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Incontro del 21/11/2010

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MILANO, 21 NOVEMBRE 2010

 

 

RECUPERARE LA PRIORITA’ DELLA CONVERSIONE

 

La conversione ha come soggetto Cristo, Presenza con cui paragonarsi e a cui domandare, insistentemente e sempre, il personale cambiamento.

 

 

NATALE (Usmate):  Introduciamo la nostra assemblea partendo dalla lettera che abbiamo ricevuto  e dalle domande di  aiuto rispetto al testo che era stato indicato:”Vivere è la memoria di me”. 

In un mondo che vuole fare a meno di Gesù, ma che ha urgente bisogno di Lui, il papa richiama la priorità della conversione. E’ indispensabile recuperare la predilezione dell’amore di Dio per te: “Ti ho amato di un amore eterno, perciò ti ho attratto a me avendo pietà del tuo niente.”. Un amore personale, smisurato e commosso, motivo di vera speranza in qualsiasi condizione tu ti venga a trovare.

Nella nostra esperienza tale consapevolezza è viva o trascurata, è in crisi o scontata? Da che cosa lo capisci?

Aiutiamoci anche con esperienze personali da comunicare,  sollecitati dall’omelia di Don Giancarlo.

 

 

DINO (San Lorenzo di Parabiago): In settimana, io e mia moglie Tiziana abbiamo avuto una discussione sulla mia presenza in famiglia; mi è stato fatto osservare che ultimamente, anche a causa del mio poco tempo, sono stato un po’ distratto riguardo all’attenzione nei confronti suoi e della figlia.

Ho cercato di giustificarmi, ma credo di non essere arrivato al cuore della questione: l’attenzione ai componenti della famiglia è la cosa più importante ed è il cuore di tutto. Leggendo il brano proposto ho di conseguenza cercato di interpretare la parola “conversione” come attenzione non alle cose, ma alle persone, facendosi carico dei loro problemi.

Come non basta il fatto di appartenere alla Chiesa, a un’associazione cattolica, a un movimento cattolico per sentirsi soddisfatti della nostra vita e in particolare della vita cristiana, così non basta appartenere a una famiglia per sentirsi padre e marito.

Noi siamo cristiani perché ci sentiamo appartenenti a Cristo, non in quanto facciamo parte di una Chiesa o di una istituzione, ma perché ci sentiamo innamorati di Lui.

Un po’ come io mi sento appartenente alla mia famiglia in quanto sono innamorato di essa; è questo forse che mi chiedeva Tiziana.

Così  la conversione, a cui ci richiama il brano proposto, implica un rapporto molto più intenso, che deriva dalla consapevolezza di vivere dell’amore che mi è stato donato e quindi di ricambiare questo amore nel modo in cui due innamorati si scambiano il loro amore.

E questo amore fa sì che la mia conversione diventi qualcosa di concreto e di  palpabile; altrimenti rimarrebbe solo un’adesione a dei precetti e non una partecipazione col cuore.

 

DON GIANCARLO: Tanto per mettere una pietra ferma su cui collocare altri mattoni, la parola conversione, nel suo significato originario ed anche in quello documentato e confermato da una esperienza, implica un cambiamento di posizione interiore e  un superamento, una tendenza, un modo di  orientare il cuore e la ragione sul contenuto dell’ideale.

Su questo introduco una chiarificazione su quanto Dino ha espresso prima, quando ha fatto un accostamento suggestivo che la conversione può essere paragonata analogicamente  all’innamoramento, che è diverso nell’esperienza esistenziale dall’esserci come adesione formale, quieta, ripetitiva, conformistica.

Sembrava che la conversione dovesse orientarsi in primo luogo alla propria famiglia per superare scontatezze, trascuratezze. Ma questo è l’implicazione della conversione: la sua direzione e il suo contenuto sono l’ideale.

L’uomo  vero, totalmente e integralmente umanizzato, è Gesù, che mi sorprende, mi incoraggia, mi corregge, mi rilancia attraverso la concretezza umana di chi mi sta a fianco, nelle condizioni storiche nelle quali la nostra vita di persone è inserita.

Alle persone, come i familiari nel caso di Dino,  arrivo nella centratura della autenticità e della novità della mia conversione, perché rinnovato dal legame di appartenenza a Gesù.

Il paragone con Lui ha risvolti diversi dal paragone che ho con quanti mi sono vicini: moglie, marito, figli, amici … E’ il paragone con la Verità. E’ una Verità che è sempre in azione perché è Amore. La presenza di Gesù è misericordia.  E’Amore che si spende, provvede, interviene, è fedele. Non c’è nessuna persona che mi dà questa garanzia e questa sicurezza.

Seconda cosa: la presenza di Gesù mentre si dà tutta, chiede tutto. Qualsiasi altra persona ha sempre il suo limite strutturale, etico, esistenziale. Non si dà mai tutta per sempre, non è capace, è inadeguata. Ma non perché è cattiva, ma perché è creatura. E non ha il coraggio, non ha la libertà di chiedermi tutto e sempre. Gesù sì.

“Siate misericordiosi come il Padre; siate perfetti come il Padre; riconosceranno che siete miei amici e discepoli se vi amerete come Io vi ho fatto vedere. Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.

Per questo la conversione ha come soggetto Cristo, Presenza con cui paragonarsi e a cui domandare, insistentemente e sempre, il personale cambiamento. Alle persone arrivo attraverso Lui.

 

VITO (Milano):  Innanzitutto ringrazio Dino per la bella testimonianza. Devo poi ringraziare Savina, mia moglie, perché ha saputo credere di più in questo modo di dialogare in casa, di prestarci più attenzione.

Sul discorso della conversione non ho letto quanto avete condiviso in precedenza, ma mi è venuto in mente il caso di Leonardo Mondadori e la  sua conversione, di cui ho letto un libro. Questo libro parla di una persona che stava distruggendosi moralmente, ma che poi si è fatto monaco.

Veramente ci sono dei passaggi che commuovono nel vedere cosa voglia dire la conversione.

Ripensando a questo libro, sentendo Dino e don Giancarlo mi veniva da chiedermi: quando in me è veramente scattata la conversione, il desiderio di innamorarmi di Gesù; che cosa ha significato per me questo?

Non nascondo che tutto risale all’esperienza del trauma della perdita di nostro figlio. E’ da quel momento che io e Savina ci siamo posti le domande di fondo della vita.

Io associo la conversione convinta al fatto di avere un desiderio vivo di conoscere Cristo, di amarlo, di abbracciarlo e di seguirlo nella misura in cui sono capace.

Mentre prima si vivacchiava, da quel momento in poi sono ripartito con il desiderio di approfondire la lettura dei Vangeli, di conoscere la vita di qualche santo …

Questo ci  ha permesso di conoscere la realtà di Famiglie in cammino, di farne parte e di accostare altre esperienze; eravamo motivati soprattutto dal desiderio di conoscere Cristo.

Ho iniziato ad amare di più Gesù, ma non ancora in modo totale: mi fido, mi affido, confido in Lui, ma non ho ancora l’abbandono totale: dovrei fare dei passi ancora più radicali di quelli che sto facendo.

Per noi la conversione non ha significato solo maturare un desiderio di preghiera, ma anche  il  desiderio di amare il mio prossimo e per amare il mio prossimo occorre ripartire dalla parabola del Samaritano. Per questo abbiamo ripreso a fare volontariato alla mensa dalle Suore Francescane il sabato mattina.

 

DON GIANCARLO: Vorrei ricentrare la questione sulla domanda iniziale, perché tutta l’introduzione - non so se vi siete accorti - non mette l’accento innanzitutto su quello che dobbiamo fare noi. Questa è  la tendenza di un cristianesimo moralistico che pone l’accento così: cosa devo fare io per convertirmi? E qui poi si naufraga.

Il martellamento su cui l’introduzione ha insistito, ed è l’aspetto più commovente, è questo: “Ti ho amato di un amore eterno perciò ti ho attratto a me”, cioè ti ho reso partecipe del mio amore avendo io pietà del tuo niente. Amici, la conversione è questo: lasciare entrare in ogni situazione esistenziale  in cui mi vengo a trovare, anche di stanchezza, questo Amore infinito che si è curvato sul mio niente.

“Niente può impedire il fatto che adesso in questa situazione c’è Uno che con un Amore eterno, immenso si curva sul mio, sul tuo nulla per darci l’essere.”

Ecco questa è la centratura. E anche la domanda era rivolta qui.

Cioè nella tua esperienza, nel tuo cammino di uomo, la consapevolezza che il Tutto si è curvato sul nostro niente, perché ci ama di un Amore eterno, è viva o trascurata? E’ in crisi o è scontata? Da quali sintomi lo capisci?

 

TIZIANA (San Lorenzo di Parabiago): Per spiegare quello che tu volevi puntualizzare ho trovato una poesia che secondo me è molto indicativa.

 “In ginocchio mi prostro per parlare del Santo Sacramento dell’Altare e con la voce tremola e sommessa medito sul mistero della Messa. E’ un Mistero d’amore e di presenza che supera l’umana intelligenza. Ma te ne rende certo la tua fede che accetta pur quello che non vede. Con la Parola della liturgia Gesù ti indica del bene la via. E di mezzo alle tenebre dell’errore ti dona di Sua luce lo splendore. Dopo la Messa torna tra i fratelli e di Sua luce illumina anche quelli.

Gesù ti unisce nella  preghiera per dare lode a Dio da mane a sera. E perché scenda sopra i figli  ingrati la grazia del perdono dei peccati, con Lui pregando tu diventi certo che si cambia in giardino anche il deserto. Se l’Ostia lo nasconde, per davvero noi Lo crediamo vivo e vero.

Nell’Ostia crocefisso Lo adoriamo e con Lui volentieri ci immoliamo. Sopra la Croce con Maria, la mamma, ci consumiamo nella stessa fiamma. All’alma languente e denutrita offre se stesso come pane della vita. Egli si dona tutto, in te dimora finché per te del cielo arriva l’ora.

La santa comunione avrà il suo frutto se corrisponde a Lui donando tutto. La Messa tua giammai sarà finita, che celebrar la devi con la vita. Esci di Chiesa, ma non sei più tu, con te entra nel mondo il buon Gesù.

La vita tua tutta una Messa sia, celebrata in unione con Maria”.

(Sac. Vincenzo Cuomo)

 

DON GIANCARLO: E’ una testimonianza in versi del primato della centralità dell’iniziativa di Dio. E’ Lui che ci converte a sé. Certo noi permettendo, noi desiderando, noi collaborando.

Capite che in primo luogo non è in gioco lo sforzo; è in gioco riconoscere questa presenza che si è fatta mendicante, bisognosa: lei che aveva tutto e che era tutto. L’Incarnazione, il Natale, è riconoscere questo.

 

MARIAROSA (Milano): Io penso che  devo continuamente chiedere questa conversione. Non è una cosa che avviene dalla sera alla mattina, ma è un cammino che si fa con la speranza che si realizzi.

 

NATALE (Usmate): Devo riconoscere che nel mio fare c’è qualcosa di più grande al quale devo aderire,  altrimenti il mio fare è nulla. Sei Tu che mi fai!

 

GINO (Milano): Mi è forse capitato di verificare la conversione di un amico. In parrocchia mi trovo con  un gruppo di anziani a giocare a carte. Ultimamente uno di loro si è gravemente ammalato. Con il nostro sacerdote e altri amici  siamo andati a trovarlo. Premetto che lui e la sua famiglia non frequenta la Chiesa. Ciononostante ci ha accolto dicendoci: “Grazie vi aspettavo, perché sapevo che, quando avreste saputo della mia malattia, sareste venuti a trovarmi. Voi vivete in un modo diverso. Io stavo con voi non per giocare, ma perché vedevo il modo in cui vivevate!” E ha pregato il nostro sacerdote di confessarlo: erano anni che non si avvicinava al sacramento della penitenza. Vuole stare vicino a noi, perché noi siamo nella Chiesa. Ciò ci ha commosso fino alle lacrime.

 

DON GIANCARLO: Ecco, questo è il punto delicato, il punto di svolta della parola conversione: introdurre svolte nel proprio modo di sentire, di giudicare, di scegliere, di vivere.

Questo Amore eterno che si è abbassato sul nostro niente perché ha avuto pietà del nostro niente, dopo l’Incarnazione lo si incontra nell’umano dei discepoli.

Chi incontra voi - Gesù lo diceva sempre ai suoi - incontra me, perché voi siete la mia carne, siete la sembianza umana che diventa immagine mia.

E’  il punto di svolta delicatissimo e commovente, perché poi si arriva anche a piangere, quando ci accade di diventare o testimoni oculari di fatti, come ha raccontato Gino, oppure si prende coscienza di essere stati noi strumento, il segno umanamente vivo che è servito a qualcun altro lontano mille miglia. L’umano diventa trasparenza del divino che lo ha cambiato, ne diventa segno; diventa sacramento di esso, perché immette nel cuore la speranza: non ti fa sentire solo, ti tira fuori dalla solitudine.

L’amico è segno che mi ricorda, mi rimanda sempre a quell’Amore grande, smisurato ed eterno che si è abbassato per misericordia sul mio niente.

 

NATALE (Usmate):  Lo scorso settembre un parrocchiano di don Giancarlo, saputo dell’incontro di Famiglie in cammino, incuriosito ha voluto essere presente.

Questa sua presenza ha determinato questo suo pensiero: “Ho rivisto don Giancarlo e ho passato un pomeriggio in vostra compagnia. Posso dire che la riunione mi è piaciuta moltissimo e che vedere dei genitori sereni che vivono nella carne e nell’anima la sofferenza può solo essere meraviglioso. Vi ringrazio per avermi dato la vostra esperienza di Famiglie in cammino. Mi è piaciuto il canto anche se non sono riuscito a gustarlo in toto, ma già la musica mi esprimeva uno stato d’animo di accoglienza. Ho riletto più volte la vostra preghiera e mi consola pensare che i vostri cari sono più vicini e che la vita continua. Con amicizia e con stima. Enrico.”

 

DON GIANCARLO: E’ un parrocchiano che ha in corso con altri un tentativo un po’ professionale, di carattere psicologico, per aiutare a cogliere in una certa sede, qui nel quartiere, persone segnate da prove, da sofferenze senza lo specifico che caratterizza noi. Qui ha invece trovato un’esperienza, cioè un livello sul quale non entra una competenza professionale, ma un’amicizia in cui ci si tiene per mano e insieme si cammina.

 

NATALE (Usmate): Sono stato contattato da due giornaliste di Avvenire e, su richiesta pervenuta poi a Don Giancarlo in un momento in cui il nostro Direttivo si incontrava, ci è stato chiesto di esprimere un giudizio sull’utilizzo sempre più frequente degli strumenti della rete di internet per ricordare le persone scomparse. Si sta verificando che attraverso il web c’è un passaggio di messaggi di famiglie che hanno perso i figli e di amici che li ricordano così.

Nell’ultimo numero di ottobre di “Noi genitori e figli”, il periodico mensile di Avvenire, c’è l’intervista rilasciata da don Giancarlo e da alcuni di noi: Giorgio Targa, Macchi, io e Giovanni Rimoldi

 

ANTONIO (Gallarate): Forse sono un po’ fuori programma, ma parlando della conversione, vorrei portare la mia esperienza: la conversione di ogni giorno di chi deve subire una sofferenza, un dolore personale grande.  Mi è difficile, perché da tre anni ho una malattia che non perdona. Vivo da solo e ogni giorno devo convertirmi, ogni giorno devo lottare. Mi fa piacere quando vengo tra voi e qualcuno mi dice: Antonio ti vedo bene,  nonostante tutto, ti vedo bene. E’ questa la forza con la quale mi aiutate a lottare giorno per giorno, ma ancora di più credo di  portare anch’io una testimonianza a voi: il dono della conversione, il dono che il Signore fa a me e che trasmetto a chi mi è vicino. E il dono si avvera nel modo di vivere non più come tre anni fa, fatto di divisioni e di discriminazioni: con quella persona non ci sto, con l’altra neanche ….

No, io voglio  portare a tutti un sorriso. E’ una cosa meravigliosa, è una cosa che aiuta me stesso, ma aiuta anche gli altri.

Vivo da solo. Ho imparato anche il dono della solitudine e, con  il dono del silenzio, ho imparato quello dell’ascolto. Attraverso l’esperienza posso comunicare agli altri anche il dono della vita, della bellezza che il Signore mi dona ogni giorno, della gioia che mi dà. La mia patologia mi impediva di comunicare: dovevo accettare me stesso e la mia realtà. Adesso non ho più vergogna, perché so che il Signore mi è a fianco benché sia peccatore, perché l’amore del Signore è infinito.

Voglio ringraziarvi del sorriso che mi date.

 

DON GIANCARLO: Ti ringraziamo perché capiamo che la conversione non è legata a un momento: è una storia che ci vede in lotta sempre. L’Amore è eterno e ci accompagna, perché provvidenza che provvede a noi: “Io sarò con voi fino alla fine. Per questo non dovete avere paura. Io sono con voi come colui che ha vinto.” Alla stessa stregua il nostro sì deve rinnovarsi continuamente nel tempo. Si chiama “pazienza”. E se ribadita e rinnovata la pazienza diventa perseveranza, cioè una speranza che si prolunga.

Giustamente Antonio parlava di lotta per accettare la malattia e sfidarla. E la sfida  contro quel nemico che per qualcun altro è lo scoramento, per altri sono contraddizioni soggettive o interpersonali. C’è una  fantasia inesauribile su questo! Ma la sfida porta al sì a Lui, ricco di amore: sei con me per tua scelta d’amore, non meritato da me. Da parte mia desidero restare con Te, restituendoti la mia riconoscenza. Tant’è vero che l’iniziativa di Dio è da riconoscere e la riconoscenza nasce dal cogliere uno stadio più profondo di quello impressionistico: la verità di me dato che, come diceva prima Natale, “sei Tu che mi fai”. Sei Tu che mi ami, sei Tu che mi hai voluto e oggi mi vuoi così. Anche se non è facile, il mio sì cerco di dartelo: vieni in mio soccorso, non lasciarmi.

E’ stata bellissima la testimonianza di Antonio.

 

NATALE (Usmate): Non è una cosa così scontata la tua, Antonio. E’ una cosa grande.

 

ANTONIO (Gallarate): Con il dolore entra nel mio cuore il sorriso. È questo che mi dà la forza. Il Signore ha sofferto sul Calvario, ha portato la sua croce nel silenzio; ha sofferto prima di me, per me. Come voi ho sofferto per la perdita di un figlio o figlia. Insieme vogliamo portare con le nostre esperienze un gesto d’amore tra noi, un gesto di sensibilità che ci faccia sentire che non siamo soli; siamo qui per il Signore perché è Lui che ci guida. La vita è un attimo; ciò che conta è donare.

 

TIZIANA (San Lorenzo di Parabiago): La vita è imparare ad amare e non si finisce mai di amare!

 

DON GIANCARLO: Questa giornata è stata ricchissima, però prima di concludere anche con la nostra preghiera, ricordo che il nostro canto ci invita a mettere la mano in quella del Signore.

Adesso qui da noi in parrocchia è in atto la preghiera per i cristiani perseguitati e in particolare quelli dell’Iraq.

La premura educativa dei nostri Vescovi ha voluto sottoporre alla nostra considerazione la situazione dei cristiani in Iraq, fissando questo 21 novembre come giornata di preghiera, di attenzione per questi fratelli la cui vita non è serena: sono odiati, uccisi, braccati, cacciati dalle loro case e posti di lavoro solo per questa infamia: sono cristiani. “Sarete odiati da tutti a causa del mio nome”: l’ha detto Gesù. E lo sappiano da sempre: da quando la Chiesa è nata e dove la Chiesa non è camuffata, la persecuzione dell’anticristo, di satana, si incarna in uomini, in sistemi, in ideologie, che portano alla persecuzione dei discepoli di Cristo, come sta avvenendo in Iraq e in altre parti del mondo.

 “Cristo – ha affermato padre Ravel Gani prima di essere ucciso - con il suo amore senza fine sfida il male e ci tiene uniti; attraverso l’Eucarestia ci dona la vita che i terroristi cercano di toglierci.”

E il Vescovo caldeo di Mossul, successore del Vescovo martire ucciso nel 2008, scrive: “La mia missione pastorale consiste nel mostrare che non bisogna avere paura della morte. Ma per non avere paura della morte bisogna sapere come vivere. Di fronte a questa gente che soffre da sette anni è importante mostrare loro come possono vivere.”

Uniti quindi ai cristiani perseguitati, recitiamo Il Padre nostro del breviario caldeo:

“Padre nostro invisibile che sei nei cieli, sia santificato in noi il Tuo nome

perché Tu ci hai santificato attraverso il Tuo Spirito Santo.

Venga su di noi il Tuo Regno, Regno promesso agli amanti del Tuo Amore.

La Tua forza e le Tue benevolenze riposino sui tuoi servi qui nel Mistero e là nella Tua Misericordia.

Dalla tua tavola inesauribile dona il cibo alla nostra indigenza.

E accordaci la remissione delle colpe perché tu conosci la nostra debolezza.

Noi ti preghiamo: salva coloro che hai plasmato e liberali dal maligno che cerca di divorare.

A Te appartengono il Regno e la potenza. Non privare della Tua bontà i Tuoi Santi”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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