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Aprile: Omelia di Pasqua

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OMELIA DOMENICA DELLE PALME 2007


Non so se mentre ascoltavate la pagina evangelica l’avete contestualizzata come ho fatto io. Bisogna imparare ad accostare il Vangelo come messaggio attuale, dentro e attraverso il quale, Cristo Risorto, attraverso la voce della Chiesa, parla a noi. Il contesto è identico a quello delle pagine evangeliche. Delle famiglie si riuniscono nella Sant’Anna di allora, Betania.

All’interno di questo paese, precedentemente, una famiglia aveva perso il figlio, giovane. Gesù, per l’amicizia e l’affetto che aveva nei confronti dei tre fratelli: Maria, Marta e Lazzaro, l’aveva restituito, temporaneamente. Anche perché il segno della Resurrezione da morte potesse preparare i cuori alla Sua morte, al Suo transito, anche quello temporaneo, per dare coraggio e certezza, quindi speranza, a chi poi nel corso della storia sarebbe venuto a conoscerlo, a sentir parlare di Lui.

Gesù si era commosso, aveva pianto, aveva anche reagito duramente nei confronti di chi era in casa di Marta e di Maria, non mossi da una coscienza autentica, ma da spettatori ipocriti. Ipocrita è chi non c’è come cuore, non c’è come immedesimazione, ma è fisicamente presente. Poi aveva pregato. Lui che è tutto e può tutto, aveva pregato il Padre, dicendogli confidenzialmente: “Ti ringrazio perché tu sei in me e io in te, sapevo che Tu mi avresti esaudito. Ti ringrazio perché il segno che adesso farò servirà ai presenti”.

Infatti uno stupore, una commozione invade i presenti rendendoli incantati, scossi, mossi nel profondo, perché ignari delle possibilità straordinarie e taumaturgiche di quell’uomo che, con naturalezza ma con forza, aveva detto all’amico: “Lazzaro, vieni fuori!” Lazzaro, tutto fasciato, dall’altro mondo rientra in questo mondo e Gesù lo libera. Lo libera dalle bende che dovevano conservarlo il più possibile, ma lo libera da tutte le remore interiori.

Quelle che sorprendono oppure opprimono la nostra ragione e il nostro cuore quando viviamo momenti di dubbio, di smarrimento, di depressione, che mettono non più al centro la realtà ma il nostro Io. La tragedia dell’uomo è quando mette il suo Io al centro, pensando, illudendosi, oppure supponendo che tutta la realtà, la storia e il cosmo, il disegno, il destino, che presiede a tutto e a tutti in ogni istante, debba dare spiegazioni a lui, anziché il contrario.


Nella pagina evangelica osserviamo delle famiglie riunite che pranzano, dialogano con grande serenità e una figura emblematica che diventa figura paradigmatica per tutti. La sorella di Lazzaro: Maria che esprime con tenerezza femminile innanzitutto gratitudine all’amico Gesù. Insieme anche l’affezione amorosa che ha nei confronti di questo amico, profumandogli i piedi con nardo prezioso e piangendo. Sono le lacrime del suo cuore e solo lei conosce quello che voleva esternare, cosa voleva comunicare di sé.

Il pianto lo conosciamo tutti. E’ veicolo di dolore e di gioia. E’ veicolo di struggimento passionale e anche di turbamento o di angoscia. Nessuno dall’esterno può decifrare fino in fondo il significato del piangere. Una cosa è evidente: il pianto è l’espressione vera del cuore. Il pianto fatto sui piedi dell’amico con tale devozione e con tale affezione di tenerezza esprimeva ringraziamento gioioso, devozione fiduciosa e dolore per il male fatto. E’ un pianto liberatorio e purificatorio.


Gesù si lascia fare, perché Maria, come Marta e come Lazzaro si erano lasciati fare, si erano lasciati condurre, si erano lasciati plasmare da questa amicizia che era diventata scuola. Scuola di vita vera. Scuola portatrice di un significato che spalanca orizzonti di speranza e di certezza. Dopo la morte del fratello, infatti, venendo a conoscenza che Gesù stava arrivando, Marta gli corre incontro e dice: “Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”. Se tu fossi stato qui è l’espressione di una speranza, di una fiducia piena di abbandono.


Gesù ci chiede di credere nella Resurrezione, cioè di credere nella possibilità di rinascita dell’uomo, di qualsiasi cuore umano, comunque sia, bistrattato, appiattito, corroso dal vizio o dalla dimenticanza, dall’orgoglio presuntuoso. Ciò che ha fatto è significativo per la mia sepoltura. Chi usa di Gesù per renderlo piacevole come un’ideologia pauperista, non trovano confronto in queste pagine. Lascia che sprechi i soldi. Nardo prezioso, come i profumi delle grandi marche, non sono essenziali. In certi momenti diventano belli, piacevoli, augurabili. Perché possono esprime la profondità di un cuore. La verità è il cuore. Ciò che conta è l’amore. Gesù dice che sempre avranno i poveri fra loro, non sempre avranno Lui. Lasciati che gli amici facciano festa con lo sposo e viceversa. Questa è libertà. Questo è realismo. Questa è sana umanità.


Isaia, sette secoli prima, ha descritto la passione, la morte e la vittoria che noi rivivremo durante la Settimana Santa.
Fratelli Gesù patì per noi, lasciandoci un esempio, perché guardandolo, lasciandoci sorprendere da Lui, ci lasciamo attrarre da Lui. “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me”.

Se non ci attira significa che stiamo opponendo resistenza, esplicita od occulta, ideologica o ancestrale. Lui è asceso al cielo e lo invochiamo come l’uomo nuovo, l’unico vero capace di salvarci. Apriamogli il cuore, come dice Giovanni Paolo II: “Spalancate lo porte del vostro cuore. Egli vi conosce e vi risolve fino in fondo”. Bendetto XVI: “Non abbiate paura, aprite il vostro cuore a Cristo. Cristo non toglie nulla, dona tutto ciò di cui siamo mancanti. Occorre imparare, occorre domandare e domandare ancora. Non stancarsi di domandare.


La preghiera è ri-petere. Petere in latino vuol dire domandare. Domandare senza stancarsi.
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