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Incontro del 19/09/2010

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19 SETTEMBRE 2010

Il luogo dell’incontro

L’uomo ha bisogno per diventare se stesso di un luogo cioè di una relazione con altri, perché il luogo è fatto di persone che vivono, diventano segno, ponte verso il significato ultimo del vivere.

 

NATALE (Usmate): Un saluto a tutti voi dopo la ripresa estiva, e in particolare a quanti per la prima volta sono qui con noi, perché anch’essi, come noi, sono stati colpiti dalla perdita di un figlio. Il nostro intento è di esservi vicini condividendo il vostro dolore: sarà poi il buon Dio a indicarvi la strada per dare un senso autentico alla vostra sofferenza.

Ecco, riprendiamo partendo soprattutto dalle esperienze che abbiamo vissuto durante le vacanze.  Alcuni di noi  hanno condiviso 15 giorni in Puglia, con don Giancarlo; altri hanno condiviso una settimana, o alcuni giorni, al Meeting di Rimini. Il Meeting, per chi non lo sa, è un momento particolare dell’anno che amici di Comunione e Liberazione da molti anni organizzano durante il periodo di vacanza, a fine agosto, nella Fiera di Rimini. Durante questo  periodo vengono allestite diverse mostre e soprattutto vi sono incontri culturali di grande  livello. Io frequento il Meeting da 15 anni; lo sperimento sempre come un’avvincente novità che mi fa tornare a casa con il cuore pieno. Vi invito a partecipare!

 

DON GIANCARLO:  Abbiamo voluto riprendere questa occasione d’incontro da quando con il pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese e la Messa conclusiva, divenuta ormai tradizione, abbiamo lasciato i nostri incontri mensili per iniziare il periodo estivo, ciascuno con la propria vita famigliare, le sue vacanze, i suoi crucci, le sue gioie. Anche oggi ho sentito confidenze da parte di alcuni di voi. Ecco, il rendere altri partecipi di pezzi di strada o di esperienza che hanno contrassegnato in modo costruttivo la nostra vita in particolari periodi dell’anno, è confortante, gratificante per  gli amici della nostra compagnia. E’ senz’altro un dono che evidenzia la libertà, ormai, di un’amicizia fraterna. Infatti con alcuni dei presenti, sono 16-17 anni che si è insieme, anche in situazioni dure, magari con gravi problemi - penso a malattie, a perdite di persone care o anche  a altre difficoltà che hanno intristito il cuore per aspetti che hanno riguardato la vita non solo personale, ma anche quella di quartiere, di paese, della propria Chiesa locale, di gruppo o di movimenti di appartenenza, e che magari hanno aperto domande non ancora risolte.  In questi ultimi giorni mi sono capitati incontri con persone che mi hanno confidato cose terribili, che ancora una volta mi hanno portato alla consapevolezza che c’è in giro troppo dolore irrisolto! E il dolore irrisolto diventa sterile; è come una realtà che morde il cuore, morde l’umano logorandolo e facendolo a pezzi. Mi accorgo che con queste persone, nel tempo - non c’è mai nulla di immediato , di magico -, ci possono essere giri di boa, di rinascita, quando c’è una luce che sorprende, un incontro che fai e che placa, libera, mette insieme pezzi di storie che a frammenti sono andate lontano. Ma sono poche le persone a cui è dato di imbattersi e di trovare non tecniche risolutive, ma condivisione di vita con dei testimoni che offrono risposte, spunti con cui la libertà, l’intelligenza, la sensibilità umana devono cominciare a paragonarsi.

Nei mesi estivi, da quando ci siamo lasciati con il pellegrinaggio al Sacro Monte di Varese, possono essere accadute tante cose belle, ma anche problematiche e dolorose. Non si abbia paura a metterle in comune. Non siamo  qui da adulti curiosi di ascoltare vite altrui; siamo qui come amici.

 

MARISA (Busto Arsizio): In queste vacanze ho potuto avere l’occasione per un incontro più umano, più vero con mia sorella, in occasione del matrimonio di mio nipote. Da quando è morto mio figlio Mirko i rapporti si erano un po’ raffreddati: c’era in lei un certo timore ad avvicinarmi, dato il paragone che lei stessa faceva tra Mirko e suo figlio. Ora invece l’incontro con mio nipote e con mia sorella in occasione delle nozze ha rinsaldato i nostri rapporti. Mi è piaciuto il fatto che quanto è stato risparmiato per l’acquisto delle tradizionali bomboniere sia stato devoluto a studenti poveri per l’iscrizione all’università. Durante la celebrazione del matrimonio il sacerdote ha proferito una frase che mi ha particolarmente colpita: “E’ necessario che ogni persona trovi un luogo dove possa esprimere il meglio di sé”. E’quanto auguro a tutti noi, malgrado la perdita dei nostri figli.

 

MARCELLO (Busto Arsizio): Riallacciandomi a quanto ha detto mia moglie Marisa sulla necessità di trovare un luogo dove poter esprimere il meglio di noi, devo riconoscere che per una settimana lo stand di Famiglie in Cammino al Meeting di Rimini ha rappresentato per me questo luogo. Lì ho potuto incontrare o reincontrare persone con cui condividere la nostra esperienza, a cui dare una parola di speranza. Di fronte alla perdita di un figlio non ci sono risposte che possano soddisfare la nostra persona, ma possiamo avere un grande aiuto dalla fede, dalla vicinanza a Cristo.

Insomma, ho visto persone che ci hanno salutato lasciandoci con un sorriso, perché nessuno di noi che era allo stand, nel piccolo stand di Famiglie in Cammino, raccontava storie o  raccontava se stesso con lacrime o peggio con un muso lungo. Il nostro era un dialogo accompagnato da un sorriso, il che spiazzava molti, dando  loro un fondato motivo di speranza. La nostra sincerità in quello che raccontiamo fa trasparire un qualcosa di più grande.

 

GIUSEPPE (Milano): Quest’anno ho trascorso parte del periodo estivo con gli amici di Famiglie in Cammino sia in Puglia, ad Alezio presso Gallipoli, un luogo dal punto di vista paesaggistico stupendo e che consiglio, sia al Meeting di Rimini. Ciò ha significato non solo una bellissima esperienza di incontro tra di noi, ma anche con altri.

E’stata una vacanza amichevole e arricchente. Tra gli incontri che qualificano ciò che tu puoi fare per una persona, mi ha colpito particolarmente quello che ho avuto presso il nostro stand di “Famiglie in cammino” con una mamma, Licia, con cui ci accomuna la perdita di un figlio. Osservando i nostri cartelloni esposti allo stand, sottolineava con il dito la mia testimonianza riportata in uno di essi. In quel testo avevo fatto notare come la cosa più brutta, allorquando si  perde un figlio, sta soprattutto nel credere di non avere più un futuro, dato che i figli sono il nostro futuro. Cambia anche il modo di percepire fisicamente il tempo: c’è l’ieri, l’oggi, ma il futuro non c’è più! Si perde la speranza e con essa qualsiasi voglia di vivere. Per quanto mi riguarda, l’incontro con i volti e le persone di Famiglie in Cammino mi hanno invece ridato la speranza, mi hanno insegnato attraverso la preghiera un altro modo per stare vicino a mio figlio Matteo. Allorquando mi sono presentato a questa donna, Licia, dicendole di essere io stesso, quale papà di Matteo, colui che ha detto la frase che stava leggendo, ho visto i suoi occhi illuminarsi. Per una decina di minuti  mi ha preso le mani; in pratica era come se i suoi occhi, le sue mani volessero dire: “Dammi per favore quella speranza che tu hai trovato e che io sto cercando!”. Poi ho saputo che questa donna aveva perso una figlia di venti anni a causa di un’inguaribile malattia, una leucemia che le aveva procurato grossissimi problemi. Problemi che lei, Licia, aveva dovuto affrontare da sola, in quanto anche il marito, non essendo stato capace di starle vicino, l’aveva lasciata. Ciò malgrado, ho visto in lei il germe della speranza: ora non è più sola, perché un gruppo del Movimento di CL l’ha presa quasi in carico, aiutandola a non naufragare nella disperazione. Le ho quindi spiegato chi siamo noi e che cosa stiamo facendo. Tenendo le mie mani strette alle sue, come fossimo fratello e sorella, ho percepito che lei riusciva a sentire la condivisione del suo dolore; di conseguenza riusciva a trovare un minimo di speranza malgrado la tragedia che le era capitata. Poi naturalmente l’ho messa in contatto con i nostri amici di Rimini che mi hanno assicurato che l’avrebbero seguita e invitata agli incontri mensili.

Come dicevo, questo e altri sono incontri che qualificano il tempo trascorso; non importa la lunghezza, ciò che importa è il riuscire a condividere con altri la nostra speranza, contribuendo a rasserenare chi abbiamo incontrato.

 

GIUSEPPE (Busto Arsizio):  Sono d’accordo con Giuseppe. Sono anni che trascorriamo insieme le vacanze: è un’occasione di incontro bellissima, anche perché abbiamo con noi don Giancarlo, con cui giornalmente partecipiamo alla Messa e alla scuola di comunità.

Peccato però che facciamo in pochi questa esperienza. Vorrei dirvi venite, perché è veramente bello. Ovunque siamo stati abbiamo lasciato un motivo di speranza a quanti ci hanno incontrati. 

 

UNA MAMMA: Per ragioni di lavoro o altro non sempre è possibile seguire questo suggerimento. Voglio però raccontarvi una situazione molto triste capitatami una decina di giorni fa. Una mia conoscente ha perso un figlio, purtroppo nelle stesse circostanze in cui ha trovato la morte mio figlio: stessa autostrada, con la moto e così via.

Ma questa  mamma non ha più il marito da tredici anni. Io  mi ero ripromessa di andarla a trovare,

di avvicinarla per portarle una parola di conforto e anche per parlarle del nostro gruppo, ma sinceramente non ho ancora avuto la forza, perché ritengo sia ancora presto, dato che c’è una forte ribellione in lei e perché so che deve affrontare tutto senza l’aiuto del marito. Io stessa, se non avessi avuto la vicinanza di mio marito, non so se avrei reagito così come ho reagito. Io e mio marito abbiamo pregato insieme soprattutto la Madonna: mi sono buttata nelle braccia della Mamma Celeste e per un mese abbiamo recitato il Rosario tutti i giorni presso una cappellina che si trova  in una località isolata di montagna. Supplicavo la Madonna  di tenere mio figlio Marco tra le sue braccia e di tamponare quelle mancanze d’amore che alle volte noi genitori, senza volerlo, facciamo. Addirittura chiedevo misericordia per gli eventuali peccati, mancanze di mio figlio provocati anche dalla nostra incapacità di educarlo bene, di educarlo alla fede.

 

NATALE (Usmate): Posso raccontare un fatto che mi è accaduto presso lo stand di Famiglie in Cammino al Meeting di Rimini. E’ venuto un ragazzo a trovarmi con il quale ci eravamo sentiti questa primavera, dopo averlo conosciuto in un momento particolare per una testimonianza nella sua  parrocchia. Mi aveva chiamato una sera disperato dicendomi: “ Natale, non so cosa fare. E’ mancato un amico, cosa faccio?”.  Gli ho parlato della mia disponibilità, invitandolo a proporre ai genitori dell’amico un incontro con  noi. Non è stato possibile realizzarlo, ma quel ragazzo ha cominciato a frequentare questa famiglia, che oggi è supportata da dieci ragazzi, da dieci amici che le stanno vicino.

 

DON GIANCARLO: Questa è la conferma di quanto alcuni di voi, nei primi interventi, hanno evidenziato affermando che l’uomo ha bisogno di un luogo in cui vivere, in cui mettere radici per non sentirsi solo ma condiviso, amato, sostenuto. E il luogo non è tanto una località geografica; il luogo sono innanzitutto delle persone che possono trasmettere una risposta che illumina, conforta, dà forza.

 

NICOLETTA (Varese): E questo luogo per me è coinciso con la famiglia Macchi, che ringrazio pubblicamente. Ho conosciuto Paola, ho conosciuto  Giorgio: con loro sono venuta qui. La prima volta è stato un disastro; mi sono detta: io piango e loro hanno sempre il sorriso sulle labbra; questo loro atteggiamento mi è sembrato una brutta cosa. Ho quindi deciso che non sarei andata più. Tuttavia, tornando a casa, mi è venuta un’illuminazione. Mi sono chiesta: se loro hanno ritrovato il sorriso, qualcosa ci deve essere in quel gruppo; perché io non devo trovare quella serenità che loro sperimentano? E così sono trascorsi sedici anni da quella prima volta e sono ancora qui. Ho constatato che in loro quel sorriso era espressione di un’autentica speranza.

Così mi rivolgo a te mamma, che temi di incontrare quella conoscente che da poco ha perso anch’essa un figlio. Ti dico di non abbandonarla. Ti consiglio di cominciare a incontrarla in punta di piedi per dirle semplicemente che tu ci sei; puoi darle il tuo numero di telefono, così che, quando lo desidererà, ti possa chiamare.

 

BRUNA (Milano): Anch’io questa settimana sono andata al funerale di un giovane, che è morto in un incidente con la moto, figlio di una mia amica. Mi riprometto di andare a trovarla anche per parlarle del nostro gruppo. Anche lei è al corrente di quanto mi è accaduto. Inoltre, il figlio ha lasciato la fidanzata in stato interessante. Io mi sono detta che è una cosa bellissima: avessi avuto anch’io il dono di un figlio di Dario! Altri lo ritengono invece qualcosa di non bello. Spero di poterla aiutare.

 

GIORGIO (Varese): Sono praticamente vent’anni  che vivo gli incontri di “Famiglie in cammino”. La cosa  che mi ha colpito è la constatazione che le nostre strategie di comportamento, quando  hanno presunto di essere autosufficienti, sono miseramente fallite. La provvidenza del Signore è talmente grande che noi senza il suo aiuto siamo proprio degli incapaci. Dobbiamo essere realisti; non possiamo pensare di risolvere i problemi del mondo, i problemi del dolore, ma dobbiamo cercare di accompagnare i vari amici, che la Provvidenza ha posto sul nostro cammino, in un percorso aperto alla fede, perché comunque noi stessi ci siamo passati. Sappiamo che il problema della perdita di un figlio non è una cosa che si risolve con uno schiocco delle dita: ci vogliono gli anni, i mesi e ogni volta si ripropone il discorso; non è mai finita. La nostra funzione è quella di accompagnare queste persone alla ricerca di una speranza, che dia loro conforto.

Quando tu hai imparato ad accompagnare un altro, in realtà accompagni anche te stesso; risvegli l’umano che è in te, tenendolo vivo, libero dal torpore delle cose; tanto più questo accade quando reincontri dopo molto tempo un amico.

 

ANNA  (Cuggiono): Anche per me ciò che mi ha colpito nel primo impatto con voi è stato il vostro sorriso. Questo mi è parso una cosa strana, che mi lascia ancora un po’ perplessa. Come si può arrivare a sorridere quando si è di fronte a un dramma, che porta con sè un dolore grandissimo? Penso comunque che è una cosa positiva il trovarsi a parlare, condividendo il proprio vissuto, la propria sofferenza.

 

DON GIANCARLO:  Sapete tutti -  non è necessario spiegare – come lo strappo per la perdita di un figlio sia molto gravoso. Mi riferisco al caso di un figlio improvvisamente scomparso per un incidente, ma ognuno ha il proprio caso per cui soffrire. A tutti rivolgo l’invito di non chiudersi in se stessi come in una botola che congela o impedisce l’apertura di una variegata relazione che invece potrebbe entrare nel vivo del cammino del vostro cuore, portatrice di una promessa di pace, di cambiamento come alcuni hanno anche evidenziato oggi.

 

UN PAPA’:  Mi sento particolarmente coinvolto, perché anche mio figlio ha avuto un incidente in moto. E’ uscito una sera  e all’una ho appreso la notizia dall’ospedale che per mio figlio non c’era più nulla da fare. La cosa che ho colto la prima volta che sono venuto qui è proprio l’atmosfera di bene che caratterizza questi incontri. Mi sono chiesto se ci fosse una sorta di trucco: non riuscivo a capire perché queste persone mi volessero bene, e invece era proprio così! Qui si percorre un cammino che ti permette veramente di vedere in modo positivo quello che ti è accaduto. La croce, il dolore rimangono, ma il modo con cui ti relazioni con questo fatto è notevole, perché capisci che il Signore ti sta chiedendo delle cose importanti e, passando il tempo, capisci anche perché Lui ti  vuole bene. Se posso riassumere quello che è stata la mia esperienza, dico questo:  è proprio una continua elargizione d’amore che mi ha permesso di diventare un altro e poi di dare agli altri quello che ho ricevuto. Ci sono veramente tante persone che abbiamo incontrato nel nostro cammino che hanno subito storie terribili. Devo dire grazie a questo gruppo: avendo ricevuto tantissimo, mi sono sentito in dovere di restituire quello che avevo ricevuto in quelle occasioni di incontro che la Provvidenza mi ha messo davanti.

Trovandomi, ad esempio, a Medjugorie, ho incontrato una mamma che aveva perso la figlia a causa della leucemia. Sedendomi vicino a lei ho avuto modo di parlarle della mia esperienza. Alla fine è andata via rasserenata.

Il Signore ti usa, anche se questo termine può sembrare una brutta parola; praticamente diventi uno strumento nelle sue mani per portare un messaggio di speranza, che è la cosa che più ti aiuta.

Aiutando gli altri di fatto aiuti te stesso. Io credo che questa sia la scommessa del nostro Gruppo: fare della nostra croce un motivo di salvezza.

 

 GABRIELLA (Gallarate):  Anch’io sono stata aiutata da questa fede. L’essere andata a Medjugorie per anni, prima ancora della morte di mio figlio Marco, è stato molto utile: la Madonna mi ha preparata a quanto mi è accaduto. Forse sembrerò folle, ma io ho sentito di dover ringraziare Dio per aver avuto Marco per ventotto anni. E’ stato un dono splendido e poi Marco vive ancora,  perché, come ha detto la Madonna apparsa alla Veggente,  la morte è un passaggio nella terra dei viventi, dove anche i nostri cari sono vivi. Allora mi sono detta: Marco mi vede! Dovrà trovare, seppur con tante cadute che ancora faccio, una mamma migliore di quella che ha lasciato. So che non è facile: lui, che in terra era allegro, pieno di vita, con tantissimi amici, non vuole vedermi triste. Poiché era una persona piena di gioia, piena di amore, anch’io dovrò - può sembrare assurdo -

cercare di essere serena, di amare vita. Dobbiamo percorrere il nostro cammino dando amore e facendo felici gli altri, così che, al termine della vita, quando i nostri figli ci verranno incontro, possano dirci: brava mamma, bravo papà! Ecco, io spero che il mio Marco possa dirmi così.

Non so cosa don Giancarlo pensi, ma io credo che, essendo Dio amore, i nostri figli siano nell’amore e noi dobbiamo in un certo senso imitarli con la nostra gioia di vivere, facendo il bene, cercando di essere delle persone migliori, imparando a rialzarci quando cadiamo.

 

DON GIANCARLO:  Hai espresso  in termini e con un lessico  materno,  semplice, quello che la

teologia esprime con linguaggio appropriato, teologico, biblico.

Possiamo commentare l’intervento di Gabriella e quelli a lei precedenti con la nostra preghiera, con cui ci rivolgiamo direttamente ai nostri figli. Essi sono vivi, ci guardano: il loro desiderio è che da parte nostra si viva in pienezza l’umano, nella speranza che è certezza di un già e apertura al non ancora, che però contiene la promessa del compimento.

Adesso ci sei vicino  - leggiamo nella nostra preghiera rivolgendoci direttamente al nostro figlio/a - in modo diverso da prima: è la presenza legata alla comunione dei santi. E’ quanto insegna la teologia cattolica sulla base del messaggio evangelico: c’è una Chiesa in cammino, pellegrina nella valle di lacrime, e c’è una Chiesa dei santi, dei beati che in Dio godono la pienezza di vita e sono patroni, mediatori e intercessori per noi presso la Trinità, perché la pienezza che godono sia riversata su di noi da diventarne partecipi.

Adesso ci sei vicino in modo diverso da prima: ma quella di adesso è una vicinanza infinitamente più potente, più feconda di quella di prima. Qui sta il tocco della Grazia, questo è il miracolo.

E ci guardi con la stessa pietà: la pietà, la “pietas”, a cui qui si fa riferimento non ha il significato riduttivo del “mi fai compassione”; è invece quella della Pietà di Michelangelo, è quella di Maria Addolorata che ha tra le braccia, sulle ginocchia, il figlio. C’è la tenerezza materna, paterna che trasuda tutto quello che la parola paternità, maternità ha non in termini filosofici ma nella sperimentazione concreta del vissuto.

 E ci guardi con la stessa pietà e con lo stesso sguardo di Colui in cui sei. Quando i nostri figli erano qui con noi, ci guardavano con lo stesso sguardo terreno, umano. Adesso ci guardano con lo sguardo di Dio che è una sguardo onnicomprensivo, che ha come connotazione il presente proiettato sulla definitività. Questa è la prima cosa.

La  seconda. A noi è chiesto, a voi per quello che vi è accaduto e a me per la vocazione al sacerdozio che vivo, di portare nella storia del momento presente la luce dell’Eterno, perché siamo in una società che si è accecata e vive la dimensione dell’effimero, che è dimensione che stordisce l’umano, lo istupidisce, lo azzanna e lo massacra. Noi siamo testimoni portatori di speranza e in questo siamo benefattori come testimoni. Benefattori di un portato, di un contributo di cui gli uomini di oggi, soprattutto i più giovani, hanno bisogno più del pane o dei cocktail  con cui nella movida del fine settimana si conciano.

Terza sottolineatura. Oggi è riemerso, sono contento che lo sia, il metodo del cammino: ci siamo ricordati la strada di cui ogni uomo ha struggente e obiettivo bisogno; se la trova si realizza, diventa lui, diventa lei, se non la trova, o incontrandola la rifiuta, si annoia, umanamente si suicida,  anche se continua a vivere da uomo di successo. Come è stato ricordato,  l’uomo ha bisogno per diventare se stesso di un luogo cioè di una relazione con altri, perché il luogo è fatto di persone che vivono, diventano segno e trampolino di lancio, ponte verso il significato ultimo del vivere. L’uomo ha bisogno di imbattersi in persone da cui traspare la presenza umana del Divino, del Definitivo nel precario, di una Presenza che è più grande, perché viene prima di noi e che è tutto, dalla quale dipendiamo e che ci ha resi figli regalandoci la vita del Figlio perché noi avessimo la vita e l’avessimo in sovrabbondanza.

Quarta e ultima cosa. Chi ci incontra così, persone trasparenti del Mistero, prova imbarazzo sempre:

non solo quelli che hanno perso i figli e che vedono altri genitori che li hanno persi ma che hanno

recuperato la gioia di vivere. Tutti provano imbarazzo, perché il diverso da sé sconcerta, scuote, perché è come una botta che ti arriva e che ti mette alle corde. Ma dopo il primo impatto hai il contraccolpo che ti rimette sul ring della vita e siccome il colpo lo hai sentito, sei tu a doverlo decifrare, a chiamarlo con il nome appropriato: qui c’è la fase dell’imbarazzo. L’imbarazzo non è un trucco; è il contraccolpo esistenziale. Poi c’è chi usa l’imbarazzo in modo truccato e quando subentra il trucco si è già aperta la porta della menzogna, quella delle facili illusioni che con le scritture automatiche, con i medium, con le carte e con altre “baggianate” ci conducono a credere  che possa essere lì la soluzione dell’esistenza. Anche tanti psicologi e psicanalisti poco seri possono usare la scossa dell’imbarazzo come trucco per fare esperimenti; ma il soggetto se è ragionevole, se è vivo, se ne accorge. Con l’imbarazzo, che mette nel disagio e fa soffrire, si ha la spinta di andare avanti nella ricerca, a non darsi pace fin quando si trova la risposta che viene sempre da una persona che accoglie e che abbraccia, mettendosi in cammino di vita con te.

 

NATALE  (USMATE): Concludendo,  vi leggo una mail che ci è giunta in questi giorni e che ci dà motivo di gioia e di vita:

“Carissimo Don Giancarlo, noi tutti di “Famiglie in Cammino”, con molta gioia vi partecipiamo  l’arrivo a  nostra figlia, in adozione,  di una bimba di tre anni. Ringraziamo il Signore per questo dono. Purtroppo al primo incontro dell’anno non ci saremo perché saremo a Roma dalla figlia.

Vi ricordiamo sempre con tanto affetto assicurando la nostra unità. Carlo e Carla Beretta”.

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