato. Nessuno toglierà il dolore. Però si può darvi un senso e così andare avanti facendo altre cose e del bene. Di miracoli, fra di voi, ne ho visti tanti. Per esempio una famiglia di Roma che noi sentiamo periodicamente ci ha fatto sapere che, dopo 25 anni di convivenza civile, ha deciso di sposarsi in Chiesa. Mi sono commossa e ho rivissuto la nostra storia. In questo c’è proprio l’opera e il lavoro di Dio. Bisogna fidarsi. Ancora oggi non comprendo perché Lui abbia voluto questo da me. Gli chiedo però che da questa cosa possa uscire del bene. Volevo ringraziarvi per tutto. Adesso capisco di più il significato della parola Appartenenza che avevo già intuito tre anni fa.

Don Giancarlo: riprendo dalla testimonianza di Savina il concetto di appartenenza che dobbiamo avere ben chiaro e usare come strumento per verificare l’efficacia dei cammini personali. Diceva Savina: Ho capito ancora di più il significato dell’appartenere anche se l’avevo già intuito tre anni fa. La natura umana porta in sé come DNA il principio di appartenenza. La Bibbia lo spiega attraverso il mito della creazione di Eva dalla costola di Adamo.
Prendiamo coscienza del fattore appartenenza attraverso l’esperienza dei legami fra due esseri. Il legame precede la coscienza dell’appartenere e ne costituisce la radice. L’uomo è fatto ad immagine e somiglianza di Dio che è Tutto. Noi non sappiamo che cosa sia il Tutto. Totalità – Infinito sono termini che suscitano nei cuori capaci di fremito quello che ha suscitato in Giacomo Leopardi il sostare e il percepire l’infinito oltre la siepe. L’uomo non possiede strumenti per misurarlo come si fa con la realtà. Il Tutto non è misurabile. È Altro. L’appartenenza ha come radice di fondo questo legame con l’infinito. Quando all’uomo, per violenza di altri o per scellerata dimenticanza, capita di perdere dei legami di appartenenza, si sente diseredato, orfano, solo e scivola verso forme di malinconia o di rabbia fino al barbonismo.
L’appartenenza è una risorsa rigenerante che rende liberi. La libertà infatti non è assenza di legami ma riconoscimento di legami preferenziali. Se non fosse così non sareste qui come marito e moglie. Il legame coniugale è una declinazione preferenziale dell’appartenenza. Il legame genetico, amicale, professionale, vocazionale lo si vive abitualmente e inconsapevolmente.

Nella vita intervengono però momenti decisivi che fanno fare salti di qualità. In tali frangenti si decide o si ridecide su chi e su che cosa vale la pena investire. Per questo ci si sposa e si fanno figli. Per questo ti disfi per i figli o soffri quando mancano irrimediabilmente. Si soffre anche quando non si può più alimentare, gustare o soffrire l’appartenenza a causa di legami interrotti. Questo è brutalmente verificabile nella nostra società che sta disgregando la famiglia e la trama di molti rapporti lasciando l’uomo in balia di una pseudolibertà che teorizza l’autonomia. Ognuno di noi può verificare l’esperienza dell’appartenenza che ha in corso domandandosi: A chi appartengo? A chi ho deciso di appartenere e di seguire?
Sono domande importanti perché, alla nostra età, le scelte non sono più lasciate al caso.
Il tempo della gioventù nel quale si rincorre tutto è passato. Ora il tempo si è fatto breve ed è rischioso sbagliare. Non bisogna rifiutare niente e nessuno ma, nella pletora delle possibilità, bisogna individuare ciò che è utile per raggiungere la nostra pienezza umana. Da soli non siamo in grado di realizzarla.Riflettete: non è già scelta di appartenenza il trovarci qui piuttosto che altrove o il renderci presenti con una telefonata, un invito a cena o il farsi presenti per essere di sostegno a qualcuno. Da tale condivisione nasce la speranza di cui Savina ringraziava.

Simonetta Prina ( Milano) : quest’anno ricorre il nostro 25° anniversario di matrimonio. Sei anni fa, quando pensavo che la prima festa importante che avremmo celebrato sarebbe stata questa venivo presa dal panico. L’ultima festa era stata la celebrazione della Cresima della mia Francesca circa 20 giorni prima di quel terribile incidente automobilistico nel quale sono decedute le persone a noi più care. Da allora ogni ricorrenza la vivevo con terrore: il Natale, i compleanni, gli anniversari. Invece, incredibilmente, già l’anno scorso, mi sono scoperta a pensare a come avremmo celebrato il 25°. Per me è un miracolo. Non avrei mai pensato che potesse essere fonte di rinascita. Il dolore infatti per la perdita di tre persone contemporaneamente mi aveva prostrata. Alla luce di quello che stiamo sperimentando in questa compagnia e del cammino fatto in questi anni preparo l’anniversario come una rinascita. È come se mi sposassi per la prima volta. Riconosco che questo è il risultato di 6 anni di fatica e di crescita. Di questo devo ringraziare tutti voi.

Valeria Borsani ( Canegrate) : In questi giorni ho sentito telefonicamente Simonetta di Pesaro. Ci siamo scambiati gli auguri che estende a tutti voi. Il primo anno era venuta al nostro incontro di Rimini quando aveva perso il suo primo figlio e portava in sé una nuova vita che adesso è nata. Abbiamo parlato a lungo e in modo molto positivo. Sapendo che ci saremmo incontrati questa domenica mi ha pregato di ringraziare tutto il gruppo e di abbracciarvi fraternamente. Questo è il vero senso dell’appartenenza che si può vivere anche da lontano. Sono rimasta molto commossa ripensando alla sua testimonianza a Rimini che si concludeva con “la vita è bella.”

Ronchi Francesco (Milano): A Giorgio Macchi vorrei ricordare un episodio capitatomi tempo fa. Mentre lavoravo in posta ho riconosciuto il volto di un assassino reso noto dai mass media. Egli però era stato ingiustamente condannato a molti anni di carcere. Il vero assassino aveva confessato in punto di morte e lui era quindi tornato in libertà. Mi confidava che il tormento più cocente in galera derivava dal sapere che il vero assassino fosse in libertà.
Il ricordo più bello e commovente degli ultimi anni è quello di mia figlia Milena. Tornando un giorno da scuola mi disse che il suo migliore allievo di 23 anni si stava preparando al Battesimo e voleva che io gli facessi da padrino. Io ero perplesso perché non volevo assumermi una così grossa responsabilità. Poi ho accettato. Milena morì dopo qualche mese.

Vito D’Incognito (Milano) : Vorrei aggiungere qualcosa a quanto già detto da mia moglie Savina. Lo spunto mi viene da un dialogo avvenuto fuori dal portone di casa con la signora Pinuccia che abita sopra di noi che conosce la nostra storia. Le stavamo informando sulla perdita dei genitori di Savina presso cui passavano le feste natalizie. Quest’anno abbiamo particolarmente sentito la mancanza fisica dei nostri cari. Dopo averci ascoltato la signora Pinuccia ci ha detto : E’ molto bello il modo che avete adesso di vivere la vostra paternità e maternità.
Il giorno di Natale ci siamo recati presso una casa di accoglienza per bambini che hanno alle spalle problemi famigliari. Lì sono assistiti da suore e da laiche che sono molto affettuose con loro. Per noi è stato il regalo più bello. Alla fine della giornata ci siamo trovati molto arricchiti dall’esperienza perché, per un momento seppur breve, ci siamo sentiti loro genitori . Siamo stati con loro a giocare per ore senza stancarci cercando di rasserenarli e dando quel po’ di affetto che poi ci è stato ripagato abbondantemente.

Siamo ritornati il giorno della Epifania. Ripensandoci sono ancora commosso da quello che una bambina, prima di andare via, ci ha detto : Vi voglio bene. Allora ci siamo ripromessi che lì o altrove, ogni volta che potremo, cercheremo di vivere la nostra paternità/maternità. Chiediamo al Signore che ci aiuti a trasformare il nostro dolore in energia da vivere in una nuova prospettiva di fede che ti può dare tante gioie e tanta ricchezza in più.
Un altro modo di vivere la mia paternità è il partecipare con entusiasmo alle attività di due squadre di basket, nate e formate da amici di Leonardo che si sono sentiti di riprendere a giocare o di fare gli allenatori. Sono diventati grandi e frequentano il campo ormai con le loro fidanzatine. Ieri sera ci siamo trovati a cena e molti mi chiedevano consigli sulla vita e si confidavano raccontandomi i loro problemi.
Per ultimo, ripartendo dal concetto che ci richiamava Don Giancarlo a proposito di Leopardi, vorrei leggervi una poesia che ci ha inviato la mamma di Simone Cioli. E’ una famiglia di Spoleto che aveva partecipato all’udienza di “Famiglie in Cammino” col Papa nel novembre 99’. Essa ritiene che Simone si sia suicidato anche se è morto in un incidente. Ascoltate:  

                Sono in piedi sul bordo della spiaggia.
                Un veliero passa nella brezza del mattino e
                parte verso l’oceano.
                E’ un oggetto di bellezza ed io lo guardo
                finché scompare nell’orizzonte.
                Qualcuno al mio fianco dice: è partito.
                Partito! Per dove?
                Partito dal mio sguardo; tutto qui.
                Il suo albero è sempre altrettanto alto.
                Lo scafo ha sempre la forza di portare
                il suo carico umano fino alla destinazione finale.
                La scomparsa totale dalla mia vista è in me, non in lui.
                E proprio quando qualcuno accanto a me dice: è partito

                altri lo vedono spuntare all’orizzonte e venire verso di loro.
                E con una sola voce esclamano con gioia: Eccolo!!
                Questo è la morte. Ma la morte non è nulla.
                Sono soltanto passato nella stanza accanto.
                Io sono io; voi siete voi.
                Ciò che eravamo gli uni per gli altri lo siamo sempre.
                Datemi il nome che mi avete sempre dato.
                Parlatemi come l’avete sempre fatto.
                Non usate un tono diverso
                non prendete un aria solenne o triste.
                Continuate a ridere di ciò che ci faceva ridere insieme.
                Pregate, sorridete, pensate a me. Pregate per me.
                Il mio nome sia pronunciato come sempre
                senza alcuna enfasi, senza traccia d’ombra.
                La vita significa tutto ciò che ha sempre significato.
                È quello che è stato sempre. Il filo non è tagliato.
                Perché dovrei essere fuori dal vostro pensiero
                semplicemente, perché sono fuori dalla vostra vita?
                Io vi aspetto. Non sono lontano.
                Sono dall’altro lato della strada.
                Vedrete. Tutto è bene.

I genitori di Simone, ritrovando questa poesia, hanno pensato al suicidio. Quando parliamo di giovani morti di Aids o di suicidio vorrei che fossimo sempre umani e misericordiosi. Quando li citiamo ci dovrebbe essere la stessa misericordia per tutti. A volte colgo valutazioni un po’ semplicistiche. Si dà un peso diverso ad una caso di Aids che a quello di droga o di suicidio. Vi prego di avere rispetto.

Benzi Fausto( Cuggiono): porto l’esperienza personale per dare un po’ di conforto a Luigi ed Anna che, oggi, ho avuto il piacere di incontrare della cui vicenda personale ero già a conoscenza. La situazione mia e di Anna è un po’ simile alla vostra in quanto anche nostro figlio è venuto a mancare in seguito a un incidente. Quali sono le cose che ci hanno aiutato particolarmente?
Avere vicino degli amici. Quelli presenti sono amici che hanno già vissuto l’esperienza del dolore e sanno trovare la parola giusta al momento giusto. Ti guardano con quella luce negli occhi in cui capti la gioia ed hai la sensazione che ti vogliono bene. Questa constatazione mi ha risollevato nei momenti bui. Vogliono bene gratuitamente. Questo lo cogli in modo dirompente.
Aver coscienza “della stanza accanto” cui faceva riferimento prima la poesia. I nostri figli vivono; noi non li abbiamo persi. La certezza che i nostri figli sono in Paradiso e che quando Dio vorrà; li ritroveremo rende la sofferenza più accettabile. Questa è una certezza di Fede che ci aiuta a lenire la sofferenza e a convivere con la croce che il Signore, per un mistero insondabile, ha ritenuto di mettere sulle nostre spalle. Ricordiamo, d’altra parte, che anche Dio ha permesso che Suo Figlio Gesù fosse messo in croce per il bene del mondo. Il disegno è imperscrutabile. Abbiamo però la certezza morale che il Signore ci vuole bene. Vi auguro, cari amici, che questa certezza, poco a poco si faccia strada nel vostro cuore e vi dia pace. Noi dobbiamo cercare di guardare la realtà con gli occhi della Fede e della Speranza.

Don Giancarlo: riprendiamo la seconda parte dell’incontro con il canto “Errore di prospettiva”  

                1) Quando noi vedremo tutto,
                quando tutto sarà chiaro,
                pensa un po’ che risate,
                che paure sfatate.
                Con la musica dentro,
                con il cuore più pieno
                della gioia di un tempo
                di un mattino sereno.

                Ma di una cosa lo sai Se c’è una cosa che voglio, E parlare con te (2 volte)
                Non potrò ridere mai: se c’è una cosa che vale di quando ero piccino (2 volte)
                è di tutto il male che è abitare la tua casa, e vedevo le cose (2 volte)
                ho voluto fare a te. tutto il resto è banal. con gli occhi di un bambino(2 volte)

                2) Ti ricordi quella volta
                della rabbia che avevo
                e credevo fosse amore,
                essere giusto volevo. Ma di una cosa…

Dobbiamo avere lo sguardo puntato al Tutto (Dio) che ha un disegno su ogni uomo, disegno che ha trovato in Cristo la Sua manifestazione. Alla luce del Tutto affrontare poi i particolari. Quando si perde di vista il disegno globale, il particolare può condurre al precipizio. L’appartenenza è una concezione di vita che equivale a una casa da abitare. La casa evoca l’immagine di legami di appartenenza e di comunione.

“Tutto il resto è banale”. Infatti, quando si incontra l’indispensabile o l’essenziale, il resto, pur bello, non suscita più l’interesse di prima. È eterno il conflitto tra l’essenziale e l’effimero che seduce. Quando però l’essenziale afferra la vita, l’effimero rimane sempre interessante ma non seduce più. E’ una coscienza nuova che prende forma come diceva prima Savina: “se provo ancora delle emozioni e dei sentimenti di fronte ad un prato fiorito, allora vuol dire che vivo. Ora ho però un altro sguardo sulla vita.” La vita purificata è una vita più vera , più intensa e più libera della vita di prima.
In sintesi: ognuno deve riflettere sulla forza purificante del proprio dolore. Il dolore in sé è male e non va sublimato; è un di meno rispetto al desiderio o all’esperienza della gioia. Però se il dolore viene accettato e trasfigurato nell’ottica della Croce di Cristo allora diventa fonte di nuova energia e di vita più piena. Anche Gesù ha vissuto il suo sì nei confronti del Padre: “ Sia fatta la tua volontà non la mia.”

Allora il dolore assume la forma di purificazione e comincia a scrostare dal cuore le scorie accumulatesi nel tempo. Solo a queste condizioni il dolore diventa purificante. Questo lo sa bene chi di noi è passato attraverso il suo crogiolo . Vissuto con fede e speranza diventa offerta d’amore per l’altro. La vita e le sue circostanze vengono allora lette alla luce di una sensibilità nuova che contagia e diventa meraviglia a se stessi. Questa trasformazione sorprende prima se stessi e poi gli altri. Occorre camminare insieme e appartenere per rendersene conto.
Il Papa al termine del Giubileo ha scritto una lettera tutte le Chiese del mondo. Il titolo latino è: Novo millennio ineunte.
In un capitolo parla della prospettiva a cui la Chiesa deve tendere nel nuovo millennio: la Santità. Se la Chiesa dà un’immagine di santità attraverso i suoi figli allora svolge la funzione per la quale Cristo l’ha generata. Cioè diventa segno attraente e strumento di liberazione. E’ segno di una umanizzazione della vita che si capta nei rapporti fra singoli o fra gruppi, fra nazioni o fra popoli. La pedagogia per tendere alla santità e si avvale di tre strumenti:

1° L’arte della preghiera: le comunità cristiane devono imparare a pregare non solo nei momenti di difficoltà o di bisogno ma sempre. E’ importante pregare come lode e adorazione continua, come ringraziamento, contemplazione del volto di Cristo e come fervore degli affetti. Il Papa prende in considerazione anche la commozione che può nascere dal faccia a faccia con Dio e dal sentimento di appartenenza.

2° I rapporti fra cristiani da vivere come casa e scuola di comunione fraterna. E’ il tentativo che stiamo facendo anche noi. La casa ha dentro l’immagine del calore, della presenza, degli affetti, della stabilità e della continuità. Casa che diventa scuola. La famiglia è il luogo primario dell’educare.
Il compito è quello di dare un senso alla vita e di formare una coscienza viva e proiettata alla responsabilità nei confronti del proprio destino. Solo così la famiglia diventa il luogo ideale dove si è a scuola di vita.

3° Missionarietà: Annunciare e testimoniare “l’avvenimento Cristo”. Dice Paolo: “guai a me se non annunciassi il Vangelo.” Non vive la missione chi si trattiene anziché esplodere e si difende anziché donarsi per l’Ideale e per il bene di tutti. Non è forse vero che il destino di felicità è un desiderio di tutti? Non è vero che la pace, frutto della comunione, è aspirazione di ogni uomo? Il Papa dice: Duc in altum! (prendi il largo) Gesù ha usato queste parole in una delle apparizioni dopo la Pasqua. Un mattino, all’alba, era lì sulle rive del lago di Tiberiade e preparava amichevolmente il fuoco per cuocere del pesce. Ma i suoi amici che tornavano da una notte di pesca infruttuosa non lo avevano riconosciuto. Le reti erano vuote. Gesù li esorta a prendere di nuovo il largo. Loro tentano di far capire a Gesù l’irrazionalità dell’indicazione. Ma Gesù li esorta ancora. Pietro, in uno slancio di fiducia dice “sulla Tua parola getterò le reti”e obbedisce. Alla fine tornano con le reti che si rompevano per la gran quantità di pesce preso.
Vivere la Missione equivale a partecipare con passione a tutto quello che la vita chiede e a dare testimonianza dell’appartenenza a Cristo fino a sentirsi costruttori della Chiesa come casa comune.
Il testo del Papa è ricco di spunti e di provocazioni.
Gli interventi di oggi sono stati molto significativi. Bisogna però imparare a seguire di più le indicazioni che ci diamo per approfondire con un lavoro personale la presa di coscienza del testo indicato. Leggiamone ora alcuni passaggi che ci aiutino a ravvisare quello che è già emerso dalle testimonianze. Le omelie citate sono quelle fatte il 14 e 15 ottobre 2000 durante il Giubileo delle famiglie.

Rapporto comunione e solitudine (domenica 15/10)

Punto 2. “Non è bene che l’uomo sia solo : gli voglio fare un aiuto che gli sia simile (Gn 2,18). E’ così che, nel libro della Genesi, l’autore sacro delinea l’esigenza fondamentale su cui poggia l’unione sponsale di un uomo e di una donna, e con essa la vita della famiglia che ne scaturisce. Si tratta di un’esigenza di comunione. L’essere umano non è fatto per la solitudine, porta in sé una vocazione relazionale, radicata nella sua stessa natura spirituale. In forza di tale vocazione, egli cresce nella misura in cui entra in relazione con gli altri, ritrovandosi pienamente nel dono sincero di sé…” ( Gaudium et spes,24)
“Chi spende la sua vita per me e per il Vangelo la ritroverà. Chi la trattiene possessivamente ed egoisticamente la perderà. (Gv. 15). L’avarizia è una delle forme più marcate di perdita perché impedisce di godere di quello che si ha, tanto o poco che sia. L’avaro è uno che non riesce a godere delle ricchezze accumulate per la paura di perderle.

“…All’essere umano non bastano rapporti funzionali. Ha bisogno di rapporti interpersonali ricchi di interiorità, di gratuità, di oblatività. Tra questi, fondamentale è quello che si realizza nella famiglia: nei rapporti tra i coniugi, come fra questi ed i figli. Tutta la grande rete delle relazioni umane scaturisce e continuamente si rigenera a partire da quel rapporto con cui un uomo e una donna si riconoscono fatti uno per l’altra, e decidono di fondere le proprie esistenze in un unico progetto di vita: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne”(Gn2,24)…”
I rapporti devono essere anche funzionali per evitare disordine e incomprensioni. I compiti devono essere ben distribuiti. Non possono però esaurirsi lì. Devono alimentare le dimensioni interiori della coniugalità. La vita a due deve attingere ad una sorgente di gratuità, interiorità e di oblatività che va ben al di là della divisione dei compiti.

Punto 6. “…Di conseguenza quando i ruoli vengono rispettati, in modo che il rapporto tra i coniugi e quello tra i genitori e figli si svolga in modo compiuto e sereno, è naturale che per la famiglia acquistino significato ed importanza anche gli altri parenti, quali nonni, gli zii, i cugini. Spesso, in questi rapporti improntati a sincero affetto e aiuto scambievole, la famiglia svolge un ruolo davvero insostituibile, perché le persone in difficoltà, le persone non sposate, le vedove e i vedovi, gli orfani, possano trovare un luogo di calore e di accoglienza. La famiglia non può chiudersi in sé stessa. Il rapporto affettuoso con i parenti è un primo ambito di quella apertura che proietta la famiglia verso l’intera società.


Punto 7. “Siano le vostre famiglie, sempre più, vere chiese domestiche da cui salga ogni giorno la lode a Dio e si irradi sulla società un flusso benefico e rigenerante di amore…”

Sabato-14 ottobre-

Punto 6. “…Di fronte a tante famiglie disfatte la Chiesa si sente chiamata non a esprimere un giudizio severo e distaccato ma piuttosto ad immettere nelle pieghe di tanti drammi umani la luce della parola di Dio, accompagnata dalla sua misericordia. E’ questo lo spirito della pastorale famigliare che cerca di farsi carico anche delle situazioni dei credenti che hanno divorziato e si sono risposati. Essi non sono esclusi dalla comunità; sono anzi invitati a partecipare alla sua vita, facendo un cammino di crescita nello spirito delle esigenze evangeliche. La Chiesa, senza tacere loro la verità del disordine morale oggettivo in cui si trovano e delle conseguenze che ne derivano per la pratica sacramentale, intende mostrare loro tutta la sua materna vicinanza.
Voi, coniugi cristiani , siatene certi: il Sacramento del matrimonio vi assicura la grazia necessaria per perseverare nell’amore scambievole di cui i vostri figli hanno bisogno come del pane. Su questa comunione profonda tra di voi, oggi, siete chiamati ad interrogarvi mentre chiedete l’abbondanza della misericordia giubilare…”

Queste riflessioni devono suscitare domande all’interno del vostro rapporto di coppia già ferito o cementato dalla prova del dolore: a chi decidi di appartenere o a chi già appartieni? Che intensità di comunione vivi all’interno della tua famiglia , nei confronti dei parenti, e, al di fuori, nei confronti della comunità cristiana, di Famiglie in Cammino e dei gruppi di caritativa , di impegno professionale o di volontariato?

Anna Signorelli (Gallarate): Mio figlio Andrea era stato 4 anni in comunità per problemi legati alla droga e poi aveva fatto 3 anni di lavoro esterno. Ero sicura che il Signore l’avrebbe accompagnato per molto tempo. Ero convinta che avesse già abbondantemente pagato i suoi errori. Invece è morto a 27 anni. Ero disperata. Ho un altro figlio di carattere taciturno. Andrea era invece gioioso e aperto. Questa gioiosità l’ha accompagnato fino alla morte.
Dopo tanta sofferenza sono arrivata alla conclusione che il Signore ci ha voluto bene a entrambi in quanto ha liberato lui da un’oppressione e anche me. Non so se sia giusto ma, ogni volta che passo dalla stazione di Gallarate e osservo tanti giovani disperati, mi si stringe il cuore nel vedere tante vite sprecate e buttate via. Adesso lo piango morto e so dove si trova. Per 2 anni me l’ero presa con il Padre Eterno ma finalmente ho capito il valore della sofferenza mia e di mio figlio. Forse è giusto che sia andata così! Lo dico con tremore e solo a seguito di una grande sofferenza.
L’altra cosa che voglio raccontarvi è il cambiamento dell’altro figlio sposato e della nuora. I primi tempi mi prendevano in giro per la mia Fede ed, ogni volta che andavo a Messa, sorridevano con sufficienza. Ultimamente vado spesso a mangiare da loro perché mio figlio non vuole più venire a casa mia in quanto è sopraffatto dai ricordi. Normalmente mi chiedono se ho partecipato alla Messa e mi invitano a pregare per loro perché, le mie preghiere, secondo loro valgono di più. Ho spiegato che tutte le preghiere valgono se sono fatte con il cuore. Mia nuora candidamente mi ha risposto che lei non sa pregare e che nessuno glie l’ ha mai insegnato.
Sto notando un grosso cambiamento della loro vita dovuto alla mia testimonianza di Fede. So che stanno riprendendo a frequentare l’Eucaristia. Per me questo è un miracolo.

Don Giancarlo: Queste testimonianze escono dal crogiolo della carne temprata dalla sofferenza e sono un arricchimento per tutti. Il prossimo mese riprenderemo il testo – Alla ricerca del volto umano di Luigi Giussani . Inizieremo con il problema ed il significato della moralità. Saranno pagine interessanti da scoprire e da assimilare. Vi invito a meditare a casa da pag. 129 a 138. Concludiamo ascoltando una poesia scritta da Angela in memoria di suo figlio Davide.

                Mattino soave. (27/12/2000) Oh dolci ricordi di un mattino soave!
                Dal tuo bel sole un fiore irradiavi
                e di germogli lo fecondavi.
                Cresceva così in quella armonia
                emanando nell’aria profumi d’amore.
                Egli era là su quel lungo suo ramo.
                E sempre a quel ramo attaccato restava
                lodando il Signore di tanta bontà
                e del tenero amore che Lui solo sa dar.
                Ma un brutto mattino quel sole sparì
                e un vento impetuoso lo fece appassir.
                Quell’aria ora è mesta e senza calor
                perché ora quel ramo non ha più il suo bel fior.

Natale Colombo (Usmate): Concludiamo il nostro incontro facendo tesoro di quanto abbiamo ascoltato. Ognuno di noi in questo mese ne verifichi i contenuti nella vita. Si premuri anche di invitare al prossimo incontro tutte le persone che potrebbero avere bisogno del nostro aiuto. Indicativamente ci ritroveremo l’11 Febbraio, il 18 di Marzo e l’8 di Aprile.
Chiudiamo col canto di Famiglie in Cammino.               

                Pon tus manos en la mano del Senor de Galilea
                pon tus manos en la mano del Senor que calma el mar.
                Es Jesus el que te va guiar noche y dia sin cesar.
                pon tus manos en la mano del Senor que calma el mar.

                Pon tus pies en la huella del Senor de Galilea
                pon tus pies en la huella del Senor que calma el mar.
                Es Jesus el que te va guiar noche y dia sin cesar
                pon tus pies en la huella del Senor que calma el mar.

                En tus labios las palabras del Senor del Galilea
                en tus labios las palabras del Senor que calma el mar
                es Jesus el que te va guiar noche y dia sin cesar
                en tus labios las palabras del Senor que calma el mar.

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