INCONTRO di NOVEMBRE 2007
Natale Colombo (Usmate). Iniziamo il nostro incontro pregando per noi e per i nostri amici. Oggi possiamo confrontarci sulle esperienze vissute in questo mese. Novembre ci richiama ancora di più i nostri cari e l’evento della morte.
Anna Rimoldi (Busto A.). Ho riletto il resoconto dell’assemblea di Rimini con uno spirito diverso rispetto a quello con cui l’ho vissuto al Meeting. Ho voluto provare a rileggere gli interventi con uno sguardo trasversale che li comprendesse un po’ tutti. Mi è sembrato così di cogliere alcune sollecitazioni che al Meeting non avevo colto.
Dal racconto delle nostre esperienze, innanzitutto, emerge più che una familiarità con il dolore, una familiarità con la grazia. Non credo sia fuori di luogo accostare le parole di Paolo “per grazia siamo quello che siamo…”.Io non mi permetto di pensare che sia stata una grazia quello che ci è successo ma sono sicura che la grazia e la misericordia del Signore ci siano venute incontro e ci abbiano sostenuto nelle ore più tremende. Nei giorni della disperazione, la grazia del Padre ha indirizzato la nostra libertà a dire: “Se tu mi stai vicino, Signore, accetto questa prova e mi metto alla tua sequela purché tu la carichi di significato e di speranza e tu collochi questo dolore e tutti gli altri in un disegno che mi restituisca una vita vera e senza fine”. Chi è riuscito a trasfigurare il suo dolore è perché l’ha accolto e l’ha consegnato nelle mani di Dio. In tali persone, nel tempo, è fiorito il frutto della pace che non è da confondere con la dimenticanza o la “normalizzazione” della vita.
L’altra cosa riguarda la nostra ferita che, è vero, si rimarginerà solo in cielo, cioè in una condizione in cui il rapporto con i nostri figli sarà diretto e non più velato come ora. Una ferita aperta può anche degenerare e marcire. La vita raccontata dei nostri amici mi ha fatto pensare a una ferita in fase di fioritura. Da essa infatti è nato un bene grande per loro e per altri. Dalla loro ferita è fiorita la capacità di ascoltare, di accogliere, di condividere, di operare in mille modi perché il bene cresca e si affermi. Io credo che chiunque incontri uno di voi incontri uno che gli sa trasmettere fiducia, forza e speranza.
Don Giancarlo. La riflessione di Anna ci ha permesso di scoprire che la parola disgrazia porta in sé la matrice della parola grazia, una grazia che, ovviamente, dipende dal disegno di Dio e dal tempo occorrente all’uomo per imparare a riconoscere la voce di Dio. Il tempo di Dio, senza la docilità del cuore dell’uomo, non può far trasparire quanto Gesù definisce “centuplo quaggiù ”.
L’uomo senza Dio è solo capace di fare marcire le opportunità di salvezza. E una vita che marcisce non può dare frutto. Un sintomo del marcire è la normalizzazione della vita che tende a spingere certi eventi sulla rotatoria della trascuratezza, dell’oblio o dell’abitudine. L’uomo ha sempre bisogno di riconsegnare a Dio sé e i doni avuti (poi magari sottratti), per capire che nulla gli è dovuto ma che tutto è dato. Molti di voi, dopo l’esperienza della perdita dei figli, hanno intrapreso opere in favore di altri. A partire dal dolore le loro condizioni di vita sono cambiate. Molti hanno recuperato una fede più profonda e altri hanno scoperto ambiti di servizi e di caritative che aiutano a capire come l’amore consista nel donarsi. Dove c'è amore c'è vita.
Suor Marcella, francescana della carità che vive la missione in una bidonville di Port au Prince ad Haiti, ha inviato una lettera in cui ci fa partecipi del suo compito.
“La Carità (amore oblativo) è gratuita, non domanda nulla in cambio, abbraccia e basta. La Carità salva la libertà. La Carità non si pone un esito, la Carità è. Per questo non si fa la carità, si è carità, cioè il cuore e lo sguardo diventano carità, perché modellati dal cuore e dallo sguardo di Cristo. Pensiamo ai grandi santi della carità che la Chiesa ci consegna. Un Vincenzo de Paoli, una Elisabetta d’Ungheria, una Francesca de Chantal, una Francesca Romana, un Filippo Neri, un Camillo de Lellis e via via fino ad una beata Teresa di Calcutta…hanno dato la vita vivendola come vocazione, senza porre condizioni e ora ci sono indicati come compagni di strada a cui guardare”.
La disgrazia può diventare grazia se rispetta le condizioni dell’incontro fra la libertà dell’uomo che soffre e la libertà di Dio che si è fatto uomo per conoscere la sofferenza e per redimerla. Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica Redemptor hominis, ha scritto: “Non abbiate paura di Cristo. Spalancate le porte del cuore a Cristo perché Lui è l’unico che vi conosce”. E’ venuto a svelare all’uomo la sua identità più profonda: di essere simile a Lui
Savina D’Incognito (Milano). Vi porto i saluti di Antonio che sta meglio ma dovrà affrontare un intervento molto delicato. Oggi, dopo dieci anni, capisco che la grave tragedia della mia vita è coincisa con una chiamata. Sono arrivata a capire che Dio è in ciascuno di noi e ci chiama in modo impercettibile aspettando che noi lo lasciamo entrare. Ha chiamato anche me. Quando è successa la tragedia ero disperata e confusa perché avevo perso la mia identità di mamma. In quel momento ho puntato su Dio, mi sono affidata a Lui e gli ho chiesto di sostenermi nel cammino della vita perché da sola non ce l’avrei fatta.
Dopo dieci anni posso riconoscere e confessare di essere stata spinta da Lui a iniziare un cammino che ha cambiato la mia vita soprattutto nel modo di guardare le cose e chi incontro sulla mia strada. Sento che questo cammino di conoscenza e di relazione con Cristo durerà tutta la vita. Capisco che l’amore che Lui ci chiede è una spogliazione di noi stessi che ci liberi da tante dipendenze. Mi sento comunque serena. So che Lui è con me e questo mi porta tanta gioia. Senza di Lui non sono niente.
Chiedo la grazia di continuare il cammino intrapreso.
Anna Maria Brunelli (Milano). Io ho dentro una grande rabbia. La Messa e la preghiera sono diventate una fatica. Anche se, soprattutto in questi mesi, la preghiera è una tradizione che ho sempre cercato di continuare. Intuisco che devo andare ogni domenica a Messa, perché se dovessi mancare una sola volta sarebbe l’inizio di una dimenticanza perenne.
Non capisco come Dio possa essere una presenza che ci ama in quanto, avendoci prima dato dei doni, ce li ha poi tolti anzitempo. Ho aperto la porta a chi ne aveva bisogno e sono viva per miracolo. Vado in parrocchia ad offrire un po’ del mio tempo e devo riconoscere che mi è di conforto. La vostra compagnia mi fa piacere, ma tante volte non vorrei venire. Signore, cosa dovevo fare di più? Tutti voi avete trovato la fede. Io che mi trovo ancora così arrabbiata sono un’eccezione?
Don Giancarlo. Nonostante tu continui a frequentarci non è ancora subentrato in te l’atteggiamento di abbandono che ti permetta di guardare la tua storia come una realtà ricca di promesse. Non puoi però negare che ci sono stati altri periodi in cui i tuoi interventi lasciavano intravedere maggiore serenità. Continua a pregare aprendo il tuo cuore a Dio, l’unico che conosce tutto di te.
Pietro, dopo la Pasqua vissuta da rinnegatore, si è trovato di fronte a Gesù risorto che gli chiese per tre volte se lo amava. Dopo una pausa di riflessione rispose: “Signore, tu conosci tutto di me, sai chi ti amo”. Senz’altro, in quel momento, ricordava altri episodi drammatici della vita come quello del suo tradimento e quello in cui gli apostoli erano stati tentati di abbandonarlo perché il suo discorrere sull’Eucaristia aveva portato smarrimento nei loro cuori. Gesù li aveva lasciati liberi di andarsene perché ogni rapporto di amicizia è fondato sulla libertà. Pietro era però stato pronto alla replica: “Da chi potremmo andare dopo quanto abbiamo sperimentato con te. Solo Tu hai parole di vita eterna”.
Anche tu Anna Maria non puoi più fare a meno di noi. Ci appartieni e appartieni a Cristo.
Natale Colombo (Usmate). Giorgio Targa all’incontro di Rimini diceva: “In seguito all’evento siamo stati costretti a cambiare e, attraverso un cammino di fede, ci siamo resi conto che il Signore ci ha chiesto di passare da un atteggiamento di appropriazione a quello di adesione che fa intravedere un disegno più grande, forse incomprensibile, ma ultimamente di salvezza”. La sensibilità di questo amico ci può aiutare.
Nicoletta Rosselli (Varese). Cito da un libro che sto leggendo. “Cessa di ribellarti al dolore. Gesù non fuggì davanti alla Croce. Ricorda che ad ogni crocifissione segue sempre una resurrezione purché o accetti la crocifissione”.
Vito D’Incognito (Milano). Verso la fine di ottobre è morta una signora del paese in cui abbiamo vissuto quando Leonardo era piccolino. Dopo qualche giorno è morto un signore di cinquanta anni. I funerali si sono svolti al cimitero di Lambrate e ci è stato chiesto di dire qualcosa al termine del funerale. Ho trovato il coraggio di dire queste parole: “Se la nostra fede è abbastanza matura da riconoscere che dopo la Croce c’è la Resurrezione, mi piace pensare che il nipote corra incontro allo zio, magari insieme ai nostri figli”. La mia fede, soprattutto all’inizio della perdita di mio figlio Leonardo era inconsistente ma, dopo i primi tempi di ribellione, ho sentito dentro di me un grande desiderio di pregare. Prendevo la mano di Savina e pregavamo assieme. La preghiera è il modo per continuare ad essere vicini ai nostri figli. Anche le opere che ognuno di noi può intraprendere secondo la sua sensibilità dicono l’amore continuo verso i nostri figli e la sequela a Cristo.
L’esperienza di caritativa che ho in corso presso una mensa dei Francescani di Milano mi mette a contatto con persone sporche e mal vestite che ha un modo di relazionarsi aggressivo. Inizialmente mi ha provocato disagio e tentennamento che hanno messo alla prova la mia fede. Però non volevo fare caritativa per riempire dei vuoti o delle carenze ed ho cercato di capire le motivazioni che mi muovevano. Il cammino è qualcosa che riguarda la nostra interiorità e il modo con cui rinunciamo a noi stessi per aprirci agli altri. Sono lì per testimoniare Cristo indipendentemente dalle situazioni in cui mi posso trovare.
Giuseppe Forame (Milano). Frequento il gruppo da otto anni. Non ero presente al Meeting di Rimini. Mi ha però sollecitato l’intervento di un giornalista che diceva: “Chi è soggetto ad un’esperienza di dolore, come siete stati soggetti voi, in genere cerca di dimenticare ciò che gli è successo. Voi, invece, cercate di ricordarlo. Cosa vi spinge a ritrovarvi dopo tanti anni?” Per me è stata una grazia grande l’aver incontrato degli amici e il poter incontrare altre persone a cui poter donare quanto ho ricevuto. Ho bisogno di venire qua una volta al mese per ritrovare nel volto degli amici il volto di Cristo. Un’esperienza come la nostra è una fonte alla quale abbeverarci per le esperienze di vita e di spiritualità accumulatesi tra di noi in questi anni. Non posso disertare il gruppo di Famiglie in Cammino perché fa bene al mio modo di essere, mi rincuora e mi dà la possibilità di affrontare un altro mese, magari carico di difficoltà.
La preghiera mi ha aiutato in modo profondo e mi ha dato la possibilità di liberarmi dal peso di quei primi giorni. Poi mi sono reso conto che si è trasformata in una cosa diversa. Ho accettato quello che il Papa ha detto oggi durante l’Angelus: dobbiamo accettare la storia dell’uomo. E la storia dell’uomo è fatta di disgrazie, guerre, pestilenze e quindi di sofferenze. Ho accettato l’evidenza. Sono passato dalla mentalità di poter bastare a me stesso senza dover dipendere da nessuno alla scelta di affidarmi ogni mattina a Colui che ha in mano in mio destino.
Natale Colombo (Usmate). La nostra storia fatta di drammi ci dà la possibilità di arricchirci umanamente e di diventare più buoni. Ho imparato a volermi bene in modo da voler bene anche agli altri. Il dramma che abbiamo vissuto e che viviamo è il dramma dell’esistenza e che la vita ci mette davanti ogni giorno. Attraverso il dolore abbiamo la possibilità di imparare a vivere in modo più vero.
Don Giancarlo. L’ incontro odierno ha riproposto un’evidenza: la croce. La croce c’è e la vita ne rimane segnata. La sofferenza è ineliminabile sia perché castigo del peccato originale sia perché Dio, attraverso suo Figlio Gesù, l’ha scelta come strada per ridare speranza all’uomo. Tale evidenza non è però la novità di oggi.
La novità è la vittoria, la trasfigurazione della sofferenza che i vostri interventi hanno documentato con grande beneficio del cuore. La condizione che ha permesso oggi di parlare di vittoria nelle prove e di rivincita sul male, è la vostra fede. Molti di voi l’hanno potenziata e purificata passando attraverso il crogiolo delle prove. Come Gesù sulla croce avete imparato a vivere l’atteggiamento di Gesù “Alle tue mani affido il mio cuore perchè il tuo disegno si compia.” Tale fede è da domandare e da sperimentare come criterio che illumina il cammino e dà unitarietà a tutte le espressioni della nostra vita.
La fede che mette il nostro io in rapporto col tu di Dio aiuta innanzitutto a voler bene a sé. Nella varietà delle situazioni, se ci lasciamo illuminare dalla presenza di Cristo che ci dà la forza (tutto posso in colui che mi dà la forza), si impara ad avere uno sguardo più vero e più profondo su di sé che spinge ad amare la propria pienezza umana. La conseguenza è una nuova coscienza di sé come figlio/a con cui Dio vive un rapporto di amore unico e irripetibile.
Il Papa nel suo discorso a Vienna dice: “Gesù non ci insegna una mistica degli occhi chiusi ma una mistica dello sguardo aperto e, con ciò, del dovere assoluto di percepire la condizione degli altri, la situazione in cui si trova quell’uomo che, secondo il Vangelo, è nostro prossimo. Lo sguardo di Gesù, la scuola degli occhi di Gesù, introduce in una vicinanza umana, nella solidarietà, nella condivisione del tempo, nella condivisione delle doti e anche dei beni materiali. Sì, devo diventare una persona che ama, una persona il cui cuore è aperto per lasciarsi turbare di fronte al bisogno dell’altro”.
Il primo prossimo sono io per me stesso. “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore. Amerai il prossimo tuo come ami te stesso”. Uno sguardo di amore e di considerazione su di sé in quanto eletto, prediletto, salvato, amato e mandato a offrire, a portare lo sguardo, la mistica degli occhi aperti.
Tutti percorrono la strada della vita ma pochi quella interiore che mira a coltivare il contenuto della identità ricevuta nel Battesimo. Solo chi fa un cammino interiore ed è aiutato a stare in ascolto del suo cuore e delle sue esigenze, può soddisfarle.La preghiera è affidamento, consegna di sé a Dio che provvede a tutto e in tutto.
Stiamo imparando a portare sull’esistenza un giudizio di valore e di merito che prima non avevamo. Riuscire a dire che la perdita è stata un dono e ringraziare anche delle croci, perché attraverso di esse si capiscono cose impensabili, è frutto della fede in Cristo che ha dato dignità e sensibilità culturale al vivere.
Ci salutiamo con le parole di suor Marcella: “La carità non programma un esito. La carità è. Per questo non si fa carità. Si è carità. Il cuore e lo sguardo diventano carità, perché modellati dal cuore e dallo sguardo di Gesù. Pensiamo ai grandi santi della carità che la Chiesa ci consegna, essi hanno dato la vita vivendola come vocazione, senza porre condizioni e ora ci sono indicati come compagni di strada a cui guardare. La carità diventi, quindi, il nostro sguardo sull’uomo e sulla realtà, Non perché siamo bravi, ma perché era ed è lo sguardo di Cri
Anna Rimoldi (Busto A.). Ho riletto il resoconto dell’assemblea di Rimini con uno spirito diverso rispetto a quello con cui l’ho vissuto al Meeting. Ho voluto provare a rileggere gli interventi con uno sguardo trasversale che li comprendesse un po’ tutti. Mi è sembrato così di cogliere alcune sollecitazioni che al Meeting non avevo colto.
Dal racconto delle nostre esperienze, innanzitutto, emerge più che una familiarità con il dolore, una familiarità con la grazia. Non credo sia fuori di luogo accostare le parole di Paolo “per grazia siamo quello che siamo…”.Io non mi permetto di pensare che sia stata una grazia quello che ci è successo ma sono sicura che la grazia e la misericordia del Signore ci siano venute incontro e ci abbiano sostenuto nelle ore più tremende. Nei giorni della disperazione, la grazia del Padre ha indirizzato la nostra libertà a dire: “Se tu mi stai vicino, Signore, accetto questa prova e mi metto alla tua sequela purché tu la carichi di significato e di speranza e tu collochi questo dolore e tutti gli altri in un disegno che mi restituisca una vita vera e senza fine”. Chi è riuscito a trasfigurare il suo dolore è perché l’ha accolto e l’ha consegnato nelle mani di Dio. In tali persone, nel tempo, è fiorito il frutto della pace che non è da confondere con la dimenticanza o la “normalizzazione” della vita.
L’altra cosa riguarda la nostra ferita che, è vero, si rimarginerà solo in cielo, cioè in una condizione in cui il rapporto con i nostri figli sarà diretto e non più velato come ora. Una ferita aperta può anche degenerare e marcire. La vita raccontata dei nostri amici mi ha fatto pensare a una ferita in fase di fioritura. Da essa infatti è nato un bene grande per loro e per altri. Dalla loro ferita è fiorita la capacità di ascoltare, di accogliere, di condividere, di operare in mille modi perché il bene cresca e si affermi. Io credo che chiunque incontri uno di voi incontri uno che gli sa trasmettere fiducia, forza e speranza.
Don Giancarlo. La riflessione di Anna ci ha permesso di scoprire che la parola disgrazia porta in sé la matrice della parola grazia, una grazia che, ovviamente, dipende dal disegno di Dio e dal tempo occorrente all’uomo per imparare a riconoscere la voce di Dio. Il tempo di Dio, senza la docilità del cuore dell’uomo, non può far trasparire quanto Gesù definisce “centuplo quaggiù ”.
L’uomo senza Dio è solo capace di fare marcire le opportunità di salvezza. E una vita che marcisce non può dare frutto. Un sintomo del marcire è la normalizzazione della vita che tende a spingere certi eventi sulla rotatoria della trascuratezza, dell’oblio o dell’abitudine. L’uomo ha sempre bisogno di riconsegnare a Dio sé e i doni avuti (poi magari sottratti), per capire che nulla gli è dovuto ma che tutto è dato. Molti di voi, dopo l’esperienza della perdita dei figli, hanno intrapreso opere in favore di altri. A partire dal dolore le loro condizioni di vita sono cambiate. Molti hanno recuperato una fede più profonda e altri hanno scoperto ambiti di servizi e di caritative che aiutano a capire come l’amore consista nel donarsi. Dove c'è amore c'è vita.
Suor Marcella, francescana della carità che vive la missione in una bidonville di Port au Prince ad Haiti, ha inviato una lettera in cui ci fa partecipi del suo compito.
“La Carità (amore oblativo) è gratuita, non domanda nulla in cambio, abbraccia e basta. La Carità salva la libertà. La Carità non si pone un esito, la Carità è. Per questo non si fa la carità, si è carità, cioè il cuore e lo sguardo diventano carità, perché modellati dal cuore e dallo sguardo di Cristo. Pensiamo ai grandi santi della carità che la Chiesa ci consegna. Un Vincenzo de Paoli, una Elisabetta d’Ungheria, una Francesca de Chantal, una Francesca Romana, un Filippo Neri, un Camillo de Lellis e via via fino ad una beata Teresa di Calcutta…hanno dato la vita vivendola come vocazione, senza porre condizioni e ora ci sono indicati come compagni di strada a cui guardare”.
La disgrazia può diventare grazia se rispetta le condizioni dell’incontro fra la libertà dell’uomo che soffre e la libertà di Dio che si è fatto uomo per conoscere la sofferenza e per redimerla. Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica Redemptor hominis, ha scritto: “Non abbiate paura di Cristo. Spalancate le porte del cuore a Cristo perché Lui è l’unico che vi conosce”. E’ venuto a svelare all’uomo la sua identità più profonda: di essere simile a Lui
Savina D’Incognito (Milano). Vi porto i saluti di Antonio che sta meglio ma dovrà affrontare un intervento molto delicato. Oggi, dopo dieci anni, capisco che la grave tragedia della mia vita è coincisa con una chiamata. Sono arrivata a capire che Dio è in ciascuno di noi e ci chiama in modo impercettibile aspettando che noi lo lasciamo entrare. Ha chiamato anche me. Quando è successa la tragedia ero disperata e confusa perché avevo perso la mia identità di mamma. In quel momento ho puntato su Dio, mi sono affidata a Lui e gli ho chiesto di sostenermi nel cammino della vita perché da sola non ce l’avrei fatta.
Dopo dieci anni posso riconoscere e confessare di essere stata spinta da Lui a iniziare un cammino che ha cambiato la mia vita soprattutto nel modo di guardare le cose e chi incontro sulla mia strada. Sento che questo cammino di conoscenza e di relazione con Cristo durerà tutta la vita. Capisco che l’amore che Lui ci chiede è una spogliazione di noi stessi che ci liberi da tante dipendenze. Mi sento comunque serena. So che Lui è con me e questo mi porta tanta gioia. Senza di Lui non sono niente.
Chiedo la grazia di continuare il cammino intrapreso.
Anna Maria Brunelli (Milano). Io ho dentro una grande rabbia. La Messa e la preghiera sono diventate una fatica. Anche se, soprattutto in questi mesi, la preghiera è una tradizione che ho sempre cercato di continuare. Intuisco che devo andare ogni domenica a Messa, perché se dovessi mancare una sola volta sarebbe l’inizio di una dimenticanza perenne.
Non capisco come Dio possa essere una presenza che ci ama in quanto, avendoci prima dato dei doni, ce li ha poi tolti anzitempo. Ho aperto la porta a chi ne aveva bisogno e sono viva per miracolo. Vado in parrocchia ad offrire un po’ del mio tempo e devo riconoscere che mi è di conforto. La vostra compagnia mi fa piacere, ma tante volte non vorrei venire. Signore, cosa dovevo fare di più? Tutti voi avete trovato la fede. Io che mi trovo ancora così arrabbiata sono un’eccezione?
Don Giancarlo. Nonostante tu continui a frequentarci non è ancora subentrato in te l’atteggiamento di abbandono che ti permetta di guardare la tua storia come una realtà ricca di promesse. Non puoi però negare che ci sono stati altri periodi in cui i tuoi interventi lasciavano intravedere maggiore serenità. Continua a pregare aprendo il tuo cuore a Dio, l’unico che conosce tutto di te.
Pietro, dopo la Pasqua vissuta da rinnegatore, si è trovato di fronte a Gesù risorto che gli chiese per tre volte se lo amava. Dopo una pausa di riflessione rispose: “Signore, tu conosci tutto di me, sai chi ti amo”. Senz’altro, in quel momento, ricordava altri episodi drammatici della vita come quello del suo tradimento e quello in cui gli apostoli erano stati tentati di abbandonarlo perché il suo discorrere sull’Eucaristia aveva portato smarrimento nei loro cuori. Gesù li aveva lasciati liberi di andarsene perché ogni rapporto di amicizia è fondato sulla libertà. Pietro era però stato pronto alla replica: “Da chi potremmo andare dopo quanto abbiamo sperimentato con te. Solo Tu hai parole di vita eterna”.
Anche tu Anna Maria non puoi più fare a meno di noi. Ci appartieni e appartieni a Cristo.
Natale Colombo (Usmate). Giorgio Targa all’incontro di Rimini diceva: “In seguito all’evento siamo stati costretti a cambiare e, attraverso un cammino di fede, ci siamo resi conto che il Signore ci ha chiesto di passare da un atteggiamento di appropriazione a quello di adesione che fa intravedere un disegno più grande, forse incomprensibile, ma ultimamente di salvezza”. La sensibilità di questo amico ci può aiutare.
Nicoletta Rosselli (Varese). Cito da un libro che sto leggendo. “Cessa di ribellarti al dolore. Gesù non fuggì davanti alla Croce. Ricorda che ad ogni crocifissione segue sempre una resurrezione purché o accetti la crocifissione”.
Vito D’Incognito (Milano). Verso la fine di ottobre è morta una signora del paese in cui abbiamo vissuto quando Leonardo era piccolino. Dopo qualche giorno è morto un signore di cinquanta anni. I funerali si sono svolti al cimitero di Lambrate e ci è stato chiesto di dire qualcosa al termine del funerale. Ho trovato il coraggio di dire queste parole: “Se la nostra fede è abbastanza matura da riconoscere che dopo la Croce c’è la Resurrezione, mi piace pensare che il nipote corra incontro allo zio, magari insieme ai nostri figli”. La mia fede, soprattutto all’inizio della perdita di mio figlio Leonardo era inconsistente ma, dopo i primi tempi di ribellione, ho sentito dentro di me un grande desiderio di pregare. Prendevo la mano di Savina e pregavamo assieme. La preghiera è il modo per continuare ad essere vicini ai nostri figli. Anche le opere che ognuno di noi può intraprendere secondo la sua sensibilità dicono l’amore continuo verso i nostri figli e la sequela a Cristo.
L’esperienza di caritativa che ho in corso presso una mensa dei Francescani di Milano mi mette a contatto con persone sporche e mal vestite che ha un modo di relazionarsi aggressivo. Inizialmente mi ha provocato disagio e tentennamento che hanno messo alla prova la mia fede. Però non volevo fare caritativa per riempire dei vuoti o delle carenze ed ho cercato di capire le motivazioni che mi muovevano. Il cammino è qualcosa che riguarda la nostra interiorità e il modo con cui rinunciamo a noi stessi per aprirci agli altri. Sono lì per testimoniare Cristo indipendentemente dalle situazioni in cui mi posso trovare.
Giuseppe Forame (Milano). Frequento il gruppo da otto anni. Non ero presente al Meeting di Rimini. Mi ha però sollecitato l’intervento di un giornalista che diceva: “Chi è soggetto ad un’esperienza di dolore, come siete stati soggetti voi, in genere cerca di dimenticare ciò che gli è successo. Voi, invece, cercate di ricordarlo. Cosa vi spinge a ritrovarvi dopo tanti anni?” Per me è stata una grazia grande l’aver incontrato degli amici e il poter incontrare altre persone a cui poter donare quanto ho ricevuto. Ho bisogno di venire qua una volta al mese per ritrovare nel volto degli amici il volto di Cristo. Un’esperienza come la nostra è una fonte alla quale abbeverarci per le esperienze di vita e di spiritualità accumulatesi tra di noi in questi anni. Non posso disertare il gruppo di Famiglie in Cammino perché fa bene al mio modo di essere, mi rincuora e mi dà la possibilità di affrontare un altro mese, magari carico di difficoltà.
La preghiera mi ha aiutato in modo profondo e mi ha dato la possibilità di liberarmi dal peso di quei primi giorni. Poi mi sono reso conto che si è trasformata in una cosa diversa. Ho accettato quello che il Papa ha detto oggi durante l’Angelus: dobbiamo accettare la storia dell’uomo. E la storia dell’uomo è fatta di disgrazie, guerre, pestilenze e quindi di sofferenze. Ho accettato l’evidenza. Sono passato dalla mentalità di poter bastare a me stesso senza dover dipendere da nessuno alla scelta di affidarmi ogni mattina a Colui che ha in mano in mio destino.
Natale Colombo (Usmate). La nostra storia fatta di drammi ci dà la possibilità di arricchirci umanamente e di diventare più buoni. Ho imparato a volermi bene in modo da voler bene anche agli altri. Il dramma che abbiamo vissuto e che viviamo è il dramma dell’esistenza e che la vita ci mette davanti ogni giorno. Attraverso il dolore abbiamo la possibilità di imparare a vivere in modo più vero.
Don Giancarlo. L’ incontro odierno ha riproposto un’evidenza: la croce. La croce c’è e la vita ne rimane segnata. La sofferenza è ineliminabile sia perché castigo del peccato originale sia perché Dio, attraverso suo Figlio Gesù, l’ha scelta come strada per ridare speranza all’uomo. Tale evidenza non è però la novità di oggi.
La novità è la vittoria, la trasfigurazione della sofferenza che i vostri interventi hanno documentato con grande beneficio del cuore. La condizione che ha permesso oggi di parlare di vittoria nelle prove e di rivincita sul male, è la vostra fede. Molti di voi l’hanno potenziata e purificata passando attraverso il crogiolo delle prove. Come Gesù sulla croce avete imparato a vivere l’atteggiamento di Gesù “Alle tue mani affido il mio cuore perchè il tuo disegno si compia.” Tale fede è da domandare e da sperimentare come criterio che illumina il cammino e dà unitarietà a tutte le espressioni della nostra vita.
La fede che mette il nostro io in rapporto col tu di Dio aiuta innanzitutto a voler bene a sé. Nella varietà delle situazioni, se ci lasciamo illuminare dalla presenza di Cristo che ci dà la forza (tutto posso in colui che mi dà la forza), si impara ad avere uno sguardo più vero e più profondo su di sé che spinge ad amare la propria pienezza umana. La conseguenza è una nuova coscienza di sé come figlio/a con cui Dio vive un rapporto di amore unico e irripetibile.
Il Papa nel suo discorso a Vienna dice: “Gesù non ci insegna una mistica degli occhi chiusi ma una mistica dello sguardo aperto e, con ciò, del dovere assoluto di percepire la condizione degli altri, la situazione in cui si trova quell’uomo che, secondo il Vangelo, è nostro prossimo. Lo sguardo di Gesù, la scuola degli occhi di Gesù, introduce in una vicinanza umana, nella solidarietà, nella condivisione del tempo, nella condivisione delle doti e anche dei beni materiali. Sì, devo diventare una persona che ama, una persona il cui cuore è aperto per lasciarsi turbare di fronte al bisogno dell’altro”.
Il primo prossimo sono io per me stesso. “Amerai il Signore Dio tuo, con tutto il cuore. Amerai il prossimo tuo come ami te stesso”. Uno sguardo di amore e di considerazione su di sé in quanto eletto, prediletto, salvato, amato e mandato a offrire, a portare lo sguardo, la mistica degli occhi aperti.
Tutti percorrono la strada della vita ma pochi quella interiore che mira a coltivare il contenuto della identità ricevuta nel Battesimo. Solo chi fa un cammino interiore ed è aiutato a stare in ascolto del suo cuore e delle sue esigenze, può soddisfarle.La preghiera è affidamento, consegna di sé a Dio che provvede a tutto e in tutto.
Stiamo imparando a portare sull’esistenza un giudizio di valore e di merito che prima non avevamo. Riuscire a dire che la perdita è stata un dono e ringraziare anche delle croci, perché attraverso di esse si capiscono cose impensabili, è frutto della fede in Cristo che ha dato dignità e sensibilità culturale al vivere.
Ci salutiamo con le parole di suor Marcella: “La carità non programma un esito. La carità è. Per questo non si fa carità. Si è carità. Il cuore e lo sguardo diventano carità, perché modellati dal cuore e dallo sguardo di Gesù. Pensiamo ai grandi santi della carità che la Chiesa ci consegna, essi hanno dato la vita vivendola come vocazione, senza porre condizioni e ora ci sono indicati come compagni di strada a cui guardare. La carità diventi, quindi, il nostro sguardo sull’uomo e sulla realtà, Non perché siamo bravi, ma perché era ed è lo sguardo di Cri