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Febbraio: Incontro Mensile

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INCONTRO DI FEBBRAIO 2006
 


Natale Colombo (Usmate). Un saluto cordiale a tutti voi. L’essere qui dimostra che in noi c’è un gran senso dell’amicizia.Vogliamo ringraziare il Signore per la bellezza del nostro stare insieme e per l’opportunità che ci offre di raccontarci le nostre esperienze di vita.

Don Giancarlo. Preghiamo tenendo presente che la fatica e la gioia del vivere hanno sempre bisogno di risorse che diano speranza al cuore. La situazione mondiale con le tensioni che stanno infuocando il mondo e con il recente attacco all’ambasciata italiana in Libia, offre uno scenario preoccupante. Preghiamo la Madonna per la pace nel mondo.

La domenica è la memoria settimanale della Pasqua. Essa carica il tempo di una prospettiva eterna e rassicura l’ uomo circa la possibilità di vincere il limite della fine, del peccato e della morte. Pensiamo al destino dei nostri ragazzi e dei nostri morti. Pensiamo al nostro futuro nell’orizzonte della luce irradiata dalla Pasqua. Non è più come prima, è meglio di prima. Gesù con la resurrezione ha redento tutto. “Avendo amato i suoi li amò sino alla fine”. “Padre tutto è compiuto e, reclinato il capo, emise il suo spirito”. Morire è offrire a Dio l’ultimo respiro, il respiro più decisivo della vita. In quel respiro tutto viene giocato. E’ il respiro della nostra speranza o della nostra condanna. Le nostre giornate devono prendere forza dallo spirito di Cristo. Il segreto della vita ci viene svelato dall’ultimo respiro di Gesù, sintesi della sua fede, speranza e amore al Padre e all’uomo.

I nostri antenati Ebrei hanno celebrato la Pasqua dopo circa tre secoli d’esilio in Egitto. Erano i portatori della speranza nel mondo perché avevano Dio come alleato. Una volta in salvo Mosè ha invitato il popolo a ringraziare Dio riconoscendo che la liberazione dalla schiavitù era suo dono. La preghiera di Esodo 15 “Mia forza e mio canto è il Signore, Egli mi ha salvato” è nata in quel contesto.

Recita della preghiera ed esecuzione di qualche canto

Dal nostro testo a pag. 82: “Pensate, Dio che nasce dalle viscere di una ragazza! Se non sobbalziamo, è perché si afferma una cosa cui poi non si pensa, ma in questa frase, in questo messaggio, vibra tutta una diversità che diventa d’una imponenza innegabile. Nella vita uno può continuare a fare tutto quello che vuole, ma non potrà mai sottrarsi completamente al giudizio di questa verità: Dio ha scelto di essere familiare. Se è familiare, vuol dire che i suoi passi sono insieme ai miei. Come diceva Mosè sul monte Oreb: “Signore, se tu non cammini con noi, noi non ci muoveremo di qui”. Potrebbe essere l’orazione del mattino più bella per un cristiano.


L’incedere dei passi di Gesù in mezzo a tutti i passi che le nostre gambe fanno durante la giornata, questo è il miracolo; in ogni giornata è più il miracolo che il non-miracolo! Gli avvenimenti di San Pampuri sono, per esempio, una grazia eccezionale. Ma di che grazia si tratta? Della grazia di Dio che ci costringe a capire che Lui è familiare! Perciò il miracolo non è una cosa strana: è una cosa normale! E non c’è niente che possa farci sentire investiti da un sentimento originalmente e tendenzialmente unitario, niente che possa farci sentire fratelli, fraternamente, come il fatto di questo Mistero che è tra noi, che, come tale, porta tra noi ogni giorno una sovrabbondante testimonianza di Sé, un sovrabbondante conforto di miracolo. Come ho sorpreso in mia mamma quando ero ancora ragazzo. Allora non capivo, ma mi ricordo benissimo mia mamma che, a un certo punto, mentre stava lavando i piatti, si fermava; c’erano ancora tutti i piatti da lavare, e si fermava: ho capito da grande che, per un istante, pregava. Neanche i più grandi filosofi, Socrate o Platone (i nostri contemporanei sono più piccoli!!), potevano immaginare una cosa del genere: che un gesto così immanente al livello delle cose naturali potesse fiorire nella sua dimensione di rapporto con l’infinito, come è l’offerta a Dio di una atto che si fa. Il miracolo coincide con la bontà e la giustizia stessa della nostra vita, talmente Dio, rendendosi familiare a noi, come metodo, riempie la nostra vita di miracolo, innanzitutto facendo diventare miracolo tutto quello che facciamo. Questa confidenza senza fondo con la presenza del Signore rende capaci di qualsiasi cosa.”


La familiarità con Dio, nel 1200, ha reso capace San Francesco, di recarsi in Turchia dal Sultano per convertirlo Per un certo tempo si è fermato a corte per parlargli di Cristo.
Questa prospettiva, nella grandiosità del suo respiro, è commovente. E’ solo all’interno di un rapporto familiare con Gesù che l’uomo si trova capace di cose impossibili come il ripensare la perdita di un figlio non più sotto la spinta della recriminazione ma dell’affidamento. “Sia fatta la Tua volontà…” “ So che mi vuoi bene, che sei con me. Mi aggrappo alla tua misericordia che mi fa risalire dall’abisso della prostrazione…”. La misericordia divina ci eleva a una condizione di pensiero, di di sguardo e di giudizio che fanno ricuperare il gusto della cose. Questo è l’impossibile divenuto possibilità dopo la notte della tragedia. E’ un’esperienza così viva che cerchiamo di comunicarla ad altri. La familiarità di Dio la percepiamo nella familiarità degli amici che misteriosamente portano al cambiamento. Noi siamo la carne di Dio. Gesù ha detto: “Chi incontra voi incontra me perché voi siete la mia carne, siete il mio corpo, siete sangue del mio sangue”. Paolo parlando dei cristiani li definisce consanguinei di Cristo.

Maria Bencaster (Milano). La mia nipotina di tre anni e mezzo mi ha stupita. La sera recitiamo assieme le preghiere e ha aggiunto: “Gesù, ti ringrazio per avermi dato la nonna come amica”. Il Signore, attraverso le parole della mia nipotina, mi ha aperto una nuova prospettiva A questo punto della mia vita mi affido alla speranza di ricongiungermi con mio figlio e con i miei cari. La vita mi riserva ancora dei compiti. Mio marito Antonio, venendo qui, ha trovato tanti amici e venendo più regolarmente ai nostri incontri è più assiduo anche alla celebrazione della Messa.

Marisa Crolla (Busto A.). Simonetta di Pesaro mi ha telefonato dicendomi che il marito stava morendo e che stavano affrontando il passaggio in modo abbastanza sereno. Questo è stato possibile grazie anche alla nostra amicizia. Chiede le nostre preghiere.
Questo periodo è stato segnato anche dalla nascita del nostro nipotino. Vi ringrazio per esserci stati vicini. Non mi sentivo pronta a fare la nonna. La vita che continua attraverso Erika, tanto tenera nell’accudire Stefano, è una cosa sorprendentemente grande. Vedere questi due giovani, sereni e responsabili nel loro compito, mi dà grande forza diversa oltre alla possibilità di amare questa nuova vita. Il cammino di fede che è continuato con voi ha aiutato me e Marcello ma anche Erika e Antonio a perseverare nel nostro compito.

Giorgio Targa (Milano). Qualche volta il Signore ci invita a camminare da soli. Ce lo dice anche il Vangelo di oggi. Il Signore, dopo aver perdonato e guarito il paralitico, lo rimanda a casa dicendogli: “Prendi il tuo lettuccio e va’ a casa tua”. Tutti si meravigliano.
Anche noi, al momento della disgrazia, eravamo a terra, distrutti. Abbiamo chiesto aiuto al Signore che ci ha risanato e resi consapevoli di un nuovo compito: essere testimoni per altri genitori, portando sempre con noi il “lettuccio” per non dimenticare mai chi siamo e il cammino che abbiamo intrapreso.

Don Giancarlo. Sabato scorso, con un gruppetto di persone, eravamo al Famedio di Milano; abbiamo recitato il Rosario e celebrato una Messa in suffragio di don Giussani nel primo anniversario della morte. Era l’11 febbraio, giorno dell’apparizione di Maria a Lourdes e la giornata mondiale del malato. Sono rimasto sorpreso nel vedere sulla lapide tre cuori, segno religioso di grazia ricevuta. Quando si riceve una grazia, si vive di essa. Ricordiamocelo. L’uomo che tiene viva la memoria di incontri o esperienze che lo hanno positivamente segnato, vive di essi e, nei momenti di maggiore fatica, vi si aggrappa come a un ancora di speranza.
Anche il male fatto può essere recuperato dal miracolo della misericordia di Dio. Di quello che ci succede nulla è da buttare, nulla è dovuto al caso. Tutto è previsto e contenuto nel disegno di Dio che mira al bene di ogni uomo.

Natale Colombo (Usmate). Questo periodo è stato segnato dalla morte del figlio di un cugino. E’ stato un evento drammatico, non solo perché questo ragazzo è mancato dopo un anno di malattia ma anche perché ha rifiutato il funerale religioso. Con massimo rispetto ma con l’amarezza nel cuore abbiamo accompagnato il feretro al cimitero. Sono certo che la misericordia di Dio ha saputo leggere le ragioni del rifiuto e gli abbia dato la possibilità di desiderare la sua salvezza eterna.
Giovedì sera mi ha colpito la domanda che don Giancarlo ha rivolto a un gruppo di noi, se continuiamo a sentirci e a tenere i contatti con gli amici di Famiglie in cammino. Il rischio, diceva lui, è di dare per scontato tutto, anche il fatto di essere amici.

Don Giancarlo. La mia osservazione era dettata dalla preoccupazione di verificare la continuità e la consistenza del nostro cammino. Gli incontri significativi della vita dovrebbero generare legami stabili fra le persone che cercano di condividersi nel solco della idealità cristiana. Tutto però è affidato alla libertà.

Giorgio Macchi (Varese). Vorrei raccontarvi della settimana bianca che è stata bellissima. Ho anche il compito di portarvi i saluti di un gruppo di famiglie che hanno perso i figli e incontrate un paio di anni fa a Molina di Fiemme. All’inizio ho sentito il dovere di fermarmi a salutare, poi la visita si è trasformata in piacere.
Prima di incontrarci queste famiglie vivevano il loro dolore in solitudine. Nessuno aveva il coraggio di compiere il primo passo. Adesso sono circa una ventina e regolarmente si incontrano. Entrando in casa della signora che conduce il gruppo, la prima cosa che ho visto è stato il sunto mensile dei nostri incontri, con alcune parti sottolineate. I rapporti crescono anche se noi non ce ne accorgiamo.


Quest’anno ho trascorso la settimana bianca con amici che conosco da diversi anni. La loro fede cristiana è molto limitata. Il primo giorno mi sono ritrovato a recitare l’Angelus da solo, in funivia. Questa cosa mi ha lasciato un po’ triste. Ho chiesto allora agli amici di recitare l’Angelus insieme e anche se in funivia era difficile rimanere vicini. Mi sono accorto che tutti prestavano attenzione a questo gesto. Un giorno siamo saliti sulla Marmolada e la bellezza era tale che ci è sembrato naturale recitare l’Angelus. Anche chi non lo conosceva si è messo in atteggiamento di preghiera. Ho pensato che spesso ci lasciamo frenare nel comunicare la nostra e fede e nel compiere il semplice gesto del pregare. E’ invece facile accendere la scintilla nelle persone che ci guardano.
La sera in albergo un amico, avendo letto una lettera di don Giussani per la morte di Lidia in cui dice che l’avvenimento della morte dei nostri figli è per noi uomini, mi chiedeva il significato di tale espressione. Ho cercato di spiegargli che lo scopo della vita è di portare la speranza cristiana a tutti, magari attraverso la sofferenza. Abbiamo passato tutta la serata a parlare di Cristo. Non ho convinto nessuno ma mi sono reso conto che hanno percepito la nostra esperienza come qualcosa di grande che donava anche a loro una pienezza diversa.

Don Giancarlo. Dopo una giornata trascorsa a sciare nello scenario incantato delle Dolomiti, se uno non ringrazia è come se gli mancasse qualcosa. Tutti, anche il più miscredente, quando si imbatte in qualcuno che fa affiorare il Mistero, riconosce che è vero e, se è vero, è anche bello o viceversa..


Quello che è in atto nella nostra vita, lo percepiamo noi, ma non è in atto perché nato da noi. Nei momenti lieti è più facile attribuirci la gioia che proviamo. Non si pensa che il bello ci è dato. Quando tutto va bene e’ più difficile recuperare la coscienza della dipendenza dal Mistero. La prova, al contrario, fa uscire dall’alone del sogno. Quando da circostanze drammatiche si è obbligati a capire il senso di ciò che è drammaticamente in corso, si ricupera la coscienza di essere creatura totalmente dipendente da Chi fa tutte le cose.

Quanto più ci educhiamo a vivere la dipendenza dal Mistero (che non è più enigmatico perché ha il volto di Cristo-amore (enciclica del papa Deus caritas est) e ha il nome di Padre) impariamo a vivere in modo più vero, più bello e più costruttivo. Impariamo a guardare la realtà con gli occhi positivi di Dio. I nostri occhi, spesso velati o abbagliati e, di conseguenza, impediti di leggere il profondo della realtà tornano a essere vivi e penetranti. Tutti i quattro evangelisti evidenziano lo sguardo scrutatore di Gesù, che penetrava le pieghe più profonde dell’io e che risvegliava, commoveva o placava. Ricordiamo la Samaritana alla quale Gesù svelò quello che di storto c’era nella sua vita. Ella non si sentì condannata bensì accolta. E Zaccheo cambiato dallo eguardo di Gesù?

Con questo incontro concludiamo la lettura e la riflessione del nostro testo. Dal prossim incominceremo la conoscenza dell’enciclica del Papa Benedetto XXVI: Deus Caritas Est.
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