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Febbraio: Incontro Mensile

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Incontro del mese di Febbraio 2004

Natale Colombo (Usmate). Un saluto personale ai presenti e alle famiglie che sono qui a Busto per la prima volta. Un pensiero particolare agli amici assenti perché ammalati e alcuni, purtroppo, in modo grave. Spero che quanto ci diremo oggi possa essere di aiuto a tutti. Cantiamo e recitiamo la nostra preghiera.

        Ho un amico grande, grande;
        di più giusti non ce n'è.
        Mi ha donato tutto il mondo,
        è più forte anche di un re.

        Se io tremo lui è sicuro
        e non ha paura mai;
        è l'amico più sincero, sai,
        e ti segue ovunque vai. Rit.
        Però talvolta lo sfuggo
        e voglio fare da me;
        ma crolla presto il mio mondo
        perchè Lui è più forte di me. Rit.

        Una volta io credevo
        di poter amare da me;
        non pensavo e non sapevo
        che non può nemmeno un re. Rit.

        Don Giancarlo. Il cantautore identifica questo amico in Gesù. La presenza di Gesù ci ha svelato ciò che merita di essere conosciuto e custodito dall’uomo, l’importanza di una compagnia vera. Noi in questi anni lo siamo stati e mi auguro che continueremo ad esserlo per tutta la vita. Potremo così essere incontrati da molti altri come il volto umanamente incontrabile di questo grande Amico.

        Come è grande la tua bontà
        che conservi per chi ti teme!
        E fai grandi cose
        per chi ha rifugio in te,
        e fai grandi cose
        per chi ama solo te!

        Come un vento silenzioso
        ci hai raccolto
        dai monti e dal mare;
        come un’alba nuova
        sei venuto a me,
        la forza del tuo braccio
        mi ha voluto qui con sé. Come è chiara
        l’acqua alla tua fonte
        per chi ha sete
        ed è stanco di cercare:
        sicuro ha ritrovato
        i segni del tuo amore
        che si erano perduti
        nell’ora del dolore.

Non è un paradosso. E’ la storia vera anche se non immediatamente comprensibile.
Ieri sono andato a visitare in ospedale la nostra amica Valeria che vi saluta tutti. L’ho trovata molto stanca anche perché ha ricevuto molte visite e, dato che da giorni non mangia, era spossata. Desidero comunicarvi quanto mi ha confidato: “Dopo che ho incontrato voi la vita mi si è schiarita e adesso che sono alle prese con questo inesorabile male , accetto ed offro.”
Queste parole sono un programma ed un ideale di vita. Accetto ed offro a una Presenza, quella di Dio che Valeria non sente più come entità astratta. Quando Dio è ridotto a entità astratta, l’uomo lo piega a suo piacimento sino a bestemmiarlo se lo giudica l’aguzzino delle sue sventure. Quando Dio assume il volto di quel Padre che Gesù ci ha fatto conoscere, allora di Lui si coglie la vicinanza amorevole.
Le ho assicurato che oggi avremmo pregato per lei e per la sua famiglia. Ha sorriso contenta dicendomi: Anch’io sarò lì con voi. Abbiamo poi recitato insieme la nostra preghiera e, anche se stanca, ha voluto ripeterla con me.

Nell’incontro del mese scorso, oltre ai numerosi interventi dei presenti, abbiamo attinto alla sapienza di don Giussani nel libro “Il miracolo dell’ospitalità” che edita una serie di interventi fatti nel corso degli anni ai membri dell’Associazione “Famiglie per l’accoglienza” che in tante Regioni italiane vive l’esperienza di imitazione di Gesù nella forma della gratuità aprendo il cuore e la propria casa a persone di tutte le età e nelle più disparate condizioni esistenziali, morali, fisiche o psichiche.
La volta scorsa abbiamo terminato l’incontro con l’augurio di imparare ad alzare lo sguardo ed ad entrare con tutta l’anima dentro la grande memoria di Cristo. Alzare lo sguardo è una esperienza di entusiasmo per Cristo e per la missione che lui ci ha affidato: essere portatori di speranza. Nell’alzare lo sguardo, Cristo ci farà compagnia rendendoci capaci di abbracciare la realtà intera, anche la perdita di un figlio, la malattia e la divisone nei rapporti coniugali o parentali.
Il testo ci dice: “Il rapporto con Cristo non può che passare attraverso la modalità concreta di una storia, dentro la quale Lui si è manifestato persuasivamente, pedagogicamente, suscitando capacità creativa. Senza passare attraverso le modalità concrete e storiche attraverso le quali Cristo si è manifestato e si è incontrato con noi, magari di sfuggita, ma persuasivamente, noi perseguiamo una nostra immagine di Cristo. Allora ci mondanizziamo e diventiamo come tutti gli altri. Ciò che da spessore al nostro io è l’appartenere, è camminare con quelle persone che sono un segno persuasivo, rinfrancante per il cambiamento di mentalità.”
Speriamo oggi di aggiungere un nuovo contributo al percorso educativo che ci vede insieme da protagonisti, interlocutori e testimoni.

Gino Varrà (Milano). Sono tredici anni che frequento “Famiglie in cammino”.
Settimana scorsa mi stavo recando a Messa nel mio quartiere ed ho incontrato un bambino che aveva in mano un giornale. Non riusciva ad aprire il cancello della sua casa e tentava di scavalcarlo. L’ho fermato perché temevo si potesse fare del male. Gli ho chiesto le chiavi ma lui, all’inizio, era molto diffidente nel darmele. Poi si è convinto e gli ho aperto il cancello. Stavo allontanandomi quando quel ragazzino mi ha chiamato e mi ha augurato una buona giornata. Sono rimasto molto stupito davanti allo sguardo ed alla libertà di questo bambino. La sua libertà mi ha fatto pensare alla libertà di Maria nell’accettare il disegno di Dio. Qualche sera fa ho raccontato agli amici della Fraternità l’episodio accadutomi al mattino e ho confessato loro che dentro non mi sentivo libero. Dopo tanti anni di partecipazione alla vita di Famiglie in cammino pensavo di essere arrivato. Invece non è così perché, ad esempio, non sono libero neanche nei confronti di mia moglie con la quale non so pregare e non so condividere le cose belle. Sento che c’è una forza che mi trattiene e che può essere chiamato pudore. Essere liberi dentro è la cosa più bella perché così si può essere di aiuto agli altri.

Don Giancarlo. Quanto Gino ha detto lo riscontriamo in ciascuno di noi in forme diverse. Apro a tutti due domande: “ Perché e quali sono le cause che ci impediscono di vivere in libertà i rapporti con gli altri, con le circostanze, con noi stessi? Qual è la strada per diventare sempre più liberi?”

Quel bambino che ha fatto nascere in Gino la questione della libertà rimanda alla condizione posta da Gesù: “Se non diventerete come bambini…” non avrete la possibilità di fare esperienza di pienezza.
Penso che ognuno di noi, quando si trova in difficoltà, cerchi i volti degli amici che gli infondono coraggio anziché quelli degli estranei.

Maria Bencaster (Milano). Aspetto sempre di venire a questi incontri con tanta gioia. Alle persone che sono qui per la prima volta chiedo di essere fedeli agli incontri perché soltanto attraverso questa strada c’è la possibilità di sopravvivere al dolore che teniamo nel cuore. Un dolore che ci accompagnerà sempre. Il dono della fede che ci sorregge ci dà la forza per continuare nel cammino. Trovo che solo in questa compagnia si può essere veri, confidare liberamente i propri sentimenti ed esprimere l’amore che ci unisce.

Giorgio Macchi (Varese). Sono due mesi che non ci vediamo. Il mese scorso ero ricoverato in ospedale per un’ernia inguinale. Riguardo al problema del dolore ritengo di avere consolidato in tutti questi anni delle certezze. Sono passati diciassette anni dall’assassinio di Lidia e non si è ancora trovato l’assassino. Forse la magistratura non lo cerca neanche più. Questa ferita sempre aperta, dal punto di vista umano, mi mette sempre in crisi. E’ vero che le risposte fondamentali per la mia vita sono altre. Però essa mi sanguina dentro, mi pone un’infinità di dubbi che fanno diminuire il mio affidamento a Cristo e provoca saltuariamente stati depressivi. C’è il pericolo che la pigrizia, la noia e lo scazzamento abbiano il sopravvento e mi rendano dapprima freddo e calcolatore, poi scettico ed infine cinico. In certi momenti mi isolo e sono incapace di telefonare agli amici nonostante sia il momento del loro massimo bisogno. Alla S. Messa di anniversario la Chiesa della mia Parrocchia è stracolma di vecchi amici di Lidia e nostri. Questo mi conforta perché un aspetto della sofferenza che provo è legato alla paventata dimenticanza degli amici più cari.
Nel ricovero ospedaliero ho subito un intervento chirurgico. Il mattino dopo l’operazione tutto procedeva per il meglio ed avevo già ricevuto la visita di molti amici. Nella tarda serata un improvviso rigonfiamento ha costretto i chirurghi a un secondo intervento notturno. Mi sentivo particolarmente tranquillo perché avevo la certezza che la mia vita sarebbe proseguita solo se fosse stata utile al disegno di Dio. Ho impiegato dieci anni a decidermi di farmi operare. Poi in un giorno mi hanno operato due volte.
In ogni momento della vita c’è il Mistero che si manifesta attraverso l’imprevisto. Durante la degenza ho pensato che nella vita di ciascuno ci sono circostanze liete e tristi in cui si è costretti a prendere delle decisioni. In quei frangenti è ragionevole affidarsi e pregare Dio Padre che ha un progetto buono sul nostro destino. Così mi sono ritrovato tra le mani un rosario che da tempo usavo poco. Recitandolo mi sono ritrovato più sereno. Non era certamente un rifugio per le mie paure ma il frutto di un cammino fatto con amici.
Nel periodo trascorso a casa in convalescenza ho riletto il libro di Giussani “Il miracolo dell’accoglienza” e mi sono reso conto che nella vita contano la gratuità, persone da seguire e la presenza di maestri di vita come don Giancarlo e don Giussani che aiutano a dare giudizi su tutti gli avvenimenti. Vedendo parecchi programmi televisivi, mi sono reso conto della vuotezza scaricata sui telespettatori e ho messo a confronto la bellezza delle cose che leggevo e la stupidità delle cose che vedevo in Tv.
In particolare a pag. 28 Giussani dice: “Non possiamo più essere come prima dopo aver visto i nostri fratelli, i nostri amici e i nostri compagni di comunità agire in questo modo nell’affrontare il dolore. Ognuno di noi può sentirsi tremare e non sentirsi all’altezza di questo, perché lo Spirito è dato secondo le misure di Cristo, ma è dato perché anche noi abbiamo a cambiare. Se uno fa cento, Signore, io ti offrirò uno. Il signore si accontenta di quello che ciascuno può dare. Non c’è un modello generico di bontà che uno deve perseguire ma è importante quello che abbiamo dentro e che riusciamo a dare. E’ un dolore che deve cambiare noi stessi”. E’ quello che noi sosteniamo nei nostri incontri. Il dolore ci deve cambiare sostituendo la reazione sentimentale al giudizio di valore. Allora il dolore verrà trasfigurato.
Capisco Valeria e la sofferenza che prova nel non poter partecipare ai nostri incontri. Quando sei costretto a casa per motivi di salute, senti di più la mancanza dei volti dei tuoi amici. Ho capito, per l’ennesima volta, l’importanza della nostra compagnia: una cosa dell’altro mondo che opera in questo mondo.

Anna Rimoldi (Busto A). La mia reazione e quella di mio marito Giovanni sono state simili a quella di Giorgio. La figura di Gesù ci viene proposta come la nostra unica salvezza:” Io sono la via, la verità, la vita.. Senza di me non potete fare niente”. Egli e’ la risposta di significato che cerchiamo sempre in tutte le cose e, a maggior ragione, nel dolore. Il conforto ci viene da Lui. Se si ha fiducia si prova e si verifica. Purtroppo noi viviamo la nostra quotidianità spenti ed arrovellati. Nella quotidianità la voce del cuore si svuota e si perde. Occorre, invece, un’adesione più forte, più vera e più affidata.
Quello che con la mia ragione percepisco giusto non è sufficiente per dare colore e calore alla mia vita. Occorre che sia il mio cuore ad aderire e che quanto è scritto entri nel mio quotidiano. Occorre vivere ed assumere questa gratuità che è la modalità con la quale Gesù si è fatto vicino a noi. Questa gratuità è entrata nei nostri rapporti e consola molto me e Giovanni. Seguiamo la Chiesa perché la riconosciamo come il luogo in cui Cristo opera la salvezza dell’umano.
Anche oggi ho sentito le parole: “Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede”. Cristo è risorto ed è veramente la risposta a tutti i nostri perché. E’ anche la condizione che ci permetterà di vivere per sempre con tutti i nostri figli.

Giovanni Rimoldi ( Busto A.). Il fatto che Cristo ha vinto la morte è importante. Per noi significa che potremo ritrovare i nostri figli e vivere la comunione con loro nella Chiesa celeste. La preghiera di Famiglie in cammino che inizia con il Tu che adesso vedi… è rivolta ai nostri figli in Cristo. Ed è la preghiera che noi rivolgiamo innanzitutto a nostra figlia che è risorta in Cristo.

Don Giancarlo. Facciamo tesoro di queste precisazioni perché diventino giudizio di merito quando lo scoramento e il dubbio cercano di distoglierci dalla dirittura della coscienza. Un giudizio vero porta sempre un effetto illuminante sul cammino della vita e, spesso, anche una pace interiore. Preghiamo perché Cristo è risorto e preghiamo i Santi che, appartenendo a Lui, partecipano anche del suo potere. Potere su tutto e su tutti poiché Egli è la realtà e la pienezza. La Bibbia dice: Cristo è tutto in tutti e in tutto. Purtroppo anche molti sacerdoti non aiutano più a soffermarsi su tali verità che danno carica al cammino.

Anna Signorelli (Gallarate). Dopo la morte del mio Andrea, anche se il cammino è stato lungo, mi sono rafforzata. L’altro mio figlio mi ha dato una bella nipotina che adesso ha 18 mesi. Adesso mi sento meglio. Ho pregato tanto per questa bambina e vedendo la mia famiglia felice, devo dire che sicuramente il Signore c’è. Mia nuora aveva già avuto quattro aborti e sembrava che di figli non ne potesse più avere. Per me è consolante vedere la mia famiglia così unita e constatare che stiamo bene insieme.

Romolo Canato ( Cairate). In questi giorni con mia moglie abbiamo incontrato una signora a cui era morto in passato un figlio. Questa signora, molto anziana, è stata operata per un tumore al pancreas. Prima dell’intervento aveva molta paura e noi le abbaiamo suggerito di pregare il figlio affinché intercedesse presso Dio.Oggi siamo andati di nuovo a trovarla e ci ha sorpresi nel vederla camminare, cosa che non avrebbe più potuto fare. L’intercessione dei nostri figli presso Dio è un grande aiuto per tutti noi.

Natale Colombo ( Usmate). Leggendo il libro sono stato colpito da queste parole:” Ciò che dà spessore al nostro appartenere è il comunicare con delle persone che sono un segno persuasivo per il cambiamento di mentalità”. Occorre meditare sulla parola appartenere. Giovanni, prima, ce lo indicava come metodo. Se uno viole appartenere deve essere convinto di dover comunicare con delle persone che danno un segno persuasivo di aiuto. Questo poi facilita il cambiamento di mentalità. Le persone che sono da poco con noi non sempre riescono a capire questo. Dopo la perdita di mio figlio per me è stato importante vedere il cambiamento in un amico.Il passo successivo è quello di seguire le proposte e camminare insieme. Chiedo al nostro amico Gilberto di dirci che cosa lo ha spinto ad essere qui oggi, pur nella fatica.

Gilberto Prina ( Milano). Stare qui con voi arricchisce e mi porta sempre a guardare qualcosa di bello e di importante. Ho incontrato di recente un amico che purtroppo ha vissuto la nostra storia e mi sono sentito in dovere di portarlo. Lui ha accettato ed ha coinvolto altri amici del suo paese che sono nelle sue condizioni. E’ incredibile. Nell’arco di un mese, i paese sono morti quattro ragazzi. Quello che accadrà nel suo cuore è nelle mani di Dio.

L’amico. Abbiamo perso un figlio di diciassette anni in un incidente. Confesso di essere molto confuso. Credo di poter trovare una risposta nella fede ma poi c’è la realtà di tutti i giorni nella quale sono tutti matti e votati ad un precipizio senza neanche saperlo. Capisco che c’è questo percorso di fede e di speranza ma per me c’è qualcosa che mi porta lontano da esso. C’è forse un metodo per non sentire lontana la realtà di tutti i giorni? La forza che si riceve da questo grandissimo dolore permette di dare il giusto valore e capire che lavori per la tua dignità e se qualcuno non ti rispetta è sconfitto in partenza. Anche in questo bisogna cercare di trovare un’unità in quello che si fa tutti i giorni per quello che appare come la giusta strada. Vi ringrazio perché ho sentito parlare con maggiore lucidità quello che sto vivendo anch’io. Credo che molte domande è giusto farsele ma credo anche in quello che diceva mio padre: credere per capire e capire per credere. Sono due verbi così ben coniugati che, in questo momento, mi servono. Capirò poco, avrò grossissime difficoltà, ma ho fede. Tornerò ancora perché ho tantissime domande da porvi.

Vito D’Incognito( Milano). Volevo dare anch’io il mio contributo ritornando al problema della libertà citato da Gino. Giussani afferma: “Se un ragazzo è veramente amato dai genitori sa che cos’è amore cresce sapendolo anche se questa sapienza non è riflessa. La libertà con quella punta acuta che è il perdono, il perdono a sé, la capacità di perdonarsi è un’altra forma di libertà. Io l’ho colta nel grandioso gesto con cui la signora Coletta, vedova del carabiniere morto a Nassirja, ha avuto la forza e la fede di dare il perdono agli assassini di suo marito. Certo pregare per chi ci vuole bene è facile, pregare per chi ha assassinato il marito e tutti gli altri, non è da tutti.
L’accaduto mi ha fatto venire in mente una poesia di mio figlio Leonardo, una poesia autobiografica. Dopo aver descritto se stesso fisicamente, dice: “ Non sempre sincero ma non maligno. Generoso e buono con chi mi è amico. So perdonare chi mi ha nuociuto”. Forse mio figlio conosceva meglio di me la libertà.
Nel secondo capitolo del testo troviamo:“Gratuità come imitazione di Cristo”. “Nobiltà d’animo senza presunzioni”. Ma c’è un termine che a me è particolarmente piaciuto ed è quello che Giussani chiama “nobiltà” e si riferisce ovviamente a quella dell’animo. Questo tema mi ha riportato ad un incontro di molti anni fa con frate Alberto dei Carmelitani Scalzi che, in una giornata particolarmente fredda, dava del the caldo a degli emarginati che aspettavano di entrare nella mensa dei poveri della Chiesa del Corpus Domini di Milano. Lì è avvenuto quello che diceva Giorgio prima. Di fronte ad alcuni fatti si rimane colpiti, mossi e coinvolti. Io mi sono sentito così mosso da decidere di prestare la mia opera di volontariato presso quella mensa.
In un passo del nostro libro si legge: “ Senza Cristo l’uomo non è se stesso, non si conosce, non si riconosce e non si realizza”. Norberto Bobbio, alla fine della sua vita, ha dato un giudizio sulla religiosità dicendo: “ Quando sento di essere arrivato alla fine della vita, senza aver trovato una risposta alle domande ultime, la mia intelligenza è umiliata. Sì umiliata e l’accetto. Non cerco di sfuggire a questa umiliazione con la Fede, attraverso strade che non riesco a percorrere. Resto uomo della mia ragione limitata e umiliata. So di non sapere ”.
A questo punto pongo questa domanda: “Nella ricerca della fede quanto è importante la ragione e quanto invece l’abbandonarsi?”

Flora Colombo (Usmate). Don Giussani, a pag. 29 del testo, riporta una frase di una lettera:“ Ho deciso di fare un bagno di identità. Ho capito e sono tornato sereno.”
Mi sono immedesimata in questo. Quando è successa la morte di mio figlio Cristian sono stata invitata da alcune persone ad un incontro e ho detto subito di sì. Dopo anni, mi trovo sicuramente cambiata, serena e felice. Non voglio scandalizzare nessuno ma mi sento davvero contenta e serena. Non mancano le crisi e i momenti di dolore ma è un dolore costruttivo che avvicina alle cose e le fa vivere più intensamente. Trovo che questo metodo sia lo stesso che ha usato Gesù con gli Apostoli quando incontrandolo volevano conoscerlo meglio. La risposta di Gesù è stata: “Venite e vedete”. Questo è successo a me ed a molti amici che sono qui ed è sicuramente il metodo più vero. Invito Vito a riflettere sulla citazione dello scienziato Carrel, naturalista e premio Nobel che dice: “Poche osservazioni e molto ragionamento portano all’errore. Molta osservazione e poco ragionamento portano alla verità”.

Domenico Siviglia. Quattro mesi fa ho perso l’unico figlio. Oggi io non volevo venire qui perché qui si parla di Dio ed io non ho un buon rapporto con lui. Sono sempre andato in Chiesa, magari senza essere un bravo cristiano. Pensavo di avere in Lui un amico grande e mi sono sentito tradito.
Voi dite che Dio ha fatto grandi cose per voi mentre io sono stato privato di mio figlio che ha portato una croce pesantissima per cinque anni. Lui non voleva morire. A 25 anni uno vuole vivere. Non si è offerto a Dio perchè non era un santo. Quando è stato operato la prima volta al braccio ha detto una cosa bella: Papà, anch’io ho aiutato il Signore a portare la croce ed ho accettato questo. Il movimento del suo braccio era limitato ed avrebbe portato questa croce per tutta la vita. Io continuavo ad andare alla S. Messa e ringraziavo il Signore perché mio figlio era ancora con me. Dopo due anni la ricaduta. Mio figlio si è arrabbiato con Dio mentre io ho continuato a pregare. Ha subito poi un trattamento chemioterapico pesantissimo. Era un atleta, un ragazzo pieno di vita. Ha accettato anche questa prova. Dopo un anno la terza ricaduta. A quel punto mio figlio ha perso anche la forza di prendersela con Dio. E’ morto con una dignità immensa ma, fino all’ultimo, voleva vivere. Le sue ultime parole mi hanno preso il cuore: “ Papà, io non ho più stima di te”. Disperato gli ho chiesto il perché. Lui mi ha risposto: “ Perché non mi aiuti a morire”.
Lui sarà in Cielo. Starà senz’altro bene ma io, mio figlio non c’è l’ho più. Non posso accettare quello che ho ascoltato qui che Dio fa grandi cose. Io, queste grandi cose, non le vedo. Perdere un figlio non è una grande cosa. Avete detto tante belle cose ed vi ho ascoltato con grande attenzione ma, in questo momento, per me sono lontane e non le sento vere. Sento solo che mio figlio non è più presente accanto a me. Questo da Dio non l’accetto. Fino ad ora il Signore non mi ha ascoltato. Spero almeno che mi aiuti a capire perché ha voluto con Lui mio figlio.

Gino Varrà (Milano). Non devi certo chiedere scusa a noi per quello che hai detto. Tutti noi, prima, eravamo così. Anche per molti di noi, all’inizio, Cristo era un nemico. Piano piano abbiamo capito ed abbiamo potuto apprezzare il Signore. Sono sicuro che ritornerai da noi perché non sei diverso. Tu hai detto tutto quello che noi abbiamo detto prima di te. Devi tornare per la tua salvezza.

Don Giancarlo. Quando Cristo è risorto ha voluto apparire per 50 giorni agli amici discepoli per rassicurarli circa la sua vittoria sul maligno e la sua vicinanza “Io ho vinto e sarò con voi per sempre.”
La morte è l’ultima forma del male ad essere sconfitta. La Bibbia ci dice che, alla fine del mondo, la morte sarà eliminata e tutto sarà consegnato a Cristo. Allora anche Lui si consegnerà al Padre e il Padre sarà tutto in tutti per sempre. Noi, anche se Lui ci ha già radicalmente liberati dal male, non siamo totalmente liberi. Per questo, ogni giorno, diciamo: “Padre nostro liberaci dal male ”.
La risposta di Gino a Domenico sembrava una sgridata ma è vera. Io ve la ridico in un’altra ottica. “ Domenico, tuo figlio vuole che tu ritorni positivo perché adesso stai vivendo una situazione umana di crisi che non è la condizione ottimale della vita. Infatti non ti dà né pace né felicità.”
Il mese scorso Giuseppe aveva affermato: “Nei primi anni ero profondamente arrabbiato..;, per me il Natale è oggi”.
La ribellione che sta vivendo Domenico non è adeguata all’esigenza del suo cuore. Ciò di cui il cuore umano ha bisogno è la presenza di qualcuno che spieghi il significato di ciò che accade e comunichi pace e speranza. Il canto iniziale ha proprio indicato tale presenza.“Ho un amico grande, grande; di più giusti non ce n’è. Mi ha donato tutto il mondo. ? più forte anche di un re.”
La realtà non è solo ciò che appare. La consistenza e il significato profondo della realtà non si vedono. Cristo si è fatto uno di noi per dirci che la storia dell’universo e del genere umano è in movimento verso di Lui che è origine, significato e destino di tutti e di tutto. Alla fine del mondo, dopo che tutti avranno riconosciuto che Egli è il Signore e il centro del cosmo e della storia, allora tutto diventerà chiaro e motivo di beatitudine.
I segni del mondo nuovo incominciato con Gesù e sviluppatosi nei 2000 anni di Cristianesimo sono innumerevoli; in primo luogo, le persone cambiate. Qui sono numerosissime. In una lettura superficiale ed emotiva della realtà si è portati a pensare che il male, oggi dilagante, sia destinato a trionfare. La stessa realtà guardata e valutata con gli occhi di Cristo si carica di positività: “Io ho vinto il mondo”. “ Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio”. “ Chi crede in me non morrà in eterno”.
La promessa è per tutti, il godimento no perché esso dipende dal fattore libertà. La libertà in azione decide infatti della destinazione della vita o come premio o come condanna. Nella vita c’è un’unica cosa da non perdere mai di vista: l’obiettivo finale. E’ quello che Gesù ha detto nel discorso della montagna: “Perché vi affannate su quello che vi accade. Cercate innanzitutto il regno di Dio. Il resto vi sarà dato…. A ciascun giorno basta la sua pena”.
A questo punto mi sembra importante chiederci quale spazio e considerazione diamo nella nostra vita alla religiosità, al riconoscimento cioè del rapporto filiale nei confronti di Dio, riassunto da S. Agostino nel motto: “Credere per capire e capire per credere”.
La razionalità che noi usiamo per leggere e giudicare i fatti della vita non è quella dei razionalisti. Per costoro la ragione ha la pretesa di essere la misura di tutto e l’unico metro attraverso cui valutare se una cosa c’è o non c’è, se è valida o meno, se è credibile o meno. Per loro esiste, è credibile e ragionevole solo quello che entra nello schema mentale di ciascuno. I razionalisti partono dal presupposto ideologico che ci sia solo quello che si può spiegare e orientare secondo il personale progetto.
Una diversa concezione di razionalità accompagna però da sempre la storia del pensiero e della ricerca umana, quella secondo cui la ragione è come una finestra da cui guardare la realtà o come un cannocchiale attraverso cui esplorare e captare qualcosa di ciò che è in corso. Essa chiede innanzitutto l’apertura del cuore a tutto l’esistente.
A questo punto nasce la domanda: come atteggiarsi di fronte a ciò che accade e non capisco o non so riconoscere nel suo significato più profondo? ? il caso dell’amico Domenico. Occorre avere la semplicità del cuore: “ Se non diventerete come bambini non capirete il significato più profondo e misterioso della realtà”. Il cuore del bambino è semplice perché si affida e si lascia prendere per mano. Tale atteggiamento è sempre da imparare e da purificare. Per questo noi stiamo alla sequela di Gesù maestro.
Anche oggi, Giuseppe, ci ha detto di essersi fidato di un amico che lo ha portato all’interno della nostra compagnia, segno della presenza di Cristo. Qui ha incontrato persone che hanno cambiato mentalità e vita a tal punto che, adesso, nonostante la perdita di figli, sono più liberi di prima. Il fidarsi è l’atto più ragionevole che l’uomo possa fare. Teniamo perciò spalancato il cuore, sentiamoci in cammino e lasciamoci provocare dalle posizioni umane più vere e più belle.Il rischio della libertà deve essere un rischio ragionevole. Il rischio è ragionevole quando è conveniente. Conveniente è ciò che risponde alle attese del cuore. Da soli è facile scoraggiarsi. Un uomo solo sprofonda. Compito della vita è realizzarsi in pienezza ed aiutare gli altri a farlo.
Famiglie in cammino, come ogni gruppo che ha incontrato la luce in Gesù attraverso la grazia della fede, è un gruppo che, pur portando la croce, mira alla pienezza.
Accettare, offrire e perdonare non sono le prime parole della vita ma quelle della maturità.
Impariamo a guardare e vivere la vita nella gratuità come ha fatto Gesù.
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