Incontro del mese di Aprile 2013

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Milano, aprile 2013

IL DESIDERIO DI DIO

Possiamo dire con le parole di Pascal che “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. Quello che porta dentro di sé supera le sue capacità di spiegazione di vita, nella relazione con il Divino, con il Mistero.

 

NATALE (Usmate): Considerando la grande grazia ricevuta con l’avvento di papa Francesco, rifletteremo su questa novità di cambiamento che ci ha portato la Pasqua appena trascorsa. Ci racconteremo le esperienze da noi vissute, riflettendo sulla catechesi terza e quarta dell’Anno della Fede, che il Papa emerito Benedetto XVI ci ha presentato.

DON GIANCARLO: Benedetto XVI in questo Anno della Fede con le catechesi delle sue udienze, che da Dino potete ricevere via mail, aveva cominciato a sviluppare la natura della Fede, lo scopo e la connotazione di essa, personale ed ecclesiale, vale a dire comunitaria, quale è giunta fino a noi. Aveva quindi incominciato a trattare il Credo che recitiamo nella Messa. Ora, dopo la sospensione dovuta alla rinuncia di papa Benedetto XVI, da due mercoledì papa Francesco ha ripreso a sviluppare il Credo con le verità in esso presenti.

Ricordo che nessuno può vivere di rendita in rapporto al “destino”; uno vive di quello su cui il desiderio lo mobilita. Vi invito proprio a meditare la catechesi n. 3 di Benedetto XVI, che sviluppa una sola sottolineatura: la Fede è un dono che investe la persona e la persona quindi è chiamata a riconoscerlo, ad accoglierlo, a custodirlo e a verificarlo nell’esperienza, per poi comunicarlo nella testimonianza. La Fede è un dono, un compito, una missione. Una Fede cristiana che non è missionaria non è una Fede in Gesù Cristo, non è Fede cattolica; è una fede delle tante religioni che l’uomo inventa, mentre la Fede si fonda sulle rivelazioni che solo Dio compie. Questa Fede che investe la persona non può essere ridotta a fede individuale; è Fede comunionale, comunitaria, popolare perché la persona fa parte di un popolo. Il Battesimo ha incominciato questo inserendo la persona in Cristo che vive nella Chiesa e che a sua volta tramanda ciò che la tradizione evidente dei discepoli di Cristo ha seminato in azione nei vari cuori. Così ho riassunto la catechesi n. 3. Vi invito anche a soffermarvi sulla catechesi n. 4 che ha come tema il desiderio.

 

MATTEO (Busto Arsizio): Vorrei fare due citazioni. La prima è tratta dalla catechesi n.3 , in cui papa Benedetto XVI scrive: “Per larghi settori della società Egli non è più l’atteso, il desiderato, quanto piuttosto una realtà che lascia indifferenti”. La seconda è tratta dalla catechesi n. 4: “Nel passato, in Occidente, in una società ritenuta cristiana, la Fede era l’ambiente in cui ci si muoveva; il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana. Piuttosto era colui che non credeva a dover giustificare la propria incredulità”. Questo ci pone delle serie riflessioni rispetto alla società di oggi.

 

DON GIANCARLO: Il vivere in una società non cristiana non è solo questione di oggi. E’ un problema che risale ad almeno tre secoli. Un tempo l’antropologia era fondata sull’uomo-Dio, Gesù il Cristo; dal Settecento in poi non è più così. Oggi più che mai si è sull’orlo del precipizio: la società occidentale ha sposato il relativismo e il nichilismo. Il nichilismo ha portato l’uomo a dire che non c’è niente, non c’è nessuno su cui e per cui valga la pena costruire qualcosa; la verità non è Dio ma l’io; si vive l’istante per quello che l’istante ti può dare: il nichilismo è la “sbracatura” del materialismo edonista. Ne consegue in ambito politico e sociale l’ incapacità a guardare quello che noi chiamiamo il bene della nazione, il bene del nostro popolo, i suoi drammi. Nell’editoriale del giornale della parrocchia “Il Richiamo” ho scritto: “ In questi ultimi cinquanta giorni nei quali la Chiesa ha vissuto con progressive scariche di adrenalina spirituale la rinuncia di Papa Benedetto, la elezione di Papa Francesco e l’evento della Pasqua, mi son trovato a mettere a confronto la vita della Chiesa e quella della nostra società civile. Nella prima i fattori di imprevedibilità, sorpresa, carisma, gioia, speranza … hanno reso più percepibile ‘Il Mistero d’amore’ che sovrasta e guida la Storia. Test inconfondibili sono stati l’attenzione entusiastica alla figura e ai gesti del nuovo Papa e le folle che, partecipando alle liturgie della settimana santa e della Pasqua, hanno testimoniato di sapere dove attingere la speranza. Nella seconda, ossia la società civile, l’immobilismo, lo smarrimento e l’assenza di direzione rassicurante, stanno facendo montare lo sconcerto, la rabbia e la disperazione. Il diffondersi della violenza, la rassegnazione e i suicidi ne sono la riprova più drammatica. Oggi c’è bisogno di speranza. Ma chi la può donare e diffondere? Chi ne è ricco. E parto da una risposta che Enzo Jannacci in un’intervista fattagli ai tempi di Eluana ha dato. Hanno fatto la domanda a lui, pensando di averlo nel giro di coloro che erano a favore dello stacco della spina per la sua mentalità progressista evidenziata in tante situazioni; ha risposto che non avrebbe mai fatto una cosa del genere e ha aggiunto in positivo: ‘Ci vorrebbe una carezza del Nazareno’, che è diventato il titolo dell’editoriale. Ma sul desiderio è importante fermarsi perché uno spalancamento di prospettive è bellissimo.

 

DINO (San Lorenzo di Parabiago): Vorrei parlare del desiderio di avvicinarci a Dio che è accaduto a me e a mia moglie Tiziana. Una decina di anni fa abbiamo sperimentato la voglia di incontrare Gesù. Noi, come molti di voi sanno, eravamo lontanissimi dalla Fede; il nostro avvicinarci a Gesù ci ha scombussolato tutta la vita. Ragionando su quello che ci era successo e anche leggendo queste catechesi di papa Benedetto, ci siamo accorti che effettivamente tutto è nato dal desiderio di Dio, una cosa che all’inizio era ancora embrionale e di cui poi ci siamo accorti da situazioni molto concrete. “Il desiderio umano - afferma papa Benedetto - tende sempre a determinati beni concreti, spesso tutt’altro che spirituali” La parola “spirituali” non era proprio presente nella nostra vita. Alla domanda che papa Benedetto rivolge: “Che cosa può davvero saziare il desiderio dell’uomo?”, noi ci siamo accorti che una delle cose che ci dava maggior conforto era quella di occuparci l’uno dell’altra. Qualcosa cominciava a muoversi. Afferma ancora papa Benedetto: “Non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio che si ha”. Ci siamo buttati nella vita, non chiudendoci in noi stessi, ma aprendoci sempre di più. E’ stata una fatica, ma abbiamo cominciato da subito ad assaporare le gioie che la vita ci dona, cercando di rinunciare al nostro io per servire l’altro e facendo emergere il desiderio di Dio: le gioie della famiglia, dell’amicizia, della solidarietà con chi soffre, e a poco a poco altre cose: l’amore per la conoscenza, per l’arte, per le bellezze della natura, tante cose che non si sono risolte in un battibaleno, ma si sono risolte nel corso degli anni. Afferma ancora papa Benedetto: “Proprio le gioie più vere sono capaci di liberare in noi quella sana inquietudine che porta ad essere più esigenti, a volere un bene più alto, più profondo e insieme percepire con sempre maggiore chiarezza che nulla di finito può colmare il nostro cuore.”

Alla fine quello che ci siamo chiesti tante volte è come continuare questo cammino, che cosa fare per andare oltre. Ognuno di noi lo risolve con i doni che il Signore gli ha dato e che sono diversi gli uni dagli altri. Noi, chiedendo al Signore cosa volesse da noi, abbiamo pensato che il Signore ci volesse dare il compito di essere persone spirituali, di essere missionari nel mondo; vedere Lui attraverso la preghiera. Ciò che ci ha più coinvolto in questo decennio è stato proprio l’avvicinare noi e avvicinare il nostro prossimo con la preghiera a Lui. Tante volte ci siamo chiesti se è soltanto questo ciò che Dio ci chiede; noi crediamo di sì, ma, credetemi, non è così semplice. Papa Benedetto continua a ripeterci da più di due anni che la cosa più importante è la preghiera, perché alla Chiesa manca proprio la preghiera e manca soprattutto a noi cristiani, perché la preghiera è faticosa, perché tutti ci rendiamo conto che è un’impresa dato che ci mette a nudo. Innanzitutto ci impegna in termine di tempo e noi siamo sempre presi da mille cose, da impegni che ci servono da scusante per non pregare. Riteniamo che quello che abbiamo capito noi sia la cosa più importante di questa vita; è quello che ti permette di confrontarti con altri. L’inquietudine, di cui parla papa Benedetto, ci consente di non fermarci ai nostri limiti, ai nostri errori, ma di chiedere al Signore la grazia del suo aiuto: “ Aiutami Tu in modo che io possa essere pronto e preparato di fronte ai segni che mi darai.”

 

DON GIANCARLO: Questa testimonianza nella quale Dino ha ripercorso anche il suo prima dell’incontro di conversione e il dopo che ha segnato lo strappo della morte di suo figlio, fa vedere cosa sia la speranza; per dirla con la frase di Jannacci è già la carezza del Nazareno che ha accarezzato i loro cuori e la loro vita. Ha avuto l’umiltà, anche la forza di ribadire che questo è il loro cammino. Il Padre Eterno essendo un genio, l’unico genio onnipotente, riserva percorsi e cammini diversificati ai fini che Lui ha pensato dall’eternità e che conosce nel profondo. Insieme a questa testimonianza di umiltà e di riconoscenza, c’è una sottolineatura oggettiva che la preghiera è il biglietto da visita e il distintivo qualificante l’identità di Chiesa e su questo Dino ha fatto l’osservazione che nel mondo non si prega, mentre la preghiera non è una sorta di graffiata da portare a casa; di fronte a Dio ci riporta sempre all’essenziale. Vi ho già citato la lettera di una studentessa di Roma, una diciassettenne che si è suicidata. In questa lettera ringraziava la mamma e il papà perché non le avevano mai fatto mancare nulla del superfluo; poi però aggiungeva che le avevano fatto mancare l’essenziale e l’indispensabile: “E’ in forza di questa lacuna che io non ho più voglia di vivere”. Questa ragazza aveva tutto ma non l’indispensabile. Il superfluo oggi è contrabbandato dal nichilismo come necessario, ma fa venir meno la speranza in questo come su altri fronti. Quando un particolare diventa indispensabile siamo di fronte all’idolatria e l’idolo illude e poi scarica. Dico questo non come condanna, ma con amarezza e dolore. Quanta gente avendo il vuoto, non avendo seminato e coltivato la dimensione spirituale, la dimensione religiosa, di fronte al tramonto delle gioie naturali, non ha più nulla a cui aggrapparsi e si vede spalancarsi il precipizio, il vero contrario della speranza. Ieri io ho incontrato i padrini e le madrine dei cresimandi di quest’anno, ne abbiamo una ottantina; ho letto la lettera di una mamma di un cresimando che da noi preti aveva saputo che bisogna scegliere il padrino o la madrina non in modo formale ma sulla base di caratteristiche di idoneità che li rendano padri e madri non biologici ma spirituali come guide, come educatori, come compagni di strada ad un livello più profondo di quello che vivono i preadolescenti. Siccome nel giro sia suo sia del marito sia degli amici non c’era nessuno che rispondesse a questo requisito, aveva chiesto al mio coadiutore se poteva lei mamma fare la madrina di suo figlio. Aveva quindi cominciato a venire alla catechesi. Nel frattempo è accaduto un fatto; il compagno di banco di suo figlio in prima media ha avuto la mamma falcidiata da un male inguaribile. Lei era andata a trovarla insieme ad un’amica, una mamma che anche lei ha un figlio in prima media. Dall’incontro fatto con questa loro coetanea che era ormai alla fase terminale della vita, ha visto una speranza così semplice ma così contagiosa, come quella di cui parlava commuovendosi Dino, che, scrive: “Sono tornata a casa la sera, sotto i lampioni, trasformata. Lì lo Spirito Santo mi ha fatto intuire la cosa giusta. Chiedo a quella mamma che è venuta con me a trovare la comune amica, di fare da madrina a mio figlio, perché ho visto uno spessore di speranza che non conoscevo.” Questa mamma ha terminato la sua lettera dicendo che dobbiamo stare in ascolto dello Spirito Santo che ci sorprende e risveglia il desiderio di Dio, della Verità nei cuori attraverso le cose più imprevedibili, o anche le circostanze più drammatiche.

Dio è amore; è il genio che attraversa tutto e usa di tutto per la salvezza; è quello di cui Paolo nel capitolo ottavo della Lettera ai Romani scrive: “Tutto coopera al bene di coloro che amano Dio e hanno riconosciuto di essere amati”. L’uomo comincia ad amare quando riconosce di essere stato amato per primo. Se uno non riconosce questo, la prova lo fa diventare un ribelle perché la tentazione è porre il proprio io al centro del cosmo. Non è l’io il centro del cosmo, è Dio. Grazie Dino di quello che ci hai comunicato.

 

MARIA TERESA: Vorrei ricordare un padre che ha perso un figlio, forse in un incidente di moto, e che non trovava pace. Però da quando, quasi tutte le settimane, fa celebrare una Messa per suo figlio, dice che Gesù gli dà la forza per superare tutti gli ostacoli.

 

DON GIANCARLO: Nella Lettera agli Ebrei, l’autore scrive che Dio non prova mai l’uomo con pesi superiori alle sue possibilità o capacità di sopportazione. Dio siccome mira al bene, ci chiama alla salvezza, mira alla pienezza dell’umano dei singoli e, sulla scorta della Croce di Cristo, quindi della prova immeritata ma liberamente scelta e offerta da innocente per amore al Padre e per amore di tutti gli uomini, Dio permette le prove. Ma dà la possibilità a ciascuno, dall’inizio al termine della prova, di avere segni della sua presenza che danno conforto, danno sostegno. Dipende dal singolo mettere in moto tutto quello di cui è custode e titolare: libertà, ragione, affettività, dimensione religiosa … per cogliere questi segni, per lasciare emergere i desideri, perché la prova è un passaggio della vita, è un temporale nella grande stagione dell’umana avventura; non è tutto, non è il perimetro che racchiude tutto, è come uno scroscio di passaggio, ma dopo il temporale c’è il sole. Prima della morte c’è la vita, e anche dopo la morte c’è la vita; dalle sconfitte può nascere la vittoria. La guerra è il cammino al destino, le battaglie ne sono le prove in questa guerra esistenziale, in questo dramma esistenziale, che non toglie l’inquietudine. Anzi, fa dell’inquietudine la dimensione della vivezza, della freschezza della ricerca, del desiderio; questa inquietudine è una grazia da domandare perché siamo in una società che predica il contrario: basta non aver fastidi per sistemare la vita; alla buddista, in modo tale da non aver più passioni, desideri, emozioni, pulsioni, reazioni, per giungere all’atarassia, al nirvana. Ma la risposta autentica al dramma della vita è ben altro!

 

ANTONIETTA (Busto Arsizio): Voglio semplicemente dire questo. In me è sempre stato forte il desiderio di partecipare a questa assemblea per la ricchezza che la compagnia dà, ma per motivi vari di lavoro non mi è stato possibile. E devo ammettere che mi è molto mancata, perché è una linfa che mi accompagna.

 

DON GIANCARLO: E hai ragione perché se uno analizza questo testo di papa Benedetto sul desiderio a livello personale riceve sì una ricchezza, ma se lo fa con altri la ricchezza che ne viene fuori è diversa, più arricchente. La prima cosa che Gesù ha fatto da trentenne non è stata quella di predicare, ma di mettere insieme i dodici, perché dentro una convivenza creava una condizione per far assimilare la presenza sua di amico e di guida, di Rabbì ossia di Maestro. All’inizio non si è presentato come Maestro, ma come compagno di strada di Andrea e di Giovanni, che poi ne hanno invitati altri. A me ha colpito il fatto che nei tre anni di vita pubblica si è lasciato catturare dalla folla ma quando, dopo aver parlato alle folle rientrava alla sera, ascoltava i dodici che gli facevano domande, gli chiedevano spiegazioni e lui rispondeva, perché gli stava a cuore la Chiesa, La compagnia di amici, di fratelli, la comunità come scuola della vita, è la Chiesa vivente; non basta la sola Sacra Scrittura. E’ nella Chiesa vivente che ci si misura e ci si alimenta sui contenuti della Sacra Scrittura, letta e interpretata dal Magistero, non dall’intellettuale, non dal teologo, non dal carismatico e basta. Possono anche loro farlo con il loro contributo, ma la garanzia la danno i pastori, quelli che vivono con il gregge, convivendo con l’apertura del cuore allo spirito di verità, di amore, di intelligenza, di pietà, di timor di Dio. Nessuno è provato al di sopra delle sue forze e la prova è la strada scelta da Dio per suo Figlio, il Redentore.

 

GIORGIO (Milano): Anche noi abbiamo vissuto con il tuo aiuto, don Giancarlo, il desiderio di Dio e con esso abbiamo acquisito un bagaglio di conoscenza della Sua Parola, del Suo Vangelo, un Vangelo non teorico ma vivo. Come tu ci mostri, la Parola di Dio si attua nella vita di tante persone, nella Comunità attraverso il Magistero della Chiesa, attraverso i carismi. Dio è all’opera con ciascuno di noi, in modi diversi; questo ci ha dato il desiderio di ascoltare sempre la sua Parola e di verificare insieme ai fratelli come essa agisce. Ringrazio lo Spirito Santo che ci ha dato questo nuovo Pontefice: è proprio un Pastore, un Pastore che ha esortato i sacerdoti a fare i pastori in mezzo alle pecore, cioè ad essere vicini al mondo che ne ha particolarmente bisogno e a trasmettere la Parola di Dio con il loro esempio. Io ringrazio il Signore perché mi ha dato un cammino di Fede, mi ha dato la Chiesa, mi ha dato la Parola, mi ha dato questa comunità di fratelli con i quali condivido la stessa storia e continua a darci il suo aiuto per essere sempre in ascolto della Sua Parola e per verificarne l’importanza nella vita.

 

DON GIANCARLO: Riprendo il commento di Giorgio leggendo alcuni passaggi della riflessione di Benedetto XVI. La partenza l’aveva già citata Dino: non si può conoscere Dio a partire soltanto dal desiderio dell’uomo, nel senso religioso naturale; da questo punto di vista rimane il mistero. L’uomo è cercatore dell’assoluto, un cercatore a passi piccoli e incerti; tuttavia già l’esperienza del desiderio nel cuore inquieto, come richiamava Sant’Agostino, è un’esperienza assai significativa, importante; essa ci attesta che l’uomo nel suo profondo è un essere religioso, è un mendicante di Dio. Possiamo dire con le parole di Pascal “l’uomo supera infinitamente l’uomo”. Quello che porta dentro di sé supera le sue capacità di spiegazione di vita, nella relazione con il Divino, con il Mistero. Gli occhi, aggiunge il papa, riconoscono gli oggetti quando sono illuminati dalla luce; da qui il desiderio di conoscere la luce stessa che fa brillare le cose del mondo e con esse accende il senso della bellezza. Come spiegate l’avventura, che non abbandonerà mai l’uomo di esplorare lo spazio del cosmo, anche dopo aver conquistato la luna? Il desiderio dell’uomo è di arrivare al sole ossia alla fonte, alla sorgente della luce; ma non tutti nutrono questo desiderio, tanti si accontentano della luna. Il desiderio di conoscere la luce stessa e con essa il senso della bellezza ha delle implicazioni etiche. Dobbiamo ritenere che anche nella nostra epoca di scetticismo, relativismo, sia possibile aprire un cammino verso l’autentico senso religioso della vita, che mostra come il dono della Fede non sia assurdo. Dobbiamo conservare nella memoria i fattori decisivi, i criteri ; occorre promuovere la pedagogia del desiderio sia per il cammino di chi ancora non crede, sia per il cammino di chi ha già ricevuto il dono della Fede. C’è la conferma di quello che Giorgio ha ribadito: questo allargamento fa guardare con speranza anche chi è perso, vagabondo, errante, confuso e privo di aggancio al Mistero, a Dio. Chi ha avuto questo dono è chiamato a essere testimone, a fare del dono il contenuto della sua missione, come è capace, dovunque e sempre.

 

GINO (Milano): Dico che oggi è stato un incontro positivo per me, perché con tutto quello che è stato detto alla fine uno, anche se non partecipa con una sua dichiarazione personale, si sente intimamente libero dopo aver sentito tutti gli altri. Incontri come questo sono ricchi di una lettura che tutti e tutto abbraccia. Quanto è stato detto mi ha fatto ricordare l’incontro con i giovani carcerati a cui papa Francesco ha lavato i piedi. “Non fatevi rubare la speranza” ha raccomandato a loro, “perché questa è la cosa più grande che ci sia”.

 

MARIA ROSA (Milano): Io aggiungo che ci sentiamo così perché è il Signore che ci ha messi vicini. Oggi il mondo fa di tutto per spegnere la speranza; tra amici, familiari e conoscenti si parla di vacanze e di altro, ma non di speranza. Questo mi rattrista e non so come fare.

 

DON GIANCARLO: Meno male che si arriva a questa domanda: come devo fare? Frequentarli o no? Liberarmene o starci ancora? Se ci si accorge, nella misura in cui si soffre, che i giri che frequentiamo sono talmente piatti e talmente farraginosi da non ricevere niente, in primo luogo occorre la libertà e il coraggio dell’amore a Dio e aprirci alla domanda: sono solo questi che ho? Se la risposta è no; io ho altri giri con i quali fatico, ma mi procuro un’alimentazione che mi arricchisce, mi dà la carica, l’ossigenazione per essere poi vivo, libero, testimone di un cambiamento, di una promessa; allora scelgo l’appartenenza preferenziale che è l’amicizia vocazionale: sto con te perché riconosco in te una figura importante per il mio cammino alla santità, alla realizzazione del mio desiderio. Ma poi c’è la missione: andate in tutto il mondo; Gesù ci ricorda: “Non voi avete scelto me ma io vi ho scelto perché andiate e portiate fatti. Chi mi testimonierà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò come mio testimone davanti al Padre mio che è nei cieli”. Allora decido di continuare a stare in mezzo agli amici e conoscenti non per subire passivamente il niente, ma per seminare e portare nella mia libertà quello che per me è il contenuto della speranza e della gioia. Siate portatori di gioia, non la gioia emotiva, ma la gioia di quell’esperienza che riempie il cuore dando risposte ai perché e alle esigenze di felicità. Se dovessi accorgermi che certi giri, io li chiamo così, sono refrattari o addirittura ostili, non perdo più tempo; pregherò per loro ma il mio tempo lo destino in altre direzioni dove la semina non è sulla strada dove gli uccelli beccano e portano via, ma dove c’è l’humus, il terreno fertile che permette di seminare e di coglierne i frutti.