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Agosto: Giornata nazionale al Meeting di Rimini

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Meeting di Rimini 24 agosto ‘07

Macchi Giorgio

Carissimi amici desidero aprire il raduno nazionale di Famiglie in Cammino portandovi il caloroso saluto del Direttivo qui presente nella sua quasi totalità. Sono Giorgio Macchi di Varese e svolgo la funzione di coordinatore. Alla mia sinistra Natale, priore della nostra fraternità ed a destra Don Giancarlo, assistente spirituale del nostro gruppo. Sono presenti anche due giornalisti, la dott.sa Antonietta Nembri e il dott. Luciano Piscaglia che animeranno l’assemblea ponendoci delle domande.

L’esperienza diretta ci ha insegnato che non si riesce a cogliere la positività del dolore quando esso viene vissuto in solitudine. Anzi si corre il pericolo di scivolare nella depressione o nella disperazione negando così la luce dei nostri figli e l’eredità che ci hanno lasciato.
Nelle nostre giornate, anche le più grigie, al requiem deve sempre accompagnarsi il “gloria” perché il Signore che ce li ha dati, ha voluto riprenderseli dopo aver loro concesso di fare un tratto di strada con noi. Famiglie in cammino si propone come un’amicizia che tiene lo sguardo fisso sulla meta del destino. Si pone in ascolto dei problemi ed è di supporto al genitore che ne ha bisogno. Non dimentichiamo che l’ascolto è una delle lacune della società moderna in quanto tutti parlano ma nessuno ha la pazienza e l’interesse ad ascoltare l’altro.

Don Giancarlo

Quando ci incontriamo mensilmente facciamo precedere al momento della preghiera e della conversazione qualche canto perché nel canto i cuori si sintonizzano più facilmente. Avete fra le mani un ciclostilato sul quale è riportato il canto “Pon tus manos” che è diventato l’inno-motto del nostro gruppo. Ci suggerisce di seguire il Signore per avere la pace nel cuore.
(si esegue il canto).
Che nesso c’è fra il tema del meeting “la Verità è il destino per il quale siamo stati fatti” e l’esperienza traumatica della perdita dei figli che lascia aperte ferite insanabili? Nella prefazione alla pubblicazione che raccoglie annualmente i contenuti delle nostre assemblee, la frase dell’Enciclica del Papa “Dio è amore” ci dà la risposta.

Nell’amore umano c’è un quid che lo lega all’amore divino. L’amore umano, sia quello erotico che quello oblativo, è sempre espressione dell’amore che è Dio, a prescindere da come l’uomo lo viva: “ L’amore è divino. Perché ? Qual è la ragione? Perché viene da Lui e ci unisce. Mediante questo processo unificante, dice il Papa, Dio ci trasforma in un noi che supera le nostre divisioni e ci fa diventare una cosa sola fino a che, alla fine, Dio sia “tutto in tutti”. Dio è la presenza che dà valore e dignità alle decisioni della libertà dell’uomo in qualsiasi frangente. La condizione richiesta è che l’uomo tenga aperto il suo cuore a Lui e superi la barriera della miopia che lo ingabbia nella prigione dell’apparenza.

L’amore di Dio è la sorgente della vita e ogni espressione di vita è partecipazione al focus del suo amore. Questo è il significato dello slogan del Meeting : “ La verità è il destino per il quale siamo stati fatti”, è cioè l’orizzonte onnicomprensivo di ciò che c’è e che accade.

Il Papa, in un altro passaggio della sua Enciclica, dice che l’ avventura dell’amore è un cammino (da qui il nome “Famiglie in cammino”), un processo che rimane continuamente aperto. Perché? “Ecco la ragione segreta: l’amore non è mai concluso e completato. Si trasforma nel corso della vita, matura e, proprio per questo, rimane fedele a se stesso”. Noi in tale avventura vogliamo rimanervi da protagonisti e da testimoni.

Quest’anno abbiamo invitato a questa assemblea due amici giornalisti; Luciano che lavora in SAT 2000 e Antonietta che lavora al settimanale “Vita”. Provocheranno i presenti con domande relative all’ esperienza che stiamo vivendo.

Giornalista Luciano Piscaglia

Innanzitutto vi saluto e vi ringrazio per l’opportunità che mi date di incontrarvi e conoscervi.. L’unico modo che ho di aiutarvi è di lavorare con voi e di essere leale fino in fondo con me stesso. Vi chiedo quindi perdono se rischio di entrare in modo greve o grezzo dentro la vostra storia che è una storia di sofferenza e di dolore. Io ho un figlio naturale di 14 anni ed uno in affido di 8 anni. Questa mattina, quando mi sono alzato, li ho guardati alla luce dell’incontro che avrei avuto con voi. Li ho guardati in faccia e mi sono ricordato della frase di un poeta: “La vita e la morte ti vengono incontro mentre sei occupato a fare altro”. Nessuno mi salva dalla possibilità che anche a me possa accadere quanto è accaduto a voi.
Vi rivolgo questa domanda: “quando siete stati sorpresi dalla notizia della morte dei vostri figli che tipo di reazione avete avuto? Quali dinamiche vi hanno mosso fin dal primo momento con le persone più prossime, gli altri figli, amici. parenti ecc)? Perché se io provo a pensare al vostro accaduto, o se penso alla possibile morte dei miei figli o se guardo il quartino che mi avete dato che porta il titolo “Oltre la morte di un figlio”, non riesco nemmeno a immaginare nulla. Per voi qual è il significato di quell’“oltre”?

Gino Varrà

Sono di Milano e sono uno tra i primi partecipanti a Famiglie in cammino. In dicembre mio figlio Luca è morto in un incidente d’auto mentre con amici andava a sciare. L’incidente era avvenuto alle otto del mattino e noi siamo stati rintracciati alle 9 di sera. Il parroco l’aveva detto a me ed all’altro mio figlio più grande. In quel paesino tutti hanno sentito l’urlo di dolore di Mauro. Ci siamo stretti in un abbraccio ed abbiamo deciso di non dire niente a mia moglie Maria Rosa. Durante il viaggio gravava un nebbione maledetto ed i pensieri più tragici si rincorrevano compreso quello di farla finita, perché in quel momento tutto è buio e non riesci più a dare un senso alla tua vita ed al tuo futuro. Per me era finito tutto, crollato tutto e non esisteva più niente. Né la famiglia , né Gesù Cristo. Ho pensato subito ad un Dio crudele che non osserva la realtà perché Luca era attivo in parrocchia e si dava da fare con gli ammalati. Non era giusto! Pensavo di essere un buon cristiano ma, al momento della prova, mi sono trovato perso. Probabilmente non ero un buon cristiano. Arrivati però a Milano, nella nostra parrocchia c’erano circa duecento persone che ci aspettavano. Moltissimi erano del Movimento di Comunione e liberazione di cui io non facevo ancora parte mentre Luca sì. Appena scesi dalla macchina in un interminabile abbraccio mi dissero: adesso tu sarai Luca per noi . In quel momento mi hanno ridato la vita ed ho abbandonato l’idea che Gesù Cristo fosse crudele e mi sono lasciato accompagnare. Per questo anch’io sono entrato a far parte della grande compagnia di CL. Devo dire con grande fatica, perché le prime volte, non riuscivamo a capire niente e l’abbiamo poi detto al nostro parroco. Lui ci esortò a proseguire: Aspetta e vedrai che poi tutto si rivelerà più semplice. Affidati. Oggi, noi ci sentiamo degli affidati.

Gli amici di Luca erano tutti i giorni, addosso a noi perché ci volevano aiutare. Però la tragedia veniva nel momento che si faceva notte e si andava a dormire. Lì eravamo soli con noi stessi e si continuava a piangere ed a pregare. Non più arrabbiati con Gesù ma a pregarlo di venirci incontro e di sostenerci nel nostro dolore.

La speranza era che il nostro dolore si tramutasse in qualcosa di positivo, tipo un’opera che ci aiutasse. Poi in seguito abbiamo incominciato ad incontrare alcuni delle famiglie qui presenti e con loro abbiamo partecipato ai primi passi della associazione. Ci è stata ridonata la vita anche di veri cristiani, soprattutto con l’aiuto di don Giancarlo. Abbiamo imparato a vivere la condivisione del dolore con altri amici. Frequentando gli amici siamo ritornati a credere nella vita, a sorridere ed a pensare in positivo.

Marisa Crolla

Sono Marisa di Busto. Mio figlio Mirko è morto diciassette anni fa . Questo avvenimento ha stravolto letteralmente la mia vita e mi ha chiesto di cambiare il mio modo di pensare e di concepire la vita. Avevo bisogno di non essere più la farfallina che vola qua e là e non coglie l’essenza delle cose. E così l’incontro con questi nuovi amici mi ha aiutato a guardare con occhi diversi. Una domanda assillante del perché Gesù non avesse preso me ma Mirko e quindi il pensare che la mia esistenza avesse ancora un senso. Pertanto Dio ha bisogno ancora di me e mi vuole per un cammino. Sta a me scoprirlo e viverlo. Oggi il Signore ci ha donato un meraviglioso nipotino che, guardandolo, mi riporta ogni giorno alla coscienza della precarietà della vita in forza della quale ogni giorno è prezioso e non va sprecato.

Giorgio Targa

Mi chiamo Giorgio e sono di Milano. A noi la disgrazia della perdita è capitata all’improvviso. Leonardo, figlio unico, 16 anni parte al mattino per andare a scuola in un liceo scientifico e, al pomeriggio, non c’è più. Mi chiamano all’obitorio e lui ha ancora il costume da bagno addosso. Il giornalista vorrebbe sapere che cosa ho provato in quel momento. Solo un vuoto assoluto. Non hai neppure la forza di piangere e ti chiedi il perché. Noi genitori ci siamo abbracciati e siamo rimasti soli. Per due tre mesi non abbiamo capito più niente. Poi la preghiera e anche dei bravi sacerdoti ci hanno aiutato a capire chi era nostro figlio. Quasi fosse nostra proprietà progettavamo la sua meta professionale.

In seguito all’evento, siamo stati costretti a cambiare e, attraverso un cammino di fede, ci siamo resi conto che il Signore ci chiedeva di passare da un atteggiamento di appropriazione a quello di adesione ad un disegno più grande, forse incomprensibile, ma ultimamente di salvezza.

Ci siamo anche resi conto che il Signore ci garantiva la fede per trasfigurare il lutto in una esperienza di resa davanti alla sua croce, colta non come strumento di castigo e di sofferenza ma di salvezza. Abbiamo anche capito che questo non poteva essere solo per noi ma anche per altri e che l’ affidamento in cui noi ci stavamo collocando fosse partecipato ad altri genitori.

Nel 1992, quattro anni dopo la morte di Leonardo, abbiamo fatto partire con altri genitori il gruppo di Famiglie in cammino con la benedizione di Don Giussani che ci scrisse “ io mi sento piccolo di fronte al cuore grande di cui voi, accettando da Dio una ferita che si rimarginerà solo in cielo, volete farne per la terra un solco di seminagione buona per testimoniare e per confortare.

Con gli amici siamo partiti da lì per ricostruire noi stessi e per dare una mano ai genitori che avremmo incontrato. In pratica ai genitori che arrivano da noi, atei o credenti, sfiduciati e distrutti dal dolore diciamo: “guardate, il Signore ha aiutato noi e può aiutare anche voi. Stiamo insieme e verifichiamo, cammin facendo, l’esito dell’amicizia nel suo nome. Abbiamo molteplici esempi di genitori che ci hanno seguito ed hanno avuto un aiuto per la vita

Don Giancarlo

Qui siamo di fronte ad un ribaltamento di piani: la morte non è il terminale delle speranze ma l’inizio di una vita diversa. La ferita del cuore, anziché cacciare nelle retrovie delle possibilità si trasforma in missione e diventa compito. Quello che accade nella vita del singolo non riguarda solo lui ma è per tutti. Famiglie in cammino è frutto della seminagione di Dio nel cuore di alcuni a cui Giorgio ha fatto riferimento Per questo ce ne ricordiamo quando cantiamo “Il Signore ha messo un seme nel giardino…”.

Rita di Rimini

Mi chiamo Rita e abito a Rimini. Ho perso mio figlio Jacopo tredici anni fa. Si è tolto la vita in modo imprevedibile. La mia ottica, almeno inizialmente, è stata un po’ diversa da quella della maggior parte dei presenti. Fin dall’inizio ho dovuto intraprendere una lotta dura e pesantissima con me stessa perché mi sono resa conto di non essermi accorta del dolore che mio figlio portava dentro di sé da anni. Era un ragazzo bellissimo, almeno ai miei occhi e, di punto in bianco, l’ho perso.
Avrei dovuto capire il suo disagio…

Ho avuto un’angoscia per anni perché il senso di colpa erode. Gli amici mi hanno aiutato tanto. Chi si ricorda del mio intervento di due anni fa nella giornata nazionale può capire il mio calvario. A furia di ascoltare gli amici, capisci con chi hai a che fare e ti rendi conto che non sono solo parole di circostanza. Il Signore a tuo figlio vuole tanto di quel bene che tu nemmeno riesci a immaginartelo. Ora gode di tutte le bellezze che io e la società non abbiamo saputo dargli.

Ora onestamente sono un po’ più serena di prima. Quando penso a Jacopo lo rivedo nei momenti belli e gioiosi, quando dipingeva o cantava. Lui ha vissuto tanti momenti sereni. Forse la sua angoscia me l’ha nascosta perché mi voleva troppo bene e non voleva farmi soffrire.

Sapete cosa mi sta accadendo di bello da un paio d’anni a questa parte? Sto riscoprendo il gusto della vita e, anche se non sono brava in niente, mi sta ritornando il gusto per le cose belle. E’ come se mi fossero rispuntate le ali per volare. Dopo anni di vuoto e di colpe voglio lasciarvi questo messaggio di speranza.

Don Giancarlo

Stamattina, durante la S. Messa a S. Giuseppe al Porto, il parroco don Mario mi ha indicato la Via Crucis su una parete della Chiesa e mi ha detto “era stata collocata lì come provvisoria ed invece è diventata definitiva. L’ha dipinta Rita parecchi anni dopo la morte di suo figlio Iacopo.
Entrando, sulla parete sinistra della chiesa, potete osservare la prova delle “ ali rispuntate”. La mano artistica di Rita testimonia il cammino fatto. L’arte interpreta sempre il desiderio del cuore e lo immortala.

Giornalista Antonietta Nembri

Buongiorno, anch’io vi ringrazio per la possibilità di questo incontro. Ho ascoltato con molta attenzione le testimonianze e, come capita nel mio mestiere, alcune in particolare hanno risposto alle domande che volevo farvi. Per lavoro mi occupo di associazioni e di no-profit. Ero curiosa di sapere perché siete nati. A questo è però già stato risposto. Vi chiedo adesso: perché continuate? Tutte le associazioni nascono per soddisfare dei bisogni concreti. Di norma in esperienze come la vostra il desiderio sarebbe quello di dimenticare mentre mi sono resa conto che voi non siete insieme per dimenticate ma per tenere viva una coscienza dell’accaduto, anzi facendone motivo di missione. In tale ottica voi siete alternativi alla logica del mondo.

Flora

E’ una bella domanda. Stamattina mi sono sentita molto provocata dalle domande dei giornalisti a da tutto quello che ho ascoltato. Natale ed io abbiamo perso nostro figlio Cristian nel 1991. Riconosco che tutti e due abbiamo fatto un bel cammino, proprio con l’aiuto di famiglie in cammino e di molti amici del Movimento di Cl che, allora, avevamo incontrato. Noi stiamo bene e siamo abbastanza sereni anche se, in alcuni momenti dell’anno, ritorna la sofferenza come se il fatto fosse successo ieri.
Perché continuiamo dopo sedici anni?
Abitando noi in Brianza, per partecipare agli incontri, più volte al mese, dobbiamo fare 70 Km di strada. Per il tempo richiesto, per le condizioni meteo dell’inverno e per l’aspetto economico non è una cosa facile. Alcune volte ti viene voglia di smettere e di dire che non ne hai più voglia. In fondo noi siamo sereni e stiamo bene. Quando sono tentata di smettere cerco di reagire richiamando alla memoria l’ origine del cammino e come ero quando ho fatto l’incontro. In questa esperienza sono aiutata a richiamarmi alle ragioni ultime della Fede. Continuo soprattutto per me e per la nostra famiglia. Abbiamo un’altra ragazza, Chiara. In famiglie in cammino ho imparato a considerarla come persona affidatami dal Signore e non solo come figlia e ad accettarla con il suo carattere, con i suoi limiti e con le sue scelte non sempre corrispondenti a nostri desideri. Quando ero più giovane non lo pensavo minimamente. Poi ho capito il senso di quanto affermato da don Giancarlo nella riflessione sulla missione. Durante il mese, se non vedo o non sento i nostri amici, mi accorgo che mi mancano e allora, quando posso, prendo il telefono e mi informo sulla loro vita. Mi accorgo che, ogni volta che ci incontriamo, c’è sempre qualche cosa di nuovo. E’ un crescere a poco a poco.

Annamaria

Sono di Milano e ringrazio per tutto quanto ho ascoltato finora. Massimiliano è morto solo due anni fa e, pertanto, mi trovo un po’ più indietro rispetto chi ha testimoniato prima di me. Perché continuo? Come dice il Don, il mio obiettivo è di imparare ad affidarmi. Giorgio, quest’estate mi ha detto: Tu non ti stai ancora affidando. Nel tempo corri il rischio di perderti. E’ vero. Non ci sono ancora riuscita ma ho fiducia che, frequentando gli amici, ci possa riuscire. Con loro e, con l’aiuto del Signore, sono sicura di non perdermi.

Albina

Sono di Roma ed ho perso Andrea nel 2002 in seguito ad una leucemia. Passando al Meeting per salutare un amico sacerdote, ho avuto il depliant di famiglie in cammino da un’amica di Rimini. L’ho tenuto da agosto a febbraio e, per molti mesi, non ho mai avuto il coraggio di fare una telefonata o di contattarli sul sito. Nonostante l’appartenenza al Movimento di CL eravamo sempre più in crisi ed allora abbiamo pensato di andare a trovare don Giorgio a Milano. Improvvisamente mi sono ricordata del depliant e ho telefonato a Marcello di Busto Arsizio. Avevamo due storie quasi simili e, per la prima volta, mi sono sentita finalmente compresa. E’ vero quanto sosteneva prima Giorgio che c’è proprio un bisogno umano di comunicare il dolore ma questo non è facile. A volte non si riesce neanche con le persone più vicine come i tuoi cari o i tuoi parenti. Nell’incontro con Marcello che è passato dalla stessa esperienza la molla del comunicare, del capirsi e del condividersi è scattata improvvisamente. Adesso facciamo di tutto per vederci almeno due volte all’anno e, se ne siamo impossibilitati, ci sentiamo al telefono o visitiamo mensilmente il sito.
Vi assicuro che l’incontro con Famiglie in cammino ha fatto nascere un legame che non ti togli più di dosso perché ti aiuta a capire tante cose.

La prima volta che li ho visti pensavo che fossero un po’ matti perché io stavo malissimo e loro scherzavano e ridevano, cose che io e mio marito non riuscivamo più a fare. A me veniva solo da piangere ed ero stupita quando partecipavo alle loro cene per la libertà e l’apertura che avevano. Ad una di queste cene mi sono trovata vicino a Giorgio ed ho visto come lui viveva gli avvenimenti e gli interessi della vita. A me invece non importava più niente. Lì mi sono proprio svegliata.

Anche per me c’era un altro figlio a cui pensare. Lì è iniziato il mio cammino personale e quello nuovo con mio marito. Stando con loro ho capito che il dolore ha bisogno di essere trasfigurato e deve essere inserito con pazienza in un cammino di affidamento. Per me è stato difficile perchè sono una ribelle ma, piano piano, ci sono riuscita. Adesso, anche se facciamo ancora molto fatica, siamo diventati un punto di riferimento per molte famiglie del Lazio e pertanto ci chiamano ed andiamo a fare compagnia alle persone a seconda delle circostanze. Qualche giorno fa, trovandoci a Pesaro e sconvolgendo i programma al punto da fare arrabbiare mio suocero, siamo andati a trovare una famiglia di Acqualagna che ha perso un figlio. Ciò che muove é’ la gratitudine per quanto ricevuto. La condivisione con questi amici ha tracciato un solco così profondo nei nostri cuori da indirizzare la nostra vita.

Enrica

Sono di Rimini e tento anch’io una risposta al giornalista che ci ha domandato il significato e il contenuto di quell’oltre la morte. Per me come per tutti c’è stato un prima. Quando mia figlia è morta circa 6 anni fa io,quel giorno, l’avevo accompagnata al treno per andare a passare una nottata sul monte Cusna con altri universitari. Faceva il primo anno di università. Quel mattino è scivolata in un canalone ed è morta. Accompagnandola al treno le avevo fatto un sacco di raccomandazioni. Mai più avrei pensato che potesse veramente succedere.
Ero morta dentro. Ma ripensando al periodo precedente, mi è venuto in mente che, un paio di mesi prima, il suo rapporto con me si era arricchito di una tenerezza infinita. Per me era inspiegabile perché mia figlia era una veramente tosta. Quasi più di me e non è mica poco. Ripensandolo era come se volesse prepararmi inconsciamente e cercasse di lenire le sofferenze che avrei patito dopo. Mi accompagnava spesso a fare la spesa o mi faceva dei regali. Tutti comportamenti che non aveva mai avuto. Magari erano anche sciocchezze ma mi dimostravano quanto eravamo importanti per lei sia noi che gli altri due figli. Mi sono convinta che, dietro i nostri atteggiamenti, c’è un disegno più grande che noi non conosciamo.
Per quanto riguarda la domanda del giornalista sull’ oltre la morte; devo confessare che ho sempre pensato che, qualora mi fosse morto un figlio, mi sarei buttata dalla finestra. Invece sono ancora qui e sono ritornata piano piano a fare le cose di un tempo. Inspiegabilmente mi sono ritrovata dentro una forza che mi fatto andare avanti. In questo cammino di dolore mi sono trovata vicino un sacco di amici che mi hanno accompagnato passo dopo passo e che mi accompagnano tuttora. Devo riconoscere che io e la mia famiglia non siamo mai stati abbandonati. Adesso faccio un po’ da punto di riferimento a Rimini di Famiglie in cammino. Pensando ad una mia cara amica mi sono sentita di portare avanti questa opera nonostante i miei limiti.

Giornalista Piscaglia Luciano

Certo che voi siete dei tipi un po’ strani!.. Perdonate il mio tornare sulla stranezza. Lo scopo di tutte le associazioni che noi abbiamo conosciuto è sempre quello di superare il bisogno di partenza.. Sentendovi parlare mi sono venute in mente alcune cose: 1° il punto di partenza è di dare senso alla ferita che portate dentro. Don Giussani vi ha scritto che si rimarginerà solo in cielo. Ma io ho ricevuto l’impressione che questa ferita voi non solo non la vogliate superare ma la amiate perché vi mantiene il cuore in una posizione viva. Una di voi ha detto “Il mio cuore era morto: torna vivo nel momento in cui qualcuno accanto a me mi fa amare quella ferita come un qualcosa di importante per la vostra vita attuale”
Allora la domanda è: in cammino verso cosa? Qual è l’obiettivo che ognuno di voi dà a questo cammino, visto che l’ ideologia dominante tenta in tutti i modi di rifuggire la fatica o il dolore? Quale messaggio volete lasciare al Meeting? Mi veniva in mente che il segno grande che siete, lo fanno generano i vostri figli. Questo è commovente! E loro hanno compiuto l’opera più grande della loro vita.

Giorgio Macchi

qualche anno fa avevamo invitato ad una riunione a parlare i fratelli e le sorelle dei nostri figli per capire il loro punto di vista e l’atteggiamento da tenere con loro. Fra le altre era intervenuta mia figlia Stefania che era di tre anni più giovane di Lidia e che condivideva la stessa esperienza educativa nel movimento di Cl. Ero rimasto allora scioccato da quanto asseriva. Lei pregava il Signore, che le lasciasse aperta la ferita della perdita della sorella per tutta la vita per farne memoria in ogni momento, per imparare a guardare i propri figli nel modo più giusto e per non dimenticare.
Ho impiegato molto tempo a capire tale affermazione. La risposta mi è venuta aderendo anch’io al Movimento di C L e percependo un modo di vivere a me sconosciuto. Questa ferita nel cuore è la cellula della memoria, del bene e dell’amore che ci tiene vivi in ogni momento. La ferita aperta spurga e non ci permette di dimenticare o di normalizzarci dentro i canoni di vita falsi e stucchevoli.

Sei nostri figli non facessero da sentinella al nostro dolore, saremmo stritolati e diventeremmo preda di questo mondo. La nostra esperienza dolorosa non sarebbe valsa a niente. E’ come se i nostri figli fossero morti per niente, come se non avessero lasciato traccia sulla terra perché inghiottiti e macinati dai media che cercano solo lo scoop. Ma loro sono vissuti e non per niente. Ci hanno lasciato un compito ed una eredità:. quello di impegnarci per un mondo migliore e per costruire un pezzetto di regno di Dio sulla terra. Per noi genitori essi sono la traccia e un seme di salvezza Assolvere tale compito è la responsabilità e il segno più grande del nostro amore per loro e del loro per noi. Siamo gli ultimi custodi della loro vita e non possiamo tradirla. Per questo ognuno di noi, pur con i suoi limiti, vive l’associazione facendosi prossimo a quei genitori che non hanno vicino nessuno.
E’ evidente che è un compito umanamente faticoso. Sostenere e condividere il dolore altrui non è facile. Ma in tanti anni ho visto molti trasformarsi e riprendere energie.

La nostra presenza al Meeting tende a far conoscere alle persone che si incontrano, anche casualmente, un metodo diverso di vivere il dolore rispettandone tutte le fasi. I molteplici contatti ti affaticano ma rendono felici perchè l’esperienza è comunicata e serve alle persone. In quel momento le parole e i gesti sono donati e, come dice la canzone “pon tus manos en la mano del Senor de Galilea ” per le persone si è il Signore che parla e agisce iniettando nel cuore una speranza che consente di guardare la vita sotto un’altra ottica, specialmente se hanno altri figli da educare. L’abbraccio e l’ascolto sono gli atteggiamenti che la persona deve percepire.

A distanza di anni da quell’incontro anch’io, come mia figlia Stefania, chiedo al Signore di mantenermi aperta la ferita. A gennaio, a seguito delle nuove tecnologie che permettono analisi più approfondite del DNA, si sono prospettate nuove indagini anche per il caso di mia figlia Lidia, irrisolto da vent’anni.
Come al primo giorno ci siamo ritrovati delusi, sdegnati e impotenti per come i media trattavano il caso. Sembrava che il pugnale assassino fosse penetrato di nuovo nelle nostre costole. In quell’occasione abbiamo incontrato molta gente ed abbiamo partecipato a trasmissioni televisive nella speranza ultima che qualcosa di nuovo accadesse. Non che la soluzione del giallo fosse la risposta risolutiva ma l’esigenza di giustizia è ormai entrata come componente della nostra storia. Ebbene, mentre ai più interessavano notizie morbose i nostri veri amici soffrivano con noi. Non potevano fare molto ma erano lì a testimoniare il cammino comune di vent’anni. Erano lì perché volevano bene a me ed a Paola. In fondo trovare l’assassino è una delle cose più giuste. Però non davanti a tutto e a tutti i costi. Attenti a tenere distinti il ruolo della magistratura e dei giornali. Per noi e per i genitori di Famiglie in cammino la vera giustizia non chiede solo di trovare l’assassino ma di fare memoria della loro vita e di divenire testimoni di quello che sono stati.

Vedo Massimo in fondo alla sala. In questo meeting è stato uno degli incontri più importanti. Suo figlio è morto su un campo di calcio. Mi sono trovato subito in sintonia con lui perché, pur nella tragicità della sua storia, emergevano molti punti in comune. Anche lui fa parte del Movimento di CL. Allora si scopre che c’è anche un ambiente che ti facilita nell’ affrontare la vita pur con un dolore così immenso. Non è così da tutte le parti. Non è che gli altri amici non siano amici ma sono diversi e non riescono ad aiutarti in quello di cui si ha bisogno in certi momenti. Lui non conosceva la nostra realtà. Oggi l’ha incontrata Se te la senti e ci dai una testimonianza può essere importante.

Natale Colombo

Vorrei esprimere anch’io una riflessione che potrebbe apparire paradossale.
Il Signore ci ha creato per la felicità. Ed uno pensa: “ma come è possibile essere felici dentro un dramma di questa portata?. Ebbene io ti confesso che, dentro un dramma come questo, io ho scoperto la potenza della fede che prima non avevo; ho scoperto degli amici veri ed ho scoperto perché sono al mondo e come sono fatto. La felicità non è quella cosa che abbaglia e fa godere per qualche lasso di tempo. E’ un’altra cosa, è una dimensione che ti senti dentro e che tu costantemente metti alla prova con tua moglie, con tua figlia , con gli amici e la realtà. Un esempio. Questa estate un gruppo di noi stava facendo una vacanza insieme in Liguria. Una notte i ladri sono entrati nell’appartamento e ci hanno derubati di tutto. Al di là della rabbia e della delusione ci siamo guardati in faccia e ci siamo abbracciati. Questa forma sorprendente di reagire ai casi della vita non è accaduta perché noi siamo più bravi degli altri ma perché dentro di noi vive Gesù Cristo. Questo vale anche per ogni altro dramma. Il riconoscere Gesù Cristo anche dentro quel fatto increscioso ci ha fatto ricordare quanto dice la Bibbia che “tutto coopera al bene di coloro che amano Dio. La riunione di stamattina è la prova di quanto sto affermando

Angelo Mandorlo

Sono di Rimini e in Famiglie in cammino sono una presenza anomala nel senso che non ho perso dei figli. La mia famiglia è amica di Enrica. I nostri figli sono cresciuti insieme. Quando è morta Federica la vita ci ha portato a condividere il lutto come se fosse morto uno dei miei figli. Quando successe l’incidente era il 29 aprile. In quell’anno il volantone di Pasqua di CL. riproduceva il quadro della conversione di Tommaso di Caravaggio. Prima di allora, guardando il Caravaggio, non avevo mai capito il senso delle piaghe. Poi, parlandone con un Monsignore e con don Giancarlo capii che, nel corpo risorto di Cristo, erano rimaste le piaghe perché ogni discepolo è chiamato a compiere nella propria carne quello che manca alla passione di Cristo. Perché vivo questa vicinanza di condivisione a chi è stato provato dal lutto? A volte anche i miei amici e mia moglie me lo chiedono. Lo faccio per tenermi allenato. Nessuno ci assicura che ai nostri figli non possa accadere quanto è successo ad altri. Nell’ esperienza ho poi capito che, quando le cose sono ben rodate e sistemate, si corre il pericolo di diventare dei bastardi. Il dolore si manifesta in tanti modi ed è sempre una croce ecc. Dio solo sa quanto dolore c’è! Vedendovi allo stand pensavo a voi come a delle ostie scelte per una missione. E’ un mistero, un disegno strano che ci sarà svelato solo in cielo

Massimo

Mio figlio è morto circa un anno e mezzo fa. Mentre casualmente attraversavo il padiglione della CdO ho visto il vostro stand. Conoscevo la storia di Lidia Macchi perché, ai tempi, nel Movimento aveva fatto molto scalpore. Anche attraverso la rivista Tracce conoscevo qualcosa su Famiglie in cammino. Ma non pensavo che potesse capitargli quanto avevo letto in un articolo.

Mia moglie si era fermata allo stand dove c’era Giorgio e si era messa a leggere i cartelloni esplicativi del cammino del dolore. Dopo un po’ mi ha chiamato e mi sono avvicinato. Ho cominciato a raccontare a Giorgio la mia storia. Mi sembrava di avere di fronte un amico e così non smettevo più di parlare. Questa mattina poi, sfogliando il quotidiano del Meeting, ho visto il trafiletto che mi ricordava l’incontro nazionale che Giorgio mi aveva proposto. Allora sono venuto un po’ in ritardo ma ho fatto il possibile. Mi collego a quanto diceva Angelo e sono convinto che, da come si sono svolte le circostanze, sia effettivamente per me un privilegio. Lo affermo però con il tremore del cuore e delle parole.
Mio figlio stava giocando una partita al pallone quando si è improvvisamente accasciato. La dinamica, anche quella del dopo, è stata tale da convincermi nella tesi del privilegio! E non sono matto. Perché il Signore ha usato della mia carne (è questo il modo in cui percepisco mio figlio) per farmi capire che gli devo dare tutta la vita. E’ una grazia che questa ferita rimanga aperta. Quando vado al cimitero, di fronte a mio figlio, mi metto sempre in ginocchio. E’ per riconoscere il Mistero che ha usato una cosa così grande per me e per noi. Una cosa così grande dimostra che il dolore fa parte intimamente della vita e non sarei uomo se non avessi la forza per viverlo. Prima non capivo quelli che andavano tutti i giorni al cimitero. Poi l’ho capito perchè a Basilio dove abito, mi sono trovato a scavalcare il cancello, come un ladro perché il cimitero chiude alle 17
E questa fisicità che mi manca e che mi fa ripensare a tutto quello che avrei potuto fare per lui e con lui. Indipendentemente da come era lui ( studioso, bravo , bello. Un figlio per i genitori è sempre il top) quello che più mi colpiva era il segno che Dio mi chiedeva: tutta la vita data a Lui. Questa era la cosa più grande.

Se non avessi avuto in quel momento una compagnia di amici che mi è stata vicina non avrei capito tante cose. Sono convinto che le cose non capitano a caso ma per un disegno che dobbiamo essere aiutati a leggere. Sentendo le vostre testimonianze mi sono sentito aiutato nel comprendere meglio i segni e le circostanze. Avevo la sensazione che fosse una cosa grande ma sentendo molti di voi adesso ne ho la certezza. La vita è importante per il presente perché il domani, visto quello che è capitato ai nostri figli, potrebbe non esserci. Io devo vivere il presente e maturare attraverso gli avvenimenti per me, per mia moglie e per gli altri tre figli che il Signore ha voluto donarmi.

Don Giancarlo

Ringrazio il Signore per questa mattinata nella quale abbiamo sentito non dei discorsi ma delle prese di posizione che ci hanno mosso nel profondo e anche commosso. Hanno mosso non solo il sentimento del cuore ma la tensione della ragione che è stata aiutata, parlo per me, a puntare il riflettore su certe zone d’ombra della nostra vita e a cercare nessi tra fattori scollati e vaganti.
Per le motivazioni affiorate negli interventi, mi sembra più facile riprendere il cammino della nostra vita. Pur parlando del passato è il presente che ha ricevuto luce.
Sono d’accordo con quanto Massimo affermava con foga poco fa. Quando il presente è bene orientato l’uomo cammina speditamente.”Cammina l’uomo quando sa bene dove andare” cantava Claudio Chieffo. L’uomo deve sapere adesso dove andare perché il domani non è nelle nostre mani.

Prima di chiudere riprendo la domanda del giornalista sul perché continuiamo

Le risposte dei presenti hanno espresso tale volontà per molteplici ragioni.
Vorrei riassumerle in una parola e in una immagine. Le immagini resistono più delle parole all’usura del tempo ed alcune parole si fissano nella memoria più dei concetti.

- L’immagine è il Paradiso raffigurato nel quadro collocato davanti al tavolo della presidenza. L’ha dipinto un pittore di Famiglie in cammino che ha una esposizione permanente nel suo atelier di Cantù (Como) e che ha all’attivo mostre e riconoscimenti in Italia e in Europa.

Il dipinto raffigura la Trinità, il mistero più alto della fede cristiana, nelle fattezze di un triplice volto e nell’unicità dell’eterna giovinezza di Dio che si è rivelata in Gesù. I figli di Famiglie in cammino, attratti dalla gloria di Dio le fanno corona.

Sul lato destro, tenuamente tratteggiata, appare l’ immagine di una madre che tiene teneramente tra le bracci la sua creatura. E’ la Madonna che accoglie i giovani figli e li presenta a Dio nel mistero radioso della Trinità messo in risalto dal cromatismo dell’azzurro e del giallo dorato.

Sul lato inferiore una madre in preghiera fa da ponte tra la terra e il Cielo e si propone come simbolo di speranza. E’ ancora contrassegnata dai colori della terra ma partecipa già dei riflessi dorati del Cielo.
Noi di Famiglie in cammino la riconosciamo e la seguiamo come icona della nostra speranza.

- La parola è centuplo. Noi vogliamo continuare a vivere dentro tutte le condizioni e i contesti esistenziali perché la vita è mossa da questa promessa fattaci da Cristo. Chi promette il centuplo a coloro che lo seguiranno non è un uomo qualunque ma l’uomo-Dio che ha svelato la natura e il contenuto dell’amore nel dare la sua vita per tutti. Gesù ha fatto vedere un volto di Dio inimmaginabile per l’uomo tanto è vero che chi non ha incontrato Gesù porta nella vita un dubbio ultimo sul valore intangibile dell’uomo e del valore sacro della vita. La maggioranza dei senza Dio di oggi non ha la capacità di affidarsi perché non sa che la scelta umanamente più ragionevole e più corrispondente alle esigenze del cuore è obbedire a Dio. Noi ci chiamiamo Famiglie in cammino perché ci affidiamo alla promessa di Gesù e abbiamo incominciato a sperimentare un cambiamento che è preludio del futuro compimento.
Le condizioni per raggiungerlo sono l’appartenere a Lui nella sembianza storica e carnale della Chiesa, popolo dei salvati e risorsa inesauribile del suo amore. “Io sarò con voi fino alla fine del mondo... Venite a me voi che siete affaticati e stanchi e io vi ristorerò. Non abbiate paura perché io ho vinto il mondo”.
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