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Ottobre: Incontro mensile

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INCONTRO DI OTTOBRE 2006
 


Don Giancarlo. All’ingresso ho conosciuto gli amici di Giovanna ed Elviro. Se lo desiderano possono presentarsi e raccontare qualcosa della loro vicenda.

Sergio. Sono il papà di Mattia, morto il 2 settembre ’05. Sono qui per ascoltare le vostre testimonianze, crescere assieme e così alleviare le sofferenze del dolore.

Don Giancarlo. Giovanna ed Elviro, nella zona sopra Endine, hanno incominciato a trovarsi tra famiglie che hanno perso i figli sotto la guida di un sacerdote. Hanno invitato questi loro amici per attingere dal nostro gruppo la carica necessaria per animare poi, nella loro zona, il loro gruppo. Il fenomeno dei vasi comunicanti deve caratterizzare ogni gruppo cattolico che, se guidato dal criterio della comunione ecclesiale, non ha confini. Da loro alcune persone vivono un certo dualismo perché, mentre frequentano il cammino con il sacerdote, continuano ad essere condizionati dal riferimento ad altre realtà, quali i medium o le tecniche esoteriche che tentano illusoriamente di varcare la soglia del soprannaturale per colmare il vuoto lasciato dalla perdita dei figli. Sono tentativi che inquinano la fede cristiana. La risposta alla morte è solo Cristo.
Compito dell’evangelizzazione è annunciare il vero. Quanto più diventiamo dimora di Dio tanto più si comunica il vero nella concretezza della quotidianità. Se nell’uomo risplende il vero, esso contagia altri. L’altro, se è seriamente impegnato con la propria umanità, non può che stupirsi davanti all’autentico, vi si sente attratto e lo accoglie. È il metodo di Gesù che diceva: “Vieni e vedi”.
Il Papa, Benedetto XVI, nell’enciclica Deus caritas est, presenta il cristianesimo come sorgente di gioia e luogo di bellezza, come esperienza attraverso la quale l’umano rifiorisce. Corregge nel contempo alcuni luoghi comuni, quali la riduzione dell’amore al dono di sé saltando totalmente il ricevere. L’amore è invece prevalentemente un ricevere. Quanto più si è ricettivi del dono di altri, tanto più s’impara a donarsi.
Per questo è importante che mettere in comune le domande, le esperienze, i dubbi e le perplessità che incontriamo. Altri possono illuminarci dando più chiarezza alla nostra fatica quotidiana. La Chiesa è scuola di vita nella quale l’io che è il fattore costitutivo della persona, trova la sua dimora e la sua alimentazione. Cristo è l’avvenimento che continuamente riaccade. Riconoscendolo e accogliendolo ci illumina, ci cambia e ci attira a sé. La prima cosa che cambia è lo sguardo del cuore, non il comportamento. La moralità, come comportamenti, è sempre l’ultima a cambiare. Peguy, il grande scrittore cattolico, conviveva. Ha continuato a convivere anche da convertito. Il cuore del cristianesimo non è la moralità della coerenza ma è l’incontro con presenza della Chiesa che cambia il modo di pensare e lo sguardo sulla realtà. Si resta sempre peccatori. Saremo giudicati innanzitutto sull’amore alla verità più che sulla coerenza.
Nell’avvenimento di Gesù splende l’amore di misericordia, qualcosa che per l’uomo è enorme e al di là di ogni sua pensata.

Nazareno(Tradate) Ho degli amici che bestemmiano continuamente. Cosa posso fare per far loro capire che sbagliano e offendono loro stessi e il Signore?

Don Giancarlo. Da amico puoi dir loro che stanno offendendo te più che Dio poiché tu vivi la fiera coscienza di essere figlio di Dio. Puoi anche aggiungere che non sai che fartene di amici che ti insultano. Se poi non danno segni di ravvedimento ti trovi costretto a prendere le distanze. Se poi sono cristiani di’ loro che la bestemmia è uno dei peccati più gravi perché dileggia Dio che è Creatore e Padre di tutti. Dopo la bestemmia elevare sempre a Dio una preghiera di riparazione con nel cuore lo sguardo di Gesù al Calvario: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

Natale Colombo (Usmate). Ripropongo le domande della lettera su cui siamo stati invitati a lavorare:
“La tua visione e la tua esperienza dell’amore di quale educazione e purificazione hanno bisogno?”. “Quali difficoltà avete incontrate nel l’esperienza del dare e del ricevere in famiglia, sul lavoro e negli ambienti che si frequentano?”. “Famiglie in cammino è un luogo che ti sta educando a prendere coscienza di essere amato e del compito che tutti hanno di amare?”.

Carla. (Milano) Condivido l’affermazione che l’amore è innanzitutto ricevere, ricevere da Dio attraverso l’azione degli uomini fratelli e di tante opportunità. Avete parlato di una mostra allestita al Meeting di Rimini dai monaci benedettini della Cascinazza (Milano). Anch’io ho potuto vederla e mi è piaciuta molto. Ero in un momento particolare e, proprio a seguito della mostra, ho preso appuntamento con uno dei monaci. Ieri sono andata da lui e gli ho spiegato la nostra realtà. In questo padre, attraverso la sua accoglienza e le sue parole, ho sentito tutto l’amore di Dio. Non avevo bisogno di consolazione o di richieste specifiche. Ho colto in lui la tenerezza di Dio che vorrei, a mia volta, dare a tutti. È molto più facile avvertire questa tenerezza da persone che mi stanno vicino piuttosto che in casa mia con mio marito.
Quando mi accorgo di ricevere molto da Dio, segue in me il desiderio di donarlo ad altri. La settimana dopo la morte di Matteo siamo andati da San Riccardo Pampuri e sul quadernone ho scritto: “Fa’ che noi possiamo diventare testimoni del Risorto”. È un’esperienza in divenire che si vive giorno per giorno.

Don Giancarlo. Il punto che Carla ha citato lo troviamo a pag. 20-21. Lo rileggiamo.
“L’uomo non può neanche vivere esclusivamente nell’amore oblativo, discendente. Non può sempre soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore deve egli stesso riceverlo in dono. Certo, l’uomo può – come dice il Signore – diventare sorgente dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva ma, per divenire una tale sorgente, egli stesso deve bere sempre di nuovo a quella prima, originaria sorgente che è Gesù Cristo, dal cui cuore trafitto scaturisce l’amore di Dio”.
In questo mese abbiamo riscoperto o ricordato i doni, le grazie, i favori che hanno plasmato la nostra vita e accompagnano il nostro cammino?
Approfondire il tema dell’amore che si riceve e si dona implica la scelta di prestare maggiore attenzione ai rapporti. È vera l’osservazione di Carla che in famiglia, spesso, gli affetti si danno per scontati e, di conseguenza, si usa minore attenzione di quella usata fuori casa. Anche certi modi di trattarsi tra marito e moglie non sono adeguati all’ideale cristiano. Riascoltiamo il monito biblico: “Mi appartiene non chi dice Signore, Signore, ma chi fa la volontà del Padre mio”. Dobbiamo riscoprire le cose imparate e accantonate per reincontrare con occhi stupiti la presenza di Cristo nel volto della propria moglie, del marito o dei figli.

Tutta la realtà è donata. Dobbiamo prendere coscienza che noi siamo il frutto di un dono perenne. Purtroppo viviamo in una società che fa della pretesa e del diritto il criterio dominante, anche nei rapporti interpersonali. Si tende a trasformare i desideri in diritti: diritto al divorzio, ai pacs, al figlio e all’aborto, all’eutanasia... In alcune nazioni europee si è già arrivati a praticare il diritto all’infanticidio. Si fa leva sui casi pietosi che fanno venire le lacrime agli occhi per far passare la menzogna. I casi pietosi sono da paragonare ai lacrimogeni delle manifestazioni che hanno l’effetto di gettare fumo negli occhi per togliere la visuale sulla realtà. Ciò che dobbiamo usare è il giudizio della ragione e non l’emozione.
Molto spesso siamo costretti a constatare che il prossimo a cui vogliamo più bene è quello lontano, rispetto a quello vicino. Come è possibile superare tale divario? È evidente che dove c’è maggiore familiarità, conoscenza e condivisione sapere che dell’altro ci si può fidare e che ci vuole bene ci porta ad essere più istintivi con il rischio di ferire l’altro. Con chi ci è estraneo o incontriamo episodicamente tendiamo a stare sulla guardia evitando di fidarci a priori. Per superare tale divario è utile ricuperare la memoria di ciò che siamo: persone amate, perdonate e salvate dalla misericordia di altri. Siamo dei fragili che hanno sempre bisogno di mendicare la comprensione, l’accoglienza e la tenerezza di altri.
Per questo è pedagogicamente indispensabile educarci a guardare Cristo e agli esempi che maggiormente ci incantano e ci edificano. Occorre sempre domandare a Dio l’amore di carità, quello cioè che si riceve dall’Eucaristia. Il Papa dice che l’effetto dell’Eucaristia è una risorsa che ci attira a sé, ci plasma e ci trasforma in Lui. Ci educa inoltre ad aprire il cuore ai fratelli. Non c’è amore a Dio se non si ha amore ai fratelli, così come non c’è autentico amore agapico se non nasce dalla grazia di Dio.

Carlo (Milano) In questi giorni ho letto un articolo che spiegava le caratteristiche dell’amore. L’amore è attento, l’amore è premuroso, l’amore è essenziale. Inizialmente quanto avevo letto mi è letteralmente slittato via. Parlandone poi tra amici ho dato uno spessore diverso a questa definizione dell’amore. Nel mio comportamento verso gli altri mi sforzo di vivere un’attenzione e una premura essenziali. A me sembra che la vita di famiglia richieda un cammino ascetico continuo perché lì abbiamo il test inequivocabile del modo con cui si ama. Gesù ci ha amati mendicando l’amore dell’uomo. “ Pietro mi ami tu più di costoro? Giuda, perché con un bacio tradisci il figlio dell’uomo? Prestare attenzione all’altro accantonando le nostre occupazioni è un punto di arrivo molto alto. La carità verso gli altri mi sta aiutando a fare dei passi nei confronti di mia moglie. E’ un lavoro pieno di sconfitte ma con dei punti di luce che aiutano ad andare avanti e a superare le difficoltà.

Vito D’Incognito (Milano). Nel rapporto tra me e Savina, a volte, facciamo delle verifiche e riconosciamo che Dio ci ha plasmati e non ci ha mai abbandonati. Rispetto ai primi anni di matrimonio, oggi succede che ci si ringrazi per ciò che uno sta facendo per l’altro. Mentre don Giancarlo parlava mi sono venuti in mente alcuni brani in cui S. Giacomo ringraziava coloro che lo trattavano male perché lo educavano all’umiltà. Anche l’umiltà è un dono che può far accettare i difetti dell’altro, il suo malumore e anche lo scherno.

Savina D’Incognito (Milano). Riconosco anch’io la grande misericordia che Dio, attraverso Cristo, ha usato verso di me. Quando prendo coscienza di come Cristo mi abbia incoraggiata a fidarmi di Lui e di come mi accompagna, non posso fare a meno di commuovermi. Spesso devo misurarmi sui miei limiti e questo rende faticosi i rapporti con mio marito e con gli altri. Riconoscere i limiti implica una accettazione più completa che permette di sentirmi più figlia e dare importanza alla trasformazione che Dio sta compiendo in me.

Fausto Benzi (Cuggiono). Oggi, per me e mia moglie, è un giorno speciale. Il 15 ottobre ricorre il compleanno di Anna, mia moglie. Anna, prima ancora che io lo percepissi, aveva fatto suo il principio di volermi bene sempre e con continuità. Inizialmente non ci si bada, poi per grazia questo diventa un’evidenza. Nella vita di coppia, pur nelle difficoltà, ci si accorge di voler bene sempre e per primo. E’ una cosa contagiosa e farne esperienza cambia la vita di coppia. La relazione diventa quasi una gara tra chi vuole più bene. Il mio parroco diceva sempre che compiendo delle cose buone si diventa virtuosi, il vizio è l’esatto contrario e c’è il rischio di diventarne schiavi.

Natale Colombo (Usmate). Oggi, prima di venire a Busto, con Flora eravamo ad una Cresima. Casualmente abbiamo incontrato degli amici che ci sono stati vicini al momento della perdita di Cristian. Mi hanno incaricato di portarvi il loro saluto ricordandovi che siamo amici perché abbiamo incontrato Cristo.

Don Giancarlo. Vito e Natale ci hanno detto che è grazia il riconoscerci più vicini in quanto appartenenti a Cristo. L’unità non si costruisce sul sentimento nè sulle affinità che possono trasformarsi in competizione e antagonismo. L’unità vera non la si costruisce sulle collaborazioni operative perché anch’esse mettono a nudo limiti, difetti e pregi. C’è il rischio di diventare antagonisti, concorrenti o addirittura avversari se non ci si converte e se non si ha la grazia di mettere al primo posto Cristo, presenza umanamente incontrabile dell’amore di Dio che vuole la salvezza di ciascuno di noi. San Benedetto nell’introduzione alla regola che ha ispirato tutti gli ordini monastici, dice: “Nulla mai anteporre all’amore di Cristo”. Se si mette in primo piano lo sguardo su questo amore, la memoria della sua presenza che ama con fedeltà e misericordia trova la giusta dimensione.
L’amore di Cristo è il luogo che ridona smalto alla nostra umanità, compreso il limite. Non è il limite da amare ma la presenza di Cristo che non distoglie lo sguardo sdegnato da esso; non ci condanna perché peccatori ma continua ad amarci proprio perché limitati e peccatori. Desidera, con la nostra collaborazione, salvarci da una condizione umana lacunosa e impotente.
Giustificare il limite o un difetto morale non è cristiano. Chi si giustifica dimostra di essere orgoglioso o superbo. Non è neppure cristiano pretendere la coerenza a priori. Sarebbe moralismo. La moralità invece è avere sempre il cuore proteso alla bellezza del vero, cioè a Cristo. Dipenderà da lui rendermi anche coerente. Il miracolo continuo del cambiamento della persona è centrato sul fare continuamente memoria tenendo lo sguardo fisso all’amore di Cristo.
Don Giussani, durante l’ incontro dei movimenti con Papa Giovanni Paolo nel 1998, ha concluso il suo intervento dicendo: “Dio, in Cristo, si è fatto mendicante dell’amore dell’uomo. Il cristiano autentico è il mendicante, colui cioè che mendica l’amore di Cristo”. L’ideale del cristiano è la mendicanza, non la coerenza.

Proseguendo nella lettura dell’ enciclica siamo aiutati da Benedetto XVI, a fissare lo sguardo sul Vangelo, l’avvenimento che è sempre bellezza prorompente. In Gesù, Dio ha fatto vedere la relazione intima che intercorre all’interno della Trinità. L’amore di Dio è un amore di relazione reciproca, comunionale. Il Padre che genera il Figlio, e dalla corrispondenza del Figlio c’è il frutto del loro amore, lo Spirito.
" La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee ma nella figura stessa di Cristo che dà carne e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale. Lo sguardo rivolto al fianco squarciato di Cristo, di cui parla Giovanni, comprende ciò che è stato il punto di partenza di questa lettera enciclica: “Dio è amore”. A partire da questo sguardo il cristiano trova la strada del suo vivere e del suo amare.
Il Papa afferma che l’evento Cristo è la novità del Nuovo Testamento perché ci fa vedere fin dove si è spinto l’amore agapico di Dio, fino all’annientamento di sé, un’inabissarsi nella maledizione del nulla.

Il Papa poi si sofferma a illustrare la trovata geniale di Cristo: l’Eucaristia.
A questo atto di offerta Gesù ha dato una forma duratura attraverso l’istituzione dell’Eucaristi, durante l’Ultima Cena. L’Eucaristia ci attira nell’atto ablativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione.. La “mistica” del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare.
C’è da far attenzione ad un altro aspetto: la “mistica” del Sacramento ha un carattere sociale, perché nella comunione sacramentale io vengo unito al Signore come tutti gli altri comunicanti: “Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”, dice San Paolo. L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori da me stesso verso di Lui e così anche verso l’unità con tutti i cristiani. Diventiamo “un solo corpo”, fusi insieme in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi.
Nella comunione eucaristica è contenuto l’essere amati e l’amare a propria volta gli altri.”
Quanto più si riceve amore si diventa capaci di dare amore. All’inizio non c’è un amore di dono, c’è l’innamoramento, lo slancio emotivo, l’eros che illude di fare grandi cose per l’altro. L’ottica cambia quando si inizia a prendere coscienza che si è stati amati, tutto è donato, allora con più umiltà si cercherà di dare. E’ una posizione più umana e più matura.
“ Il comandamento dell’amore diventa possibile solo perché non è soltanto esigenza: l’amore può essere “comandato” perché prima è donato.”(pag.34)
Quando si è ricevuto l’amore è possibile donarlo. Per questo Dio non si accontenta di considerarlo come esigenza del cuore ma lo comanda. Con il battesimo Cristo ha preso possesso di noi rendendoci come lui. E’ accaduto un cambiamento sostanziale. Siccome Cristo vive in noi ci è chiesto di vivere il comandamento dell’amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima e il prossimo tuo come te stesso”.
A dire il vero, Gesù non cita mai questo comandamento tranne quando si è rivolto al giovane ricco, sottolineando che prima di Lui vigeva il regime del Decalogo ma con la Sua venuta tutto è divenuto nuovo. Per questo ci esorta ad amarci come Lui ci ha fatto vedere. La vita diventa vocazione. E’ possibile compiere il dovere nella misura in cui si vive la vocazione.
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