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Ottobre 2009

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                                                                              RICOMINCIARE DA CRISTO

Milano, 25 ottobre 2009

 

Natale (Usmate): Riprendiamo l’assemblea dalla lettera che avete ricevuto dove ci vengono indicate le domande di aiuto. Stiamo lavorando sul testo di Lepori, Fu invitato anche Gesù, sul quale ci confrontiamo e ci aiutiamo. Partiamo dalle domande.

Vivere di fede implica un affrontare tutto, in particolare le prove: un vivere tutto ripartendo da Cristo presente, che rende la nostra vita più vera, più libera e più sicura nella prova. Diventa più evidente che è perdente partire da noi stessi o da chi ci sta accanto.

 

È già così per te? Da che cosa lo deduci? Come impararlo?

Rispetto a quello che ci viene chiesto implica una conoscenza; implica vivere una vita di fede partendo da un’esperienza che stiamo continuamente portando avanti rispetto al dramma della vita. Questa esperienza di vita ci si ripresenta sempre davanti; non può essere immediatamente risolta, ma si presenta tutti i giorni  quotidianamente.

La seconda domanda  ci porta a ripartire da Cristo, a  diventare suoi testimoni come Marta, che è corsa da Maria dicendole: “Il Maestro è qui e ti chiama!” o come la Madonna, che in occasione del miracolo di Cana ai servitori disse: “Fate quello che lui vi dirà!”

 

Don Giancarlo:  Il testo propone tutta la riflessione con la documentazione di due figure, in particolare quella di Maria che, di fronte alla prova del bisogno, avverte la necessità di interpellare il Figlio: “Non hanno più vino” e che, nonostante la resistenza di Gesù, si rivolge ai camerieri, che non sapevano neppure chi fosse Gesù: “Fate quello che Lui vi dirà”.  Non quello che io  o, in termini di oggi, il maitre o l’organizzazione sindacale o il gruppo dice.

 Poi la figura di Marta e Maria alle prese con il lutto del fratello giovane, sottratto ai loro affetti , mentre sono in corso la prassi e l’andirivieni di persone per il cordoglio.

Appena Marta sa che Gesù è arrivato a Betania, pianta lì tutto e corre da Gesù dicendo: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto…” Però aggiunge subito – e qui capite cosa vuol dire avere speranza, porre la certezza esistenziale in un punto sorgivo che garantisce, che  è fonte dell’impossibile –: “Ma anche adesso so che tutto quello che chiederai al Padre ti sarà dato”.

Non finisce però qui, perché quando poi nel dialogo - penso l’abbiate presente - dove  si  pone il tema della  Risurrezione, cosa  fa Marta?  Va a chiamare la sorella Maria: “Vieni anche tu, perché  Gesù è qui.” Non chiama a sé Maria,  la chiama a Gesù.  Tutta la proposta di queste quindici pagine richiama il metodo, che Gesù ha insegnato ai primi discepoli e che la Chiesa continua a riproporre ai suoi fedeli.

Sempre in tutte le circostanze, ma in particolare in quelle più contraddittorie, più drammatiche, in quelle quelle di fronte alle quali manca il fiato  perché si ha il crollo delle sicurezze, l’unica àncora cui aggrapparsi è questa presenza vivente che Gesù ha promesso :“NON ABBIATE PAURA, io sarò in mezzo a voi sempre”. Sono in mezzo a voi non solo come una presenza che consola, ma sono in mezzo a voi come Colui che ha vinto il maligno, la morte.

Solamente chi può tutto può non far sentire solo chi è solo e impotente; uno che non ha vinto  tutto fa lo sbruffone, fa il millantatore: si spaccia come un di più in rapporto a ciò che è di fatto.

E’ importante lavorare su questi contenuti per diventare più “intelligenti” sulla vita e più umani nel viverla.

Sono due gli effetti del verbo “intelligere”:  il conoscere la vita, il senso del vivere, e poi il cambiamento.

Quel cambiamento che ti fa percepire, riconoscere, puntare sulla Presenza che dà sicurezza.

Io continuo ad incontrare centinaia di persone che spiritualmente “annegano”; fanno anche la Comunione tutti i giorni … Ma cos’è la Fede? E’ semplicemente andare in chiesa? Neanche per sogno!

Sono assediato da persone per le quali la fede non è risposta ai drammi della vita!

Cosa serve andare ai riti ecclesiali, se la fede non dà senso alla vita? Un rito vale l’altro! Il contenuto di questo capitolo, che incomincia con la titolatura: “Attraverso la prova”, ci fa invece meditare sulla prova come verifica e se l’ambito della verifica ci indica la fragilità e la debolezza della nostra fede, ciò non deve scandalizzarci: siamo qui per alimentarla. Dovrebbe invece preoccuparci se anni di cammino, di affidamento al Signore non hanno regalato – perché il dono, i doni ci sono stati – la consistenza al nostro “io”, la certezza al nostro cammino.

Oggi sentiamo dalle testimonianze cosa la vita ci ha permesso di confermare, di scoprire, di approfondire in questo mese. Se nei tentativi coscienti sono emerse domande, fatele! Qualcuno di noi sarà in grado di offrire spunti illuminanti che poi sostengono la speranza che rassicura, la speranza-certezza.

 

Marisa (Busto Arsizio):  Vi porto i saluti di Marcello e il suo scritto.

Marcello (Busto Arsizio):  Per trovare il senso della nostra vita, dopo un così grande dolore, dobbiamo ricominciare ad amare giorno dopo giorno Colui che dall’alto della Croce ci insegna cosa vuol dire speranza e amicizia. E’ diverso lo sguardo di chi parte da Cristo e chi dall’indifferenza.

Nel primo caso c’è una gioia che corrisponde all’esigenza del cuore umano e ci rende testimoni di vita, mentre nel secondo caso si vive senza speranza, senza letizia, in solitudine: fattori che opprimono alla lunga e tolgono il respiro.

 

Marisa (Busto Arsizio) :  E io aggiungo quanto ho letto a pag. 47 nel testo di Lepori:  “L’uomo ha sempre bisogno di ripresa, ha sempre bisogno di ricominciare.”  Qualcuno con la “Q” maiuscola, con cui ricominciare,  è Cristo  e con Lui anche le persone, i vostri volti, ognuno di noi,  anche la vicina di casa, perchè io sono una persona che si dimentica molto spesso, che va in crisi e così via… E poi soprattutto  auguro a me e a tutti voi che possiamo, in questo luogo, incontrare questo “Qualcuno” che ci aiuta a vivere con più letizia.

 

Vito (Milano) :  Vorrei  dire anch’io qualcosa in merito al discorso della prova e come ripartire dopo l’esperienza di prova.  Se tento di fare una valutazione della mia esperienza familiare, di me e Savina, e di come le persone hanno saputo in qualche modo starci vicino nella prova , devo dire che la prova viene vista come una malattia contagiosa dalla quale stare alla larga se possibile.  La gente ti dice: “Ma come, sono passati due mesi, perché non fate un viaggio?”, “Perché non cambi casa?” Come se questo servisse a resettare la vita, seppur breve, di nostro figlio, gli affetti, tutto quello che si pensava di poter costruire. Come tu don Giancarlo ricordavi nell’omelia della Messa, ognuno di noi come genitori pensava di dare al proprio figlio, alla propria figlia, il meglio di quello che poteva  dare e questo umanamente ci sta.

E poi ci sono, ci sta anche – torno indietro ai ricordi di quei primi anni trascorsi dalla morte di Leonardo – la tensione emotiva che sicuramente era molto più lacerante di quanto non lo sia oggi. Qualcuno però mi diceva: “Prega”, ma io testone rispondevo: “Mah, questa ipotesi la lascio un po’ indietro”, perché la sentivo come una contraddizione: a volte mi veniva da pregare a volte no. Ma, per essere sintetico, tutti i tentativi che mi allontanavano da una ricerca della fede in Cristo erano sicuramente fallimentari: non portavano a niente di positivo. Anche il fatto di condividere con altri l’esperienza di fare una pizzata o altro, da sola non serviva. Sì, in quel momento magari ti distraevi, ma neanche più di tanto; poi si ritornava a vivere la difficoltà del dramma senza prospettive, perché in fondo c’è questo, quello che nella mia esperienza ricordo bene: ho già perso i genitori;  se guardo indietro e se guardo avanti mi manca il terreno.

Poi ringrazio il Cielo di avermi permesso, di aver messo sulla mia strada, di avermi fatto conoscere alcune persone di Famiglie in cammino, che pian piano mi hanno dato la dritta: mi hanno fatto capire qual è la visione, qual è la possibilità, l’unica possibilità di vivere questa esperienza, come trasformare l’esperienza di dolore in una prospettiva di vita. Non molti giorni fa parlavo con dei ragazzi e qualcuno mi ha detto: “Ho paura della morte” ed io ho fatto notare: “Alla tua età devi essere ricco di vita. Ma anche  se ti viene quel pensiero, quell’angoscia, pensa che dopo la morte terrena c’è comunque l’inizio di una nuova vita!”. “Ah, io vorrei credere come te!” mi ha a sua volta risposto. “Anche tu prova a pregare. Prova, consigliati con qualche prete anziché andare in giro o solo al bar. E’ giusto divertirsi, ma in un modo più ordinato di come si vede fare oggi .”

Tornando alla mia esperienza, l’unico modo concreto con il quale abbiamo avuto qualche chance, qualche speranza di ritornare a ritrovare una prospettiva di vita, è ripartire da Cristo.

Cristo, vissuto come esperienza di comunità, di missione, di Eucaristia, come catechesi e come gesti e momenti di carità.

Sabato scorso ho fatto un’esperienza bellissima in una cascina di Milano verso il Parco Sud, Parco della Vettobbia, dove c’è una cascina vecchissima recuperata da una suora, che ha pensato di farne un punto di preghiera  e che poi, strada facendo, ha trasformato in un’esperienza di multiculturalità, di multirazzialità.

In questa cascina ci sono cinque piccoli appartamenti dove vengono famiglie straniere dai cinque continenti.  E’ bellissimo vedere bambini e ragazzi che sono come fratelli tra di loro.  Hanno parlato di questa esperienza anche al Palazzo dell’ONU, come di un’esperienza di integrazione culturale multirazziale.

Ho potuto partecipare a un pranzo, anche questo multietnico, con un riso eritreo piccantissimo: ho trovato molto simpatica anche questa esperienza. Dove ci sono la presenza e il desiderio di edificare la Chiesa, nascono davvero delle cose straordinarie!

 

Don Giancarlo:  In un passaggio, che hai fatto, mi hai fatto venire un’ispirazione: non vorrei che quel metodo – la parola metodo vuol dire strada – che ha aiutato e sta aiutando noi a accettare, a crescere dentro la prova, perché, come hai detto, hai avuto la grazia di fare degli incontri con certe persone; ecco non vorrei che dimenticassimo questo quando altri incontrano noi.

Il  metodo non è quello di indicare centri specializzati, persone,  gruppi - che esistono -  ma che non sono tu!

Se il Signore mette sul tuo cammino qualcuno, è perché ha dato a te le risorse per diventare samaritano e compagno di strada, per affidare a te una missione che, qualora è vissuta, fa crescere perché educa al dono di sé, all’interesse alla persona .

Se Dio vuole che tutti gli  uomini siano salvi, lo vuole dopo l’incarnazione attraverso il metodo dell’umano: il divino lo si incontra attraverso l’umano; se il Padre Eterno ha fatto incontrare a te una persona, sei tu che te ne fai carico.

Certo non da solo, perché poi avendo amici, ambiti, possibilità di gesti, di esperienze ecc.,  la coinvolgi in quella scuola di vita,  in cui ciascuno ha sperimentato come rinnovatrice della sua speranza, come solutrice, magari di un orizzonte cupo,  la fine con il comparire di un pertugio di luce.

Questo teniamolo presente per le due ragioni che ho detto.

Se il Padre Eterno fa incontrare a uno piuttosto che a un altro delle persone e delle situazioni, è perché le affida a te, non li affida alla Chiesa: le affida a te. Sei tu poi l’interprete, il testimone, lo strumento di un lavorio, di un accompagnamento, di un inserimento nell’ambito più grande che è la tua famiglia, la famiglia dei tuoi amici, il gruppo, la parrocchia, il Movimento,  l’associazione ecc.

E l’altra ragione è:  se tu ti assumi questa missione, cresci!

 

Savina (Milano):  Viviamo in un mondo di cristiani stanchi. Stanchi perché viviamo in un mondo  che tutto fa per distogliere il nostro pensiero da quello che è l’essenziale. Purtroppo la quotidianità stessa, il martirio della quotidianità stessa, ci distrae da tante cose; ma noi abbiamo avuto un’illuminazione, una luce che dobbiamo portare agli altri. Questo è il nostro dovere.

Il nostro dovere è proprio quello, più del prete, perché siamo negli uffici, nelle scuole, in contesti dove il prete non può esserci. Dobbiamo proprio portare questa luce e dire a chi incontriamo: “Coraggio, alzati, perché Cristo ti sta chiamando”. Ma questa chiamata deve partire da noi, altrimenti diventiamo semplicemente persone che assolvono al  rito di andare in chiesa la domenica, ma che poi non  portano la loro testimonianza  e sono incapaci di illuminare con la loro fede gli altri, per paura poi di essere segnati come dei bigotti.

Invece questo è sbagliatissimo : dobbiamo essere discepoli di Cristo, pronti a difendere la Chiesa. Dove lavoro sento le solite frasi: “La Chiesa… però i preti pedofili…” Io rispondo che non vogliono impegnarsi, che si nascondono dietro a queste frasi fatte: “Non posso abbandonare – faccio comunque notare -  mia madre che è la Chiesa solo perché ha un vestito vecchio, rotto… E’ sempre mia madre!”.

Il nostro compito, sempre, è quello di portare questa luce, di portare questo messaggio perché siamo stati illuminati da Lui che ci ha chiamato, si è fatto riconoscere e trovare da noi. Non basta andare solo in chiesa senza portare nessun frutto: quelli che sono nelle tenebre devono vedere in noi la luce.  Il nostro compito è proprio questo:  far vedere la luce alle persone che sono nelle tenebre, come lo siamo stati noi.

Altrimenti diventiamo dei cristiani di batteria che alla fine dei conti non servono a niente, capaci solo di lamentars,i  di rimanere chiusi in se stessi con le  proprie lamentele. Invece chi è ancora nelle tenebre deve poter  vedere in noi  il discepolo che dice: “Coraggio, alzati: il Signore ti chiama!”.

Carla (Milano):  La presenza del Signore c’è per un dono nella nostra famiglia, tra di noi.

Questa presenza ci fa essere speranza anche per gli altri. Proprio fra di noi, almeno per me, fa molto bene chiedere questa esperienza attraverso la preghiera:  io vedo quanto è bello alla sera, dopo una giornata intensa, raccoglierci un quarto d’ora, venti minuti per il Rosario assieme.

E’ un momento di pace. Dopo inevitabilmente, finito il Rosario, vengono anche qualche confronto e qualche esortazione per il giorno dopo.  Mi pare di avvertire la presenza di Gesù.

 

Don Giancarlo:  E’ stare davanti accorgendosi che Lui è lì: “Dove due o più sono insieme nel mio nome, Io sono lì con loro. Sto alla porta del tuo cuore e busso: se tu mi apri entro, mi siedo a tavola con te.”

E’ l’idea della presenza commensale, della presenza che si vuole ospitare perché è il Signore, è tutto!

E’ educarsi nel tempo attraverso l’esercizio della preghiera; educarsi alle pratiche di pietà dentro una regolarità e anche all’interno di una varietà, perché un conto è il Sacramento, un conto è la meditazione della Sacra Scrittura o sotto forma di Lectio divina o sotto forma di gruppo di ascolto; un conto è il Rosario o la Via Crucis, un conto è la giaculatoria, l’Ufficio delle Letture, la lettura della biografia di qualche Santo, ecc.

C’è un’articolazione, ma il filo conduttore che accomuna tutte queste possibilità – perché sono possibilità non doveri –  è la preghiera; le possibilità sono regali perché dove è nata una possibilità vuol dire che c’è stato qualcuno  che nella storia l’ha inventata , l’ha riconosciuta per lui e poi per tutti.

Tu sei uno dei fruitori e delle fruitrici. Dove sono in corso delle possibilità sono in atto dei suggerimenti  e dei doni; ma il comune denominatore che aiuta tutti a stare in comunione con il Signore, a intrattenersi con Lui, a fargli compagnia perché Lui si rende compagno (“Sarò con voi sempre!”), è la preghiera.

Ma quando la preghiera perde questa fisionomia di amore e di gratuità, diventa forma, diventa dovere.

Sappiamo tutti, posti di fronte ai doveri, soprattutto se cominciano a pesare, quale sia la dinamica del cuore: “Dopo,  prima devo finire!”.  E il dopo non si concretizza mai!

Se cambia la visuale, dal dovere si passa invece all’amorevolezza dello stare insieme, del darsi spazio l’uno per l’altro perché ci si vuole bene come  nelle stagioni migliori della vita.

Ho voluto riprendere questa considerazione perché dobbiamo aiutarci. Lo ricordava prima Marisa: c’è bisogno di uomini che si ricordino che c’è sempre bisogno di ripresa, di inizio nella vita e di uomini che ci ricordino questa urgenza e questo metodo.

C’è bisogno di persone che comunichino letizia. E chi comunica letizia? Chi è ricco, chi è pieno di quella presenza che è l’unica che ci dice: “State lieti perché Io sono con voi, non abbiate più paura di nulla”.

 

Raimonda (Milano):  Volevo dire una cosa che ho pensato in questi ultimi anni.  Sono convinta che sia importante richiamarci sempre a questa speranza. E’ importante che ciascuno preghi anche per tutti noi quando può, quando vuole, quando desidera nelle varie occasioni.

Nel mio caso io non lavoro, sono casalinga. Ho tanto tempo per pregare, per  pensare un po’ a tutti voi, ai nostri  cari, alle persone in difficoltà e quindi “mi scappano” tante preghiere, perché io credo che sia il modo per intercedere per gli altri, per chiedere aiuto al Signore che stia vicino e che porti la felicità, la serenità nel cuore.

Devo dire che ho tanta fiducia nella preghiera che  faccio abitualmente, quando posso e come posso nella mia limitatezza, perché, certo, non sono una santa che prega, ma sono  comunque una persona che  si preoccupa della sorte di tutti i nostri cari, di tutti noi che per me siete come una famiglia allargata.

Devo tutto ciò a un’esperienza che ho fatto quando è mancato mio figlio Leonardo.

Io ricordo che con mio marito sono andata a fissare il funerale in chiesa. Era il giorno dopo la sua morte; poi in realtà il funerale è avvenuto un po’ di giorni dopo  in un’altra chiesa, quella del Gonzaga. Per l’occasione ho parlato con un frate e questo frate ha cercato di richiamarci alla fede, ha cercato di rincuorarci, di dirci delle parole di fede.

Non sapevamo cosa avesse poi fatto dopo questo nostro incontro.

In realtà Il frate era corso da una signora, che era a letto da quarant’anni handicappata e che si era dedicata tanto  alla parrocchia; tutti si rivolgevano a lei e lei pregava  per tutti i loro bisogni.

Io non lo sapevo, era da poco che risiedevo in questa parrocchia e non la conoscevo. Il frate un’ora dopo il nostro incontro andò da questa signora, di nome Bruna, che è mancata qualche anno fa, per raccomandarci a lei.

Questa signora aveva una sorella che prestava servizio in parrocchia alla mensa dei poveri.  Dopo qualche mese sono stata invitata ad andare a fare un po’ di volontariato in questa mensa.  Come jolly  capitavo con gruppi diversi e  di conseguenza con diverse mamme di famiglia che facevano da mangiare.  Un giorno sono capitata con  la sorella di Bruna.  Mi ricordo che, mentre ci si presentava , le ho serenamente raccontato la mia esperienza .

Non mi sono mai disperata, mi sono aggrappata alla Fede, ho avuto tanti bravi sacerdoti che mi hanno aiutato. Non c’era ancora Famiglie in Cammino, ma ho avuto qualcuno che mi indicava il Signore, che mi richiamava ad aggrapparmi e ad appoggiarmi a Lui.

Questa signora, ricordo, è rimasta incantata: mi ha chiesto chi eravamo e come stavamo. Io le ho raccontato che, malgrado il nostro dolore per la scomparsa di Leonardo,  non  avevamo perduto la Fede: sapevamo che nostro figlio era sicuramente nelle mani del Signore, che l’avremmo reincontrato e che la nostra vita aveva senso lo stesso.

Di fronte a questa mia testimonianza di fede e di speranza, questa signora ha ringraziato e lodato il Signore pubblicamente dicendo: “Sono felice. Lo dirò questa sera a mia sorella perché lei sta pregando per voi dal giorno in cui avete parlato con padre Bruno della morte di vostro figlio. Mia sorella sta pregando tutti i giorni per voi: vi è vicina  e si continua a chiedere che ne sarà di queste persone, cosa sarà successo di loro. Io vedo che tu sei serena e mi dici che lo è anche tuo marito. Andrò  a ringraziare il Signore anche con lei”.

Sono rimasta di stucco, piena di gratitudine per quello che era successo.  Mi era sembrato che questo frate fosse sì bravo, ma di poche parole e che poi ci avesse lasciato un po’ per conto nostro; invece aveva fatto una cosa preziosissima.  La preghiera al Signore di questa Bruna, che ha aiutato tantissimo molti altri casi difficili, per me è stata fondamentale.

Da quel giorno io credo nella potenza della preghiera. A me veniva un tempo da pensare: sono troppo poco brava, poco meritoria, sono piena  di difetti; come farà il Signore ad ascoltare la mia preghiera, quando mai sarà efficace?

Da quel momento  penso invece che se il Signore ha ascoltato una preghiera, quella di Bruna, vale la pena che, malgrado i miei difetti,  anch’io lo faccia per tutti gli altri.

E’ importantissimo accompagnare tutto con la preghiera.  Tante volte, prima di incontrare persone che ci è sono state segnalate perchè hanno perso un figlio, io prego dicendo: “Signore, prepara la strada, prepara il cuore di queste persone. Metti sulla mia bocca delle parole che tu vorresti che siano proferite. Prepara e conduci queste persone  nell’ incontro che sto per  fare, precedimi!”

Posso dire che credo proprio nella potenza della preghiera oltre alla  diretta parola che noi possiamo dire, al sorriso, all’affetto se lo possiamo dimostrare, e così via.

 

Don Giancarlo:   E’ quello che anche il testo di Lepori ribadisce a pag. 46 in fondo e all’inizio di pag. 47: “Per andare avanti nella vita di fede, per portare a compimento la propria vocazione, per compiere la propria missione, quindi anche per vivere la forma di vita matrimoniale e familiare, è proprio importante imparare a vivere i sacramenti, gli incontri fra di noi, la preghiera personale o comunitaria, per esempio il Rosario, ecc., come tante occasioni e momenti in cui ci è donato e chiesto di ripartire da Cristo. E’ il segreto di un’energia di vita, di una letizia nel vivere, di una pace attraverso tutto, che altrimenti sono impossibili, perché impossibili all’uomo solo.”

 

Maria (Arcore):  Vado avanti a leggere a pag. 47 l’altro capoverso che a me interessa molto: “Anche la prova, la malattia, un periodo di crisi - che a me capita spesso -personale o di coppia, un periodo di difficoltà sul lavoro o altro, anche queste sono circostanze nelle quali il Signore ci chiede e ci dona di ripartire da lui, perché in queste circostanze diventa più chiaro alla nostra coscienza che non possiamo ripartire da noi stessi, né da chi ci sta accanto”.

E questo l’ho sperimentato in questi mesi che mi è stato chiesto di aiutare un frate, padre Giancarlo, nei suoi lavori. Tanti giorni con difficoltà, però non dico mai di no, dico sempre di sì!

Quel  sì da chi deriva? Penso che arrivi da Lui. Al mattino quando mi alzo accendo Radio Maria: prima c’è il Rosario poi ci sono le Lodi… è una fortuna!

Così come questa estate ho fatto delle ferie bellissime all’Isola d’Elba con gli amici di Famiglie in cammino, che non dimenticherò mai. Negli spostamenti in auto qualcuno diceva il Rosario. Porto sempre con me la corona del Rosario, perché da quando sono stata all’Isola d’Elba, tutte le sere recito questa preghiera.

Voglio ringraziare in particolare il nostro don Giancarlo, perché è lui che mi ha educato a questo. Prima dicevo le solite preghiere alla sera, ma a partire da quelle vacanze il Rosario per me è diventato molto importante.

 

Giorgio M. (Varese):  Mi riallaccio al discorso di Maria in merito alle vacanze sull’Isola d’Elba. Volevo sottolineare come è stato importante  questo tipo di vacanza, così come  quella trascorsa l’anno scorso in Sardegna con diverse famiglie.  Nella nostra testa tante volte si ha lo schema: “Vado lì con queste persone, con Don Giancarlo…” e così uno ha già spento la vacanza prima di partire.

Però poi quando sei lì, si valorizza tutto. Per me quest’anno è stato molto importante, perché nonostante fossero passati 22 anni dalla morte di Lidia, ero su una certa idea e su una certa posizione, ma uno di noi ha ribaltato questa certezza, questa modalità di pensare all’avvenimento che mi era successo e al conseguente dolore. […]

 

Don Giancarlo :  Fermo la questione , perché il punto su cui dobbiamo misurarci richiede lavoro. Se non c’è il lavoro costante e diretto sulle pagine che ci indichiamo, scivoliamo sempre sul piano inclinato delle nostre pensate.

Chi parte da Cristo, da Lui si trova cambiato nel tempo.  L’esperienza che fa è quella di una lettura diversa di ciò che gli accade, diversa da quella istintiva, da quella affettiva, da quella ideologica, da quella del senso comune e dalle tendenze di moda. La prima cosa che scopre è che Cristo è la realtà. Cristo è tutto. In Lui c’è  tutto! E Lui si è fatto carico di tutto. Lui ha redento, riscattato tutto da quel veleno che rende certe tappe, certe circostanze, certe situazioni di vita maledette. Tant’è vero che c’è gente che maledice.

Lui invece ha riscattato, ha liberato dal maligno e dalla maledizione tutto, anche il dolore. Anche il dolore degli innocenti . Su questo impariamo da don Carlo Gnocchi, che oggi è stato beatificato.

In questa lettura di Cristo come realtà che ha preso me e ha incominciato a darmi occhi nuovi, cuore nuovo, una ragione rinnovata come strumento di conoscenza della realtà, arrivo a capire che le prove della vita sono una opportunità. Non sono una maledizione!

Sono certo una croce che fa soffrire, che smaschera le illusioni e le forme non autentiche, ma insieme a questo me le fa leggere a posteriori: dopo l’incontro o la serie di incontri illuminanti e irrobustenti la fede,  mi fa capire che le prove sono una grande opportunità della vita.

E chi arriva a questo  è perché ha fatto dei passi nel cammino di conversione.

Il  discepolo, che è passato attraverso il crogiolo della purificazione dei condizionamenti che schiacciano,  arriva  alla libertà e alla purezza dello sguardo e del cuore che giudica in modo nuovo: nella prova c’è la salvezza, è la Croce che salva.

E’ dalla prova che viene fuori più granitico e più libero, più distaccato, più simile alla realtà vera che è Gesù.

Ma questo è teoria  fino a quando uno non lo sperimenta partendo da lì, consegnandosi a quel Fatto, a quella Presenza,  per ricominciare con Lui nel cuore l’approccio con le situazioni piccole, problematiche, gioiose, drammatiche, tragiche della vita.

In questo senso la testimonianza  che ci aveva dato Dino, che oggi non può essere qui, è una testimonianza vera come quella che io vorrei farvi sentire da don Carlo Gnocchi: “Volere  o no, siamo tutti quanti uomini sulla terra inquieti, appassionati  e mai sazi cercatori della faccia di Dio”.

Ripartire da Cristo, cercare la faccia di Dio sono la stessa cosa.

Continua don Carlo Gnocchi: “Anch’io ho sempre cercato le vestigia di Dio sulla terra con avida e insistente speranza e mi era parso balenare il suo sguardo negli occhi casti e ridenti dei bimbi, trasparire opaco come dietro un velo di alabastro nel pallido e stanco sorriso dei vecchi. Avevo cercato di cogliere l’accento della Sua voce nel discorso dolente e uguale dei poveri e degli afflitti e mi era sembrato più volte che la sua ombra leggera mi avesse sfiorato nel crepuscolo  fatale dei morenti. Bisognava forse che suonasse l’ora grande della guerra, l’ora della tua agonia più acuta, o Signore, eppure l’ora della sua irresistibile manifestazione al mondo. Era un ferito grave e già appresso a morire; quando gli tolsero (sta parlando della ritirata dalla Russia: erano partiti in 70.000 e ne sono tornati in 6.000, dove ha visto cos’è l’uomo nelle sue istintualità bestiali quando è a nudo di tutto) adagio, devotamente, la giubba apparve la veste atroce e gioconda del sangue  che come un velo liquido e vivo lasciava e rendeva brillanti le membra vigorose. Senza parlare mi guardò come un bimbo che si addormenta poco a poco; non altrimenti dovette guardare Gesù dall’alto della Croce. Da quel giorno la memoria esatta dell’irrevocabile incontro mi guidò d’istinto a scoprire i segni caratteristici del Cristo sotto la maschera essenziale e profonda di ogni uomo percosso e denudato dal dolore”.

Ma vorrei leggere un altro brano di don Carlo Gnocchi.

“Di una cosa sola ha bisogno il mondo e per questo bisogna lottare con carità e amore evangelico.”

Chi parte da Cristo, chi riparte da Cristo, parte da questa sorgente.

“Ciascuno di noi ha il dovere di anticipare l’avvento della carità. E’ ben poca cosa quello che un uomo può fare, si sa. È una goccia di dolcezza in un oceano amarissimo, ma pure il mare è formato da molte gocce: basta che ognuno porti la sua. Non scoraggiatevi dunque se di fronte al molto che resta da fare la vostra opera appare piccola e insufficiente. Dio conosce le nostre possibilità. Sapeste come in questi giorni il Signore mi ha fatto capire  per me innanzitutto, ma certamente anche per voi, che non basta operare cioè fare della carità, bisogna pregare per la carità.

E da Lui, dallo Spirito Santo che viene nei nostri cuori la carità, quell’amore di cui ha tanto bisogno il mondo e le anime nostre per salvarsi. Io so (si rivolge alle dame della sua Opera Pro juventute) quanto voi avete lavorato durante l’anno per i poveri, ma non basta. Desidero che aggiungiate e moltiplichiate, oltre l’opera esterna e umana quella della preghiera per ottenere la carità di Cristo per le anime nostre, per quelle dei nostri figli, per il mondo intero”.

Chiudendo:  guardate che quello che abbiamo cercato di dire, balbettando, ma che il testo esprime in modo limpido e documentato evangelicamente, è più di una meditazione, è più di una riflessione con pii pensieri ed esortazioni più o meno stimolanti: è l’indicazione di una traccia, è la proposta di Cristo come strada all’esperienza di vita più vera e più liberata dagli appesantimenti che anche ciascuno di noi mette sulla sua vita.

Si tratta di farne esperienza. In che modo?

Domandando una Fede più viva. E domandando una Fede più profonda vuol dire chiedere l’amore a quei legami, a quelle appartenenze attraverso le quali e grazie alle quali a noi Gesù si è svelato. Si è svelato come risposta che dà senso e soluzione al vivere.

 “Bisogna sempre ripartire, c’è sempre bisogno dell’inizio”, ci ha richiamato Marcello attraverso la voce di Marisa. L’inizio non è qualcosa di cronologico; è qualcosa di ontologico che riguarda l’essere: è l’avvenimento di Colui che è tutto e provvede a tutto e ha un disegno buono su tutto e su tutti. Anche se lo trasmette e lo manifesta attraverso circostanze faticose, attraverso prove che sono le croci.

Partire da lì e verificare nel corso della settimana, giorno per giorno, se c’è questo confronto: “Ma io, in questa vicenda, da che cosa sono partito? Dal problema che c’era  da risolvere o dalla paura che mi ha preso? Dalla stanchezza che mi ha logorato? Da dove sono partito?”.  E se mi accorgo che sono partito da me, dai luoghi comuni, dalle abitudini, dai cliché anziché da Cristo, posso ridecidere una partenza più corretta, per capire qual è la partenza più feconda: se è quella della mia misura o quella di LUI che ha già misurato tutto e lo ha già caricato della promessa del centuplo quaggiù.

E’ necessario avere la libertà dell’esame di coscienza, cioè della verifica. Se dopo esperienze diversificate nell’arco della giornata, se la sera fermandoti e facendo il bilancio della giornata ti accorgi di essere diventato più ricco di ieri, più vero, se sei contento e hai la pace in te dentro, vuol dire che la partenza e la strada percorsa  erano corrette.

Se invece ci accorgiamo che sono più i rimorsi avuti per le omissioni perpetrate o per le isteriche recriminazioni contro tutto e tutti, se siamo affaticati perché ce l’abbiamo messa tutta ma con la rabbia dentro anziché con lo slancio dell’amore,  se ti accorgi che la sera, anziché essere stanco e contento, sei stanco e inverso, vuol dire che la partenza è stata sbagliata.

Poi ben vengano i momenti di incontro come questo o più in piccolo che facilitano per la presenza e il rincuoramento che viene da certi testimoni. Allora lì si riparte risvegliati, perché qualcuno ha ridetto le ragioni e ha illuminato  la traccia sulla quale si doveva camminare in comunione e che di fatto, invece, ci ha visto sfilacciati o qualcuno addirittura deragliato e ricuperato fuori traccia.

Ci auguriamo che anche la ricorrenza dei Santi e dei defunti ci permetta di vivere proprio questo legame grazie a Cristo che è il ponte fra il di qua e il di là; ci permetta di vivere nella comunione dei Santi  anche ciò che è ferita, ciò che è problema, ciò che non è ancora risolto.

Chiediamo la risorsa , come è stato detto, nella preghiera e nella missione  che si dona per colmare i vuoti  e per portare chiarezza laddove  le ombre o i problemi sono ancora assillanti.

 

Recitiamo  il Magnificat:

“L’anima mia magnifica il Signore …”

Canto: Pon tus mano

 

Si continui a stare sul contenuto della prova allargando però l’orizzonte. La prova non è stata solo la perdita dei figli. Centinaia e migliaia di altre prove costellano la condizione di ciascuno.

Lo sguardo e poi la verifica abbracciano tutto, non solo un settore, non solo la prova più dura.

 

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