L’AMICIZIA
L’amicizia è un dono; solo se è continuamente recuperata e coltivata come segno di Cristo e della sua vicinanza diventa segno di conforto, ci fa vivere il tempo come anticipazione nel presente della Comunione Trinitaria, nella quale ci sono i nostri figli.
NATALE (Usmate): Diamo il benvenuto a Franca, una mamma che abbiamo conosciuto la scorsa estate nelle vacanze all’isola d’Elba. Si è avvicinata a noi, dicendoci che anche lei aveva perso un figlio. Questo per dire che anche in una vacanza e in un momento particolare ci è data la possibilità di incontrare delle persone e di condividere la stessa esperienza della morte di un figlio. E poi bisognerà parlare anche di Medjugorie, da cui sono tornati entusiasti alcuni di noi. Questo nostro incontro è anche occasione per confrontarci sul testo di Massimo Camisasca, che peraltro è amico di don Giancarlo, “La casa, la terra, gli amici” che abbiamo deciso di adottare per aiutare le nostre riflessioni.
DON GIANCARLO: Nell’Introduzione di questo testo don Massimo racconta ciò che lui ha imparato nel cammino della sua vita e nelle esperienze nelle quali è stato introdotto dal disegno di Dio, che man mano si dipanava e si svolgeva all’interno delle circostanze della vita. Poi nei vari capitoli tratta le tematiche più significative: unità della vita, comunione e amicizia, autorità, Spirito Santo. Analizzeremo nel corso dell’anno queste tematiche, cominciando da quella inerente allo Spirito Santo. Ora invece vorrei invitare il mio omonimo Giancarlo a parlarci della sua esperienza, che ha voluto evidenziare in una pubblicazione, dove rilegge positivamente e criticamente i decenni del suo passato. C’è diversità fra il giornalista (Giancarlo ne ha esercitato la professione) che racconta, che mette a disposizione degli altri qualcosa di sé da un intellettuale che sa cogliere dentro la variegata siepe di cose accadute chiavi di lettura, focalizzando, all’interno del disordine della vita, dei messaggi, degli insegnamenti per tutti.
GIANCARLO (Milano): Dopo le vacanze, spronato da mia moglie Valentina e da Evelyn, mi sono messo a raccogliere gli scritti riguardanti il percorso esistenziale che ho fatto dopo la morte di mio figlio Alessandro. L’arrivo in famiglia di Evelyn ha dato un’impronta nuova alla vita mia e di Valentina, perché ci ha rigenerati papà e mamma per la seconda volta. Io non avrei voluto fare questo testo, ma mi hanno incitato loro. Il mio percorso esistenziale è stato duro, perché all’inizio è stato molto pieno di inquietudini e di fallimenti; però il Signore mi ha aiutato a trovare subito la strada. In questo libro ci sono praticamente cinque momenti, che corrispondono ai cinque capitoli del libro. Comincio con la parte che avevo intitolata “I miei primi giorni di deserto”. Dopo quindici giorni da quando era mancato Alessandro, appena mi sono svegliato dal torpore che la sua morte aveva creato, ho tenuto una specie di diario con lui, che scrivevo durante il ritorno dal lavoro a casa. Dopo un mese però l’ho interrotto, perché avevo l’idea di approfondire attraverso dei libri quello che poteva essere il percorso delle fede, qualcosa che rispondesse di più agli interrogativi che in quel momento mi ponevo. E’ questo il secondo momento presente nel libro, che sostanzialmente ha come argomento Dio e la Fede. Nel capitolo “Alla ricerca del Dio perduto” ci sono riflessioni, stati d’animo che via via annotavo. Da questa infinità di pensieri ne ho tratto qualcuno, che spero possa essere utile anche per interrogarci sul percorso di dolore che noi tutti stiamo facendo. Segue una serie di lettere scritte a genitori che hanno anch’essi perso un figlio, raccolte nel capitolo “Fraternamente ti abbraccio”. Io ho l’abitudine, quando scrivo una lettera, di fare una brutta copia. Con mia moglie Valentina abbiamo scritto tante lettere a tante persone, magari incontrate casualmente. Sono le persone che il Signore ci ha messo sulla strada ; la prima lettera riportata nel libro è intitolata “Carissimi Giorgio e Raimonda”, la prima che ho scritto a voi. Non ne avevate bisogno, ma era un moto di amicizia che ci legava in quel momento. L’ultimo capitolo, “Un incontro che cambia la vita”, riporta l’incontro con un sacerdote missionario che veniva dal Cile. Attraverso di lui e attraverso Simonetta e Gilberto, acconsentiamo ad accogliere nella nostra famiglia Evelyn, una ragazza cilena già maggiorenne e che adesso è come se fosse nostra figlia pur non essendolo anagraficamente. Forse è anche più di una figlia. Ecco, in un centinaio di pagine ho raccolto questi miei momenti di percorso. Sull’ultima pagina ho scritto che le offerte che vorrete fare per questo libro saranno interamente devoluti in beneficenza; in questo nostro caso per Famiglie in Cammino o per la Chiesa.
GIORGIO T. (Milano): Mi sono soffermato sul brano che dice “Ciò che più mi interessa notare è che l’amicizia vera è un’esperienza di cambiamento, di conversione. Tutto ciò toglie ogni aura sentimentale o puramente umanistica. Gli amici, i fratelli sono sacramento di Cristo, il segno efficace della presenza di Gesù nella vita”. Vedo concretamente nel nostro gruppo di Famiglie in Cammino attuarsi completamente questo giudizio, questa espressione secondo la quale gli amici, i fratelli sono sacramento di Cristo, perché in questa nostra amicizia ciascuno di noi è stato introdotto da Gesù. Vedo grande responsabilità, grande impegno di conversione. Nella storia di questi vent’anni di Famiglie in Cammino la nostra amicizia è andata maturando, è andata consolidandosi e ci siamo sostenuti reciprocamente per un cammino di conversione perché tutti siamo stati consapevoli del fatto di essere in questo gruppo per volontà di Cristo e direi anche per grazia sua, come segno efficace della sua presenza. Ricordo che Giuseppe una volta aveva detto: “ Io vedo i vostri volti come il volto di Cristo”. Io dico, mentre si parla di amicizia, che sembra espressione di pura simpatia umana, di comunicazione umana. In realtà è il segno della presenza di Gesù sulla nostra strada e, quando ci ritroviamo per i nostri incontri, è proprio come se Gesù Cristo parlasse alla mia vita. Ecco la potenza del suo conforto, del suo consiglio, l’anticipazione della comunione finale e definitiva quando ci troveremo insieme in cielo con i nostri figli, una comunione definitiva con Gesù Cristo e con loro.
DON GIANCARLO: Come ogni cosa vera, se non genera amore non produce. La nostra amicizia, così com’è sbocciata all’inizio, come ha incominciato a evolversi e anche radicarsi nella nostra vita nel corso del primo ventennio, può rimanere sterile. E ciò malgrado un inizio fecondo, promettente, che si ricorda con gratitudine: per molti, che adesso non vengono più, è paragonabile a un’anfora di salvezza, a un appiglio di salvataggio, poi collocato nella vetrina dei ricordi significativi, ma pur sempre ricordi. L’amicizia è un dono; solo se è continuamente recuperata e coltivata come segno di Cristo e della sua vicinanza diventa segno di conforto, diventa strumento di consiglio e continuamente ci fa vivere il tempo come anticipazione nel presente della Comunione Trinitaria, nella quale ci sono i nostri figli e una moltitudine dei “centoquarantaquattromila segnati che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’agnello”, come ci ricorda l’Apocalisse. Se l’amicizia non si movimenta nell’impeto vocazionale e nel compito di trasformarsi in sacramento del Cristo unico vero salvatore che risponde alle durezze e alle gioie della condizione terrena, nel tempo diventa una sorta di pezzo da museo, un ricordo al pari di tanti altri.
FLORA (Usmate): Porto i saluti di Carla, impegnata a Roma ad accudire la nipotina. Le spiace tantissimo di non essere con noi e ci pensa sempre: noi siamo un segno nella sua vita. Vorrei anche raccontare un po’ della mia recente esperienza a Medjugorje, in occasione del pellegrinaggio organizzato da Gabriella e Gabriele per degli amici del loro figlio Marco, con i quali abbiamo intessuto una bellissima compagnia. Io ero già andata a Medjugorje nel lontano 1990, un anno prima che morisse mio figlio Christian. Vi ero andata a livello turistico, essendo in vacanza in Croazia. Erano trascorsi solo nove anni dall’inizio delle apparizioni. Già allora mi aveva colpito il vedere tanta gente, tanti ammalati e ho raccomandato alla Madonna mio figlio che aveva sedici anni e mezzo, un’età un po’ particolare, affidandolo a lei. L’anno dopo a maggio Christian è morto. Uno dei miei primi pensieri è stata la constatazione che la Madonna, a cui avevo affidato mio figlio e per il quale ho pregato tanto, l’aveva portato con sé. Devo riconoscere da parte mia che, con il suo aiuto, non ho mai avuto momenti di disperazione. Il dolore c’era, il disorientamento anche, ma non la disperazione e questo mi ha portato poi, con mio marito e la mia famiglia, ad avere una reazione costruttiva che mi ha portato in Famiglie in cammino. Con questo pellegrinaggio ho avuto un’ulteriore percezione della ragione della morte di mio figlio, che praticamente è per noi un incitamento a cambiare vita, dando ad essa un valore costruttivo. Un’altra cosa che vorrei dirvi è l’incontro con Franca, che è qui vicino a me e che abbiamo incontrato quest’anno in vacanza. Con Natale e altri ci siamo messi a parlare con suo marito, scoprendo che anche loro hanno perso un figlio. Da parte sua si meravigliava di aver visto un gruppo tanto felice e di scoprire poi di avere nel cuore lo stesso suo dolore per la perdita di un figlio.
FRANCA: Sì, era incredibile vedere queste persone appollaiate sulle rocce che erano visibilmente felici! Ma parlando ho scoperto che, oltre ad avere delle conoscenze in comune, abbiamo anche in comune una cosa molto grave, molto pesante. La qual cosa mi ha incuriosito molto, perché generalmente chi subisce un trauma di questo tipo tende un po’ a chiudersi, a non voler parlare, a non mettere in comunicazione con altri il proprio dolore; invece ho scoperto proprio che è la comunanza di aver sofferto le stesse cose che può veramente aiutare. Io ho visto loro e mi sono detta: sono stati bravi ad incontrarsi e a mantenere nel tempo questa unione. Sono quindi venuta più che altro per conoscervi. Conosco poco di Famiglie in cammino, del vostro lavoro, ma ho capito che insieme trovate la forza per continuare a sopravvivere.
DON GIANCARLO : Non solo per sopravvivere, ma per imparare la strada dell’accelerazione del vivere nel modo più vero, più interessante e globalmente abbracciante tutti i fattori: il dolore, la gioia, il tormento, la routine che si impara cammin facendo. Franca ci ha dato, senza averlo studiato prima, la documentazione dell’amicizia in movimento. Quando ci guardava, mentre era in vacanza all’isola d’Elba, ha visto una nota, l’unità gioiosa. ”Che bravi, che fortunati!” ha pensato. E invece era il segno di Cristo che ci aveva messi insieme e aveva trasfigurato quello che tu giustamente hai chiamato il trauma, la ferita di un cammino in un’oasi di convivenza gioiosa, allegra. Se diventasse coscienza e missione, questo potenzierebbe ancora di più tante luci, tante stelle che si accendono nel cuore degli uomini. Una società liquida come la nostra, che vive dietro barricate o recinti di categorie, corporazioni, schieramenti, ha bisogno di queste luci. Stare con persone indignate è l’inferno, la vita diventa vivibile se si può stare insieme con persone amanti della vita e portatrici di una speranza del vivere. E’ illuminante quanto Flora ha scoperto nel rivedere Medjugorje dopo vent’anni circa della sua vita. Ha scoperto il filo conduttore che è il disegno vocazionale. E’ la luce più difficilmente accendibile perché continuamente attirati, spinti, obbligati da altri e da altro. Ma in questo luogo, dove dentro la realtà temporale il mistero, l’invisibile diventa una presenza che parla, che fa capire attraverso la fede, si è rimesso in moto un processo di conoscenza di sé, del vivere e della realtà, in cui anche la morte di Christian è stata letta non più solo come scelta della Madonna di prenderlo con sé e per sé, ma come motivo di vita, in cui la morte del figlio è diventata l’inizio di un cambiamento nel cammino di questi vent’anni. Queste grazie, queste luci che si accendono sono importanti e decisive, per non sciupare nulla, per non rimuovere nulla di ciò che è la storia del nostro cammino. Anche quello che non si capisce, anche quello che indigna, anche quello che tormenta, tutto ha un senso perché la realtà creata e redenta è una realtà inesorabilmente positiva alla radice. Si tratta di non fare errori di prospettiva. Nella vita, non per cattiveria ma per impazienza, per reattività emotive, per durezze di cammino, per l’accavallarsi di un concentrato di prove, ci sono cose che ci sembrano schiacciare, ma nel tempo molti nodi si sciolgono, certe nebbie si dipanano, irrorate da una luce che poi alla fine ti fa dire: ora ho capito e non mi sarei mai immaginato di …, ma guarda che illuminazione!
MARY (Vimercate): Anch’io sono stata a Medjugorje. Mio figlio Simone è mancato l’anno scorso. Io sono partita per Medjugorje senza attese miracolistiche e con tanta confusione; non avevo bisogno di miracolo e di tutto ciò di cui si parla. Si dice che la Madonna ti chiama e questa cosa è vera: ve lo dice una persona molto scettica, molto arrabbiata che ha ricevuto molti segni; l’ultimo è stato l’invito di Gabriella; al che mi sono detta: devo andare, e vado con il cuore aperto. A parte la moltitudine di persone, mi hanno colpito soprattutto i molti giovani, che uno non si aspetta di trovare perché effettivamente i giovani di oggi sono molto lontani da Dio, dalla religione. Ho assistito in particolare al passaggio di un gruppo di ragazzi, magari con il piercing, che inneggiavano e pregavano Maria per poi vederli numerosi andare sul monte delle apparizioni portando la croce. Così uniti mi hanno dato la forza. Altre cose non vi racconto: vi dico solamente di andare, perché non è facile tradurre in parole ciò che si prova. Io sono tornata molto carica; non ho avuto la conversione, non sono tornata illuminata, però così carica che se all’inizio non avevo molto entusiasmo, alla fine, come la Madonna chiede a tutti, sono diventata anch’io testimone. Ho avuto altri momenti di sconforto tornando alla vita quotidiana, ma ho adesso una certezza. Quando sono giù di morale io prego e pregando sto meglio.
GIORGIO M.(Varese): E’ veramente un peccato avere a disposizione gli strumenti necessari e non utilizzarli. Ho letto il libro di Massimo Camisasca e l’ho trovato molto bello, molto interessante. Quando parla della casa, la presenta come una sorta di monastero, senza ovviamente le regole presenti in esso, dove puoi benissimo trovare Dio, proprio nell’ambito della tua casa. Questo ti fa anche cambiare lo sguardo sulle persone che sono con te perché la casa è una dimora, la dimora di Dio presente nelle persone che la abitano. Allargando il pensiero, possiamo pensare a Famiglie in cammino come a una casa dove le persone trovano un luogo dove potersi confrontare e una guida autorevole, Don Giancarlo, che ci aiuta ad avvicinarci a Dio. Se uno non ha una casa, un posto dove confrontarsi con gli amici è una persona persa; altro che essere indignati! La speranza è quanto ci sostiene. Riallacciandomi alla vacanza dell’Elba che avete fatto ho notato un’incredibile esperienza di fede in cui emerge, senza fare progetti, l’azione dello Spirito Santo che cammina con noi, a prescindere dai nostri meriti.
NAZARENO (Tradate): Vorrei anch’io dare la mia testimonianza sul pellegrinaggio a Medjugorje. Il mio viaggio in quella terra ha accresciuto la mia fede. Una sera ho percepito una straordinaria sensazione di “mettere i miei piedi” sulle orme della Regina del Cielo e della Terra , la Madre di Dio e Madre nostra. La preghiera nasceva spontanea e gioiosa; tutto intorno si percepiva qualcosa di straordinario e tutto questo invitava alla contemplazione, ispirava alla ricerca di quel “Qualcuno” su questa terra a cui la realtà appartiene e che viene per abbracciarci come figli. Questo nostro essere “figli” è presente in ogni messaggio della Vergine Santa. Questo suo modo di rivolgersi a noi è ampiamente compreso da tutti in quel luogo e lo dimostra il fatto che la gente non esitava ad inginocchiarsi per pregare. Tanti, molti di noi avvertivano dei segni che esprimevano chiaramente la presenza della Vergine. Devo anche aggiungere che per me la preghiera è pane di vita e questo lo sappiamo tutti quando recitiamo il Padre nostro, quando la preghiera si trasforma in un dialogo. E nel silenzio con Dio si avverte la Sua voce che arriva come una dolce melodia nel nostro cuore. Medjugorje è per me il luogo più bello, perché favorisce e sviluppa la preghiera, così come ritengo che le apparizioni della Madonna in questo luogo siano un chiaro segno di come la Vergine Santa continui a mettersi al nostro servizio per condurci a Gesù. E vorrei aggiungere anche questo: vedendo quella grande folla sulla collina di Medjugorje mi è venuto in mente la folla che correva a Gerusalemme cantando inni al Salvatore. L’unica mia forza sta nella preghiera perché con i miei occhi vedo poco, ma con gli occhi della fede vedo ben oltre. Con la fede, anche nel dolore, troviamo un po’ di gioia. Non so come spiegarmi, ma pensando a Gesù e stando vicino a Lui, la gioia viene in noi, perché di Lui ci fidiamo e ci affidiamo, sapendo bene che ci aiuta. Noi siamo qui, su questa terra, come in pellegrinaggio; è un pellegrinaggio verso l’infinito. Io queste cose le percepisco, le sento: Lui mi dà la forza di reagire e di amare.
DON GIANCARLO: Non è nel dolore che si trova la gioia. Il rapporto di comunione con Cristo diventa talmente potente da far cogliere nel dolore, che rimane dolore, turbamento, ferita, un significato illuminante che diventa fonte di pace, di quiete. Il dolore è dolore, la ferita è ferita, il male rimane male; il miracolo sta nella capacità di cogliere, di riconoscere fattori che prima sfuggivano nella direzione del significato che tu Nazareno dai alle parole senza motivarle; sarebbe invece utile spiegarle, perché la ragione colga una ragionevolezza in quello che tu stai testimoniando.
RITA (Vimercate): Sono sette anni che frequento Famiglie in cammino e non ho mai espresso la mia opinione; forse è il dolore che non mi fa mai parlare per dire ciò che penso. Vorrei ora comunicarvi questi miei pensieri. Un anno dopo che avevo perso mio figlio, mi è arrivata la telefonata di una pittrice che mi domandava se volevo fare il quadro di mio figlio per la chiesa del mio paese. Mi sono riservata di chiedere, prima di accettare, al mio parroco il perché: ho saputo che vi erano altri giovani periti in incidenti. Comunque ora io mi trovo in questa situazione: quando ritorno nella chiesa del mio paese, trovo in essa un quadro dove è dipinto mio figlio con le ali, mentre sembra volare verso il cielo. La seconda cosa che vorrei dire è questa: nel giorno del funerale, all’interno della chiesa dove c’era molta gente, improvvisamente si è vista entrare una rondine (non so neppure come sia entrata, dato che la porta era chiusa), che ha volato intorno all’altare e poi è scesa sul pavimento presso la bara. E’rimasta lì per qualche minuto, poi ha fatto altri giri come a voler salutare, e come è entrata è quindi uscita. Anche il sacerdote quando ha visto questa cosa è rimasto meravigliato. Ora io mi domando il perché di queste cose. Aggiungo che, quando sogno mio figlio, lo vedo sempre sorridente e vestito di bianco.
DON GIANCARLO: Non bisogna lasciarsi prendere la mano e il cuore e gridare al miracolo. Ricordo una trattazione che riguardava la natura del miracolo in cui il teologo metteva in risalto alcuni aspetti che è importante distinguere. Che il miracolo ci sia è un dato, perché il miracolo è opera di Dio che è onnipotente. Un uomo che non accettasse la categoria della possibilità del miracolo attribuita a Dio, sarebbe un “poveraccio”: è della ragione umana mettere in conto che ci sia la possibilità di uno straordinario imprevedibile, ma che può accadere perché la realtà è creata da Dio. Miracolo c’è stato, c’è ed è ragionevole metterlo in conto, perché, se è opera di Dio, Dio può tutto. Seconda sottolineatura. Bisogna saper distinguere il prodigio dal miracolo. Il prodigioso tocca primariamente la sfera della soggettività, cioè dell’io individuale. Non necessariamente il prodigioso entra nella categoria del miracoloso, che è una categoria oggettiva, non soggettiva, mentre il prodigioso è legato a particolari stati d’animo, a particolari contesti, come nel caso del funerale di Giovanni Paolo II , durante il quale sulla bara, con il Vangelo aperto, in più occasioni, in certi passaggi della Messa si sono viste le pagine che giravano avanti e indietro. Io, che ero presente, ne sono rimasto impressionato e l’ho letto come un segno prodigioso; non l’ho chiamato miracolo. Ma mi ha insegnato tanto e penso a tantissime altre persone come a Rita: il fatto di vedere, in un momento così solenne e così unico come la liturgia funebre del figlio, una rondine che ruota attorno alla bara, questo diventa una suggestione, un suggerimento che insegna e può far riflettere molto. Il miracoloso invece è un’altra cosa. Il miracolo è un segno straordinario, che irrompe per iniziativa libera e sovrana di Dio, arriva al cuore e lo cambia. Il segno del miracolo è la conversione, è qualcosa che cambia l’assetto della mente e l’atteggiamento del cuore, posizione essenziale per cui riconosci la presenza di Dio nel suo spirito in azione.