Marzo: Incontro con seminaristi della Fraternità sacerdotale S. Carlo Borromeo di Roma

Stampa

ASSEMBLEA con seminaristi della
Fraternità sacerdotale S. Carlo Borromeo di Roma
Marzo


Natale Colombo (Usmate). Famiglie in cammino è nata dal desiderio di alcune famiglie provate dal dolore della perdita di un figlio. La condizione di prova ha fatto scattare in loro la voglia di condivisione. Era il 1991. Due famiglie, ritrovatesi a Rimini agli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione, raccontandosi la loro storia, hanno creato le premesse perché iniziasse tale avventura. Nel corso di questi anni il gruppo ha assunto dimensioni abbastanza considerevoli. Il suo nucleo più corposo si trova in Lombardia, soprattutto nella zona dell’alto milanese ed è guidato da don Giancarlo Greco qui presente. Raduna gli amici una domenica pomeriggio al mese in una parrocchia di Busto Arsizio alternando la convivenza al gesto di scuola di comunità e di liturgia eucaristica.

Giorgio Targa (Milano). Nel 1991, durante gli esercizi spirituali della Fraternità a Rimini, a colazione si è seduta accanto a me una signora che non conoscevo. Mi raccontava della sua famiglia chiedendo poi anche della mia.
Le ho detto che il mio unico figlio, Leonardo, era morto quattro anni prima e che il Signore aveva aiutato Raimonda e me ad iniziare un cammino di Fede per riscoprire il significato del nostro matrimonio e soprattutto il disegno di Dio sulla nostra vita. Questa signora ci ha invitato ad incontrare i cognati Marcello e Marisa che, pochi mesi prima, avevano perso il figlio Mirko per una malattia rarissima e la famiglia Macchi di Varese di cui loro avevano sentito una testimonianza relativa alla perdita della figlia Lidia, assassinata qualche anno prima.
Da questo invito è nata una serie di incontri molto semplici ma caratterizzati da grandi discussioni. Allora avevamo molto bisogno di comunicare. Famiglie in cammino è nata dal bisogno fondamentale di comunicare. Comunicare con chi non è passato da tale prova è molto difficile. Abbiamo ritenuto che il modo giusto per comunicare tra noi fosse quello di partire dall’accoglienza reciproca. Il Signore ha così utilizzato un incontro casuale tra una madre e me per far nascere, a nostra insaputa, Famiglie in cammino.
Fin dall’inizio, abbiamo sottoposto il tentativo in corso al giudizio di don Giussani ci ha detto: “Io mi sento piccolo di fronte al cuore grande con cui voi, accettando da Dio una ferita che non si rimargina se non in cielo, volete farne per la terra un solco di seminagione buona per confortare e per aiutare altri genitori.”
L’aiuto di don Giancarlo che si è coinvolto come sacerdote e ci ha capito, è stato molto grande. La sua guida è forte e precisa. Questo ci ha consentito di crescere e di accogliere altri genitori che venivano a conoscenza della nostra realtà attraverso il passa parola.
Famiglie in cammino, in questi anni, è divenuta un’opera di grande contenuto umano e di grande responsabilità. Quando incontriamo un padre e una madre che hanno gli occhi arrossati dalle lacrime e chiedono il nostro aiuto, ci sentiamo addosso una grande responsabilità e abbiamo la certezza che, come il Signore ha aiutato noi, così aiuterà anche loro. Questo metodo d’accoglienza e di proposta per un cammino di fede sta dando frutti meravigliosi di cambiamento.

Rita Bettanello (Lonate Ceppino). Frequentando questo gruppo ho avuto molto sollievo.Quando parlavo di mio figlio Gabriele piangevo e non capivo più nulla. Sono riuscita ad accettare la sua morte e ho anche capito che il suo spirito continua a vivere. Oggi lo sento vicino molto più di prima.

Matteo Lapescara (Busto A.). Nel maggio del 2000 è morto mio figlio Michele. Inizialmente non accettavo questo gruppo. Ritenevo che, vicino a tante persone che soffrivano, avrei acuito maggiormente il mio dolore.
Mia moglie ha insistito perché partecipassi agli incontri. Adesso capisco l’aiuto ricevuto. Da quando ho preso coscienza di questo, gli incontri mensili sono diventati per me molto importanti.

Seminarista. I genitori che perdono dei figli non vi conoscono. Come accade il loro incontro con il gruppo?

Gino Varrà (Milano). Dopo che si è costituito il gruppo iniziale, un giornalista di Avvenire aveva pubblicato un articolo sul giornale Avvenire. Molte persone hanno così avuto modo di conoscere la nostra esistenza. Parecchi di noi hanno tenuto delle testimonianze su vari canali televisivi. Anche su parecchie riviste (tra cui Tracce) sono apparsi articoli riguardanti il gruppo. Molti di noi continuano ad essere chiamati in varie parti d’Italia, soprattutto nell’Alto Milanese, a tenere delle testimonianze.

Natale Colombo (Usmate). Da circa sei mesi è attivo un sito nel quale Famiglie in cammino racconta la propria storia: www.famiglieincammino.org. Da due anni siamo presenti al Meeting di Rimini con il nostro stand.
Siamo poi testimoni nei luoghi in cui viviamo, lavoriamo o facciamo vacanza.

NN. Quando mio figlio è morto mi rifiutavo persino di andare in chiesa. Egli aveva fatto di tutto perché le cose andassero per il meglio. Alla fine è dovuto morire.
Venuta da voi nella speranza di trovare sollievo, inizialmente non ho incontrato nessuna consolazione. Mi sembravate tante marionette… tutti contenti e felici! Ho pensato che fosse inutile continuare e che foste voi a sbagliare, non io. Ripetevo però a me stessa che, se altri erano riusciti a superare il dolore, forse ce l’avrei potuta fare anch’io. Con il tempo e la pazienza mi sono accorta di essere maturata. Sicuramente la vostra compagnia mi è stata di aiuto.

Don Giancarlo. Nel corso di questi anni mi sono accorto che due aspetti costituiscono il punto d’urto.
Il primo è l’imbattersi in genitori che, una volta segnati da queste lacerazioni, anziché vivere ripiegati su loro stessi, hanno ricuperato la gioia e la voglia di vivere. Hanno dilatato il loro orizzonte e, attraverso un cammino di fede, hanno iniziato la missione di testimonianza in forme diversissime: chi si è coinvolto nella vita delle parrocchie, chi in esperienze di caritativa, chi accogliendo ragazzi/e in affido o in adozione. Qualcuno di noi ha dato inizio a delle Fondazioni che operano in Uganda, in Brasile e in Zaire.
Chi è sconvolto e rattristato, incontrando persone che prima di lui sono passate dalla stessa esperienza e hanno ricuperato la forza di vivere, incomincia a porsi delle domande e, se ci tiene alla personale dignità e alla possibilità di felicità, rimane fedele al punto sorgivo che promette un cambiamento.
Il secondo è di non limitarsi alla morte di un figlio. Il nostro orizzonte riguarda la vita intera e non solo la croce da portare. Chi ci incontra può riconoscersi o rifiutare la proposta sulla concezione cristiana dell’uomo, della vita, del gioire e del soffrire.

Natale Colombo (Usmate). Nei nostri incontri seguiamo un metodo che sviluppiamo di mese in mese. E’ un percorso che abbiamo scelto inizialmente seguendo vari testi. Attualmente stiamo riflettendo su un testo di don Giussani “Il miracolo dell’ospitalità”. Abbiamo capito che era un modo diverso di incontrarci, non solo raccontando l’esperienza del dolore, ma affrontando la vita, andando a fondo di chi si è.

Gino Varrà (Milano). Un gruppo di noi ha potuto vedere Il frutto di questo lavoro anche durante la settimana bianca in Trentino. Una sera ci siamo incontrati con venti famiglie a cui mandiamo abitualmente i ciclostilati dei nostri incontri mensili. Ci hanno ribadito l’importanza di questo strumento per i loro incontri e il desiderio che nutrivano di conoscerci. Ci hanno poi raccontato molto delle loro storie.Tale fiducia e familiarità sono divenute possibili perché hanno avvertito che noi eravamo dei veri amici.

Seminarista olandese. Mi colpisce molto il fatto che la morte di un figlio possa diventare occasione di approfondimento della fede e del senso della vita. A prima vista ciò sembrerebbe impossibile. La ritengo una cosa di grande valore.

Maria (Macherio). Quando ho iniziato a frequentare Famiglie in cammino ero distrutta, la fede non mi interessava. Conoscendo meglio le persone e continuando a frequentarle mi sono sentita rinascere, soprattutto nel cammino della fede.

Raimonda Targa (Milano). Sono quasi 18 anni che è morto il mio unico figlio Leonardo. Devo ringraziare il Signore per quello che ha fatto. Pensavo di essere una credente convinta. Quando però è morto mio figlio mi sono accorta che la mia fede era molto vacillante. Dio mi ha dato la grazia di non chiudermi e mi ha messo a fianco il parroco della mia parrocchia e altre persone meravigliose. Ne’ io ne’ mio marito abbiamo ceduto alla disperazione. In quegli anni stava nascendo Famiglie in cammino anche attraverso il nostro contributo di presenza. In questi anni abbiamo incontrato tante persone disperate e ne abbiamo viste tante risorgere.
Sono piena di fiducia perché ho capito che il progetto di Dio su di noi è veramente buono e che anche mio figlio sta lavorando assieme a tanti altri nostri ragazzi per accompagnarci in un cammino di salvezza.

Marcello Crolla (Busto A.). Per dei genitori non è semplice gestire il dolore, frutto ed eredità di un amore, perché sconvolge la vita della coppia. È inevitabile chiedersi dov’era Dio quando succede questo. È una reazione umanissima e normale. L’uomo tenta sempre di dare risposte a fatti di cui non ne capisce il significato.
Quando avviene la conversione del cuore si desidera comunicarla in quanto no si può tenere solo per sé l’evento di un incontro attraverso cui si riconosce la vicinanza di Gesù. L’uomo comunica ciò che sperimenta come bellezza e promessa. Ciascun genitore deve sempre ringraziare per essere stato usato da Dio come strumento per generare una vita, indipendentemente dal suo evolversi.

Maria (Gallarate). Sono vedova da undici anni. Tre anni fa è mancato mio figlio Roberto e ora vivo con l’altro figlio Alessandro che è molto chiuso. Il mio cambiamento ha influito moltissimo su di lui. In questi ultimi mesi sta cambiando e tra noi si è instaurato maggior dialogo.
Don Giancarlo. Chiederei ai seminaristi presenti di raccontare perché sono qui e che cosa muove la loro vita. È una opportunità che ci permette di cogliere la varietà di doni che caratterizza la vita della Chiesa.

Marco seminarista di Milano. Mi sento molto vicino a voi poiché ho iniziato a fare catechismo in un’aula in cui c’era la foto di Leonardo. Anche se non l’ho conosciuto ho sempre sentito parlare molto di lui. Ero anche compagno di catechismo di Luca, il figlio di Gino che ha preso la parola poco fà. Questi due fatti mi hanno segnato profondamente anche attraverso il mio parroco che ha sempre tenuta viva la memoria di questi ragazzi come di altri. Ho iniziato così a capire cosa fosse la comunione dei Santi. Ho imparato anche una preghiera, composta in Uganda, “Tu sei la madre di Cristo”.
Poi sono andato a vivere in Kenya con chi aveva composto quella preghiera. Per me è stato uno dei segni attraverso cui il Signore, traendo le fila di tutto, costruisce un’opera.
Ho frequentato l’università con una ragazza, Emanuela Mazzola, morta al secondo anno di studi. Dopo cinque anni ho avuto la possibilità di andare a lavorare in un asilo del Kenya, a lei intitolato. Tutte le mattine vedevo i bambini passare sotto la targa con il nome di Emanuela. Tali vicende mi hanno messo davanti all’ipotesi di dare la vita per Cristo.
Noi viviamo qui in 40. Questa è la prima delle case della Fraternità S. Carlo Borromeo. A noi non piace chiamarla seminario che evoca l’immagine di un luogo in cui si fa palestra per sei anni per poi scendere in pista. La chiamiamo casa perché qui incominciamo a vivere quanto vivremo in tutte le parti del mondo.
Questa Fraternità è nata dopo che, nell’84, il Papa aveva detto al Movimento di CL di andare in tutto il mondo per portarvi la gioia e la pace che si incontrano in Cristo Redentore dell’uomo. Un gruppetto di preti del Movimento prese questa indicazione come un suggerimento per mettersi insieme e dare vita a un gruppo pronto ad andare in tutto il mondo.
Quest’anno a Città del Messico inizia un nuovo seminario, segno grande di apertura verso un continente che il Papa ribadisce essere la speranza del futuro della Chiesa. Per tanti giovani del Movimento del Sud America che hanno scoperto la vocazione al sacerdozio, c’è così la possibilità di un luogo che li accolga per educarli.

Don Giancarlo. “Io ho scelto voi, non voi avete scelto me. Vi ho scelto perché andiate e portiate frutto e questo frutto permanga.” Questa è la dimensione della missione che vede il nostro cuore in un bisogno continuo d’educazione.
Questa sera è emersa la parola conversione. Il contenuto di questa parola si declina nell’educazione permanente della nostra umanità che non può mai dire basta. Il balzo del desiderio è sempre quello di una soglia un po’ più avanti, la soglia dell’infinito che è Dio.
Marco ci ha parlato della comunione dei Santi. Vale la pena recuperare questo concetto per fissarlo come categoria culturale della visione cristiana della vita e della storia di cui la Chiesa è custode. Quanto più avremo lo sguardo rivolto al definitivo diventerà più facile per noi perseverare nel cammino dell’ assimilazione a Gesù appartenendo alla forma della nostra unità. Quanto più il cuore rimane proteso nel tentativo di caricare il contingente della dimensione del definitivo a cui tendere, la vita si carica di bellezza.


INCONTRO CON FAMIGLIE DEL LAZIO


Leonardo Taglianetti (Roma). I nostri amici sono venuti a Roma in pellegrinaggio. Ieri abbiamo trascorso il pomeriggio e la serata insieme. Guardando i loro volti era come ritrovare il perché di un’amicizia, nata poco più di un anno fa. Questa amicizia è stata provvidenziale. Con loro abbiamo potuto parlare di quello che ci era successo, cosa non sempre facile.
Abbiamo potuto capire di più il nostro dolore non attraverso un metodo consolatorio con insito il rischio di ripiegamento su noi stessi ma quello missionario che fa aprire e rilanciare la vita. Era quello che mia moglie ed io cercavamo. Vedere delle persone aperte all’impegno e alla speranza ci ha fatto capire che anche la disgrazia più grande non è l’ultima parola sulla vita.
Ho conosciuto Famiglie in cammino qualche mese dopo la morte per leucemia di mio figlio Andrea, di 15 anni, il 15 agosto 2002. E’ poco più di un anno che li conosco e la nostra amicizia sta crescendo. In questi giorni della loro permanenza a Roma mi accorgo di guardare ai loro volti con affetto per due motivi fondamentali. Mi testimoniano che il dolore e la morte non sono l’ultima parola sulla vita e che, nonostante tutto, è possibile amare e sperare. Tale possibilità diventa sperimentabile nella misura in cui lo si desidera con il cuore.
Per aiutarvi a capire quanto vi sto dicendo vi racconto com’è andata quando ho incominciato di invitare a questo incontro alcune persone che non conoscono Famiglie in cammino. Innanzitutto si è rinnovato il dolore perché parlare con altri che vivono lo stesso dramma rinnova anche il tuo.
Contemporaneamente si è rinsaldata la speranza perché l’offrire ad altri la proposta a cui il mio cuore aveva aderito è segno del superamento del proprio disagio. Il dolore rimane sempre ma, quando lo si vive dentro un significato più grande, incomincia a trasfigurarsi. Non è più l’ultima parola.
Invitare altri mi ha costretto ad ascoltarli e così a stare in ascolto delle mie esigenze di felicità e di pace. Il rivedere i volti di questi amici venuti a Roma ed ascoltarne le testimonianze mi sta aiutando a rinsaldare un’amicizia. Il chiedere ad altri di diventarmi amico e di conoscere Famiglie in cammino è un modo essenziale per aprire il mio cuore alla proposta di un significato che va oltre il dolore e la morte. In me è’ aumentata la coscienza di essere in cammino e il desiderio di fare passi. E’ impegnativo ma l’alternativa sarebbe il nulla.

Don Giancarlo. La drammatica contrapposizione evidenziata da Leonardo è realisticamente vera: o il nulla in cui precipitare o il cammino. Dante, nella Divina Commedia, ci presenta, l’uomo che attraversa l’inferno e il purgatorio per salire al paradiso. Tante esperienze di vita, simbolicamente, sono paragonabili all’esperienza della purificazione di Dante. Nel cammino della vita ciascuno di noi, anche se in forme diverse, si è trovato davanti alla possibilità di opzioni diverse e, quando ne ha intravisto una positiva, ha incominciato a seguirla e a verificarla. La vita chiede sempre di prestare attenzione a chi fa intravedere la strada della felicità.
Cristo è venuto al mondo perché gli uomini “abbiano la vita in abbondanza” e per questo si è immolato. Fra qualche settimana, il venerdì santo, risentiremo le sue parole: “Tutto è compiuto”. Egli, nella coscienza della missione compiuta, consegnò la vita al Padre.
L’uomo passa attraverso il crogiolo del sacrificio che comunica una sensazione di perdita per ritrovarsi ricomposto e arricchito.

Maria (Gallarate). Noi qui presenti, nella disperazione siamo arrivati a conoscere Famiglie in cammino. E’ stato come trovare un porto nel quale il nostro cuore ha potuto ancorarsi e esprimersi apertamente. In questa compagnia siamo a nostro agio e ci aiutiamo vicendevolmente. Siamo diventate persone diverse da quello che eravamo prima e, avendo acquisito un altro sguardo sulla realtà, stiamo ancora cambiando.
Io ho fatto anche la scoperta del mio che mi spinge a cercare un po’ di dialogo con chi mi sembra più emarginato e solo. Con le mie nipotine mi mostro allegra e ballo con loro. Mi danno tanta felicità e tento di fare qualcosa per loro. La fede ci dà la forza per continuare ad essere in cammino. La pienezza della Terra promessa è però nell’al di là, quando ci ritroveremo nella vita definitiva.

Liana Merlo (Buscate). Sono 13 anni che frequento Famiglie in cammino. Non faccio molti interventi perché mi è difficile comunicare apertamente con tutti. Questo gruppo a me ha dato molto, mi ha fatto rinascere.
Quando è morta Stefania che aveva 9 anni ho capito che la mia famiglia si stava disgregando. Per superare tutto ciò ho fatto sforzi enormi anche perché mio marito non era abbastanza forte da affrontare il dolore della perdita. Ho dovuto così trovare il coraggio per sostenere mio marito e un altro mio figlio. L’aiuto l’ho trovato in questo gruppo. Mio marito inizialmente non mi seguiva. Adesso anche lui frequenta la nostra compagnia.Sono riuscita a trovare una grande pace. Riesco anche a parlare di mia figlia con gioia. La vita, purtroppo, riserva però sorprese negative. L’unica persona che ho geograficamente vicina è mia sorella con la quale però non comunico più. Ho tentato di riallacciare con lei dei rapporti ma non sembra esserci alcuna possibilità. La cosa che mi fa più soffrire è che lei mi è stata molto vicina quando è morta Stefania. Nonostante questo, mi sono resa conto che non ha colto il vero significato della vita.Credo adesso di dover dire basta

Don Giancarlo. L’intervento di Liana ci fa intuire una prospettiva grandiosa. Dentro la nostra amicizia accogliamo la vita e le persone nella loro integralità.
Liana ci ha dato testimonianza di un’altra croce. L’ideale che ci tiene insieme e ci muove non mira alla soluzione dei problemi sia perché non ne siamo capaci sia perché non è questo lo scopo. La nostra amicizia aiuta a tenere aperto il cuore al significato più vero della vita. Qualche caso lo si può anche risolvere, tanti altri no.
La questione è di aiutarci a stare di fronte ad essi con fede e speranza. La parola “basta” distrugge la speranza. Occorre invece dire: “Nelle tue mani affido il mio io”. Pon tus manos en la mano del Senor de Galilea.
Questo è il punto decisivo del metodo cristiano: educare l’uomo a guardare e a vivere la vita con lo sguardo e il cuore di Gesù che è la Verità e la strada.
Questa mattina Antonio mi ha comunicato una riflessione che mi ha colpito: “Don, ti sei accorto che sulla Croce l’uomo crocefisso tiene sempre le braccia allargate? Quelle braccia sono sempre aperte all’accoglienza di chi brancola e si smarrisce. L’uomo è sempre preso per mano da qualcuno che lo riporta a Lui”. E’ proprio così. Le braccia del Cristo crocefisso sono le braccia della madre Chiesa che ci accoglie e ci invita ad aprire le porte del cuore a Cristo. Egli è l’unico che ci conosce nel profondo e ha già redento tutti i drammi che fanno scivolare l’uomo nel nulla. O ci affidiamo a Lui o finiamo nel nichilismo.
Cristo ci dice: “Venite a me, soprattutto voi che siete affaticati e stanchi. Io vi ristorerò.”

Antonio Zanetello (Gallarate). Dopo che mia figlia si è uccisa, ho sofferto anche per la separazione da mia moglie. Ho però sempre tenuto aperto un rapporto, anche se difficile, con i figli. Non sono fuggito dalla realtà perché difficile ma ho continuato ad amarli. Ora ho raggiunto una certa serenità perché ho accettato il disegno di Dio sulla mia vita. I miei compagni di cammino mi hanno fatto capire che il Signore mi ama.

Don Giancarlo. Antonio ci suggerisce che quanto più si accetta e si aderisce al disegno di Dio tanto più si fa esperienza di cambiamento. È questa coscienza che gli permette di rimanere vicino ai figli in modo silenzioso e paterno e di tenere viva la speranza. In tale ottica ha anche capito che le croci della vita possono insegnare ad amare senza pretendere nulla.
La vera fisionomia dell’amore non è il possesso ma la gratuità. Quanto più si aderisce in modo filiale al disegno di Dio tanto più si guadagna.
L’abbandonarsi a Lui rovescia la pretesa ideologica di poter bastare a se stessi. Non dimentichiamo ciò che le ideologie hanno prodotto nel XX secolo: un numero di massacri, eccidi e genocidi che non ha eguali nella storia del pianeta. Le ideologie teorizzano che l’uomo, con i mezzi scientifici che ha a disposizione, possa progettare e costruire un mondo più umano. Cristo ci dice: “Senza di me non potete far nulla… se aderite a me vi garantisco il centuplo e poi il tutto”.

Natale Colombo (Usmate). Ascoltando le testimonianze è inevitabile chiedersi come sia possibile essere così. Seguendo e guardando chi ha imparato a portare su di sé e sulla realtà uno sguardo religioso si cambia, ci si apre alla ricerca del senso più profondo delle cose e ci si trova più liberi. Solo dentro un cammino di fede si può arrivare a dire: “ Dio è mio Padre. È lui che ha progettato la mia vita e mi accompagna per realizzarla”.
Io ho iniziato a stare con queste persone perché altri me lo hanno suggerito ed ho scoperto che si può continuare a dare un senso alla vita, a gioire e a lavorare.
In mezzo a noi non c’è il maestro del dolore. Nessuno segue corsi di psicologia. C’è innanzitutto la consapevolezza che siamo fatti da un Altro.Grazie a Dio abbiamo incontrato amici che continuano a dimostrarci questo. Ci chiamiamo Famiglie in cammino proprio per questo.

Evita (Puglia). Anche se non faccio parte di questo gruppo, ho conosciuto Famiglie in cammino subito dopo la tragedia che ha colpito la mia famiglia. L’ aiuto ricevuto mi ha permesso di incominciare a stare vicina ad altre famiglie. La condivisione aiuta a confrontarsi sul modo di reagire al dolore e di viverlo.
Condivido la modalità con cui cercate di vivere la vita. Non è certo facile. Sento ogni giorno la difficoltà di vivere, ogni giorno incontro la fatica, innanzitutto del credere e di affidarmi cioè a Colui che sa tutto del mio vissuto e vuole il mio bene.
Riconoscere nell’esperienza la presenza del sacro alleggerisce la drammaticità del dolore perché fa sentire più vicini a Cristo che ha redento il mondo attraverso la sofferenza. Soltanto attraverso di Lui riesco a trovare un significato in quello che mi è accaduto.Questa mia esperienza è diventata un mezzo che mi ha permesso di scoprire quello a cui prima non pensavo, il dolore.
Andando in chiesa e stando nella Chiesa sono aiutata a guardare in alto. Spesso con i vicini mi trovo su lunghezze d’onda diverse ma questo non mi scoraggia.

Albina Taglianetti (Roma). La sofferenza viene normalmente censurata. Figuriamoci il dolore per la perdita di un figlio. Le difficoltà io le incontro con gli amici più cari o con chi mi sta vicino nell’ambiente lavorativo quando mi rendo conto che non capiscono il mio dolore. All’inizio ho anche rifiutato di vederli nonostante mi fossero molto cari. Quando si sta veramente male, si cerca aiuto. Noi l’abbiamo chiesto al nostro amico don Giorgio di Milano e, proprio nel giorno in cui lo abbiamo incontrato, abbiamo conosciuto Famiglie in cammino.
Pensando ai fatti occorsi in questi giorni a Madrid, mi sono accorta che si parla di tutto ma non della sofferenza delle persone. Si censura la causa del male e, per questo, non si fanno sorgere le domande più profonde.
Il dolore noi non riusciamo ad affrontarlo da soli. Don Paolo, un nostro amico della Fraternità S. Carlo, ci ha detto: “Ci sono piccoli luoghi nel mondo in cui si può fare esperienza che Cristo ha vinto la morte.” Questo ci ha fatto capire che, partendo da Cristo, l’umanità cambia.
A me interessa andare fino in fondo a ciò e, per questo, affermo che Famiglie in cammino e il mio gruppo di Fraternità sono per me dei punti luminosi. Desidererei che quanto è successo a me, capitasse anche a tanti altri..
Ieri sera, quando è stata fatta la testimonianza ai seminaristi, mi sono commossa pensando che voi siete venuti a Roma per me. Questo è quello che vorrei comunicare anche alle persone che oggi non sono presenti. Abbiamo conosciuto diversi genitori. Non avrei mai creduto possibile che un genitore segnato dal dolore, andasse a cercare altri genitori che, di norma, si cerca di evitare. Il dono che abbiamo incontrato non possiamo tenerlo per noi.

Don Giancarlo. È vero che nella società si incontrano luoghi paragonabili a oasi nel deserto. Il mondo dà l’impressione di essere impazzito perché sembra non aver più la voglia o la capacità di riconoscere ciò che è indispensabile alla vita. Spende le sue risorse in ciò che è marginale per la vita e, per questo, sta scivolando nel nichilismo. Famiglie in cammino, come altri luoghi, permette di fare esperienza della vittoria sul male e della rinascita. Vale la pena continuare. Perseveriamo.