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Incontro del 24 febbraio 2013

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Milano, 24 febbraio 2013

 

LA RINUNCIA DI BENEDETTO XVI

 

Il gesto del Papa si può chiamare rinuncia e non dimissioni perché è per un bene più grande: il servizio alla Chiesa, in piena libertà.

NATALE: Eccoci qui per un altro incontro affrontato con una certa costanza nonostante le intemperie. Abbiamo modo di scambiarci l’esperienza vissuta soprattutto in questo ultimo periodo. Spunti ve ne sono molti: non solo offerti dall’omelia di papa Benedetto XVI, ma anche suggeriti dalla sua rinuncia a continuare ad esercitare il suo ministero petrino: una scelta che ci ha lasciati per un attimo sgomenti, ma che ci ha fatto capire chiaramente il valore della sua missione e quanto voglia stare costantemente vicino a tutti in comunione con la Chiesa, con la preghiera e la meditazione.

MARISA: Prima di cominciare, vorrei ricordare Marilena nel decimo anniversario della morte. Di Marilena mi ricordo il fatto che è stata Lei che mi ha dato la forza di essere missionaria per sostenere sempre altre persone che come me hanno provato la sofferenza per la morte di un figlio, perché anche loro abbiano a trovare la Grazia consolatrice del Signore.

 

DON GIANCARLO: Vi state accorgendo come nel corso del cammino ogni particolare debba essere messo nella frequenza della lunghezza d’onda del Mistero che ha un disegno su tutto e su di noi. Anche sulla questione della rinuncia da parte di Benedetto XVI mi sono accorto che non a tutti è chiaro cosa sia accaduto, tanto più che i media si sono sbizzarriti nei commenti senza coglierne il vero valore.

 

MARIA TERESA: Vorrei capire veramente il valore di questo gesto del papa.

 

DON GIANCARLO: E’ contenuto nella “Declaratio”, la dichiarazione che Benedetto XVI ha voluto fare lo scorso 10 febbraio ai cardinali riuniti in Concistoro.

Abbiamo saputo successivamente da un suo intervento che è dal 2005, dalla sua elezione, che sta vivendo questo faccia a faccia “drammatico” con il Padre Eterno, dato che era arrivato ad assumersi il ministero petrino in età avanzata, a 78 anni. Fin dall’inizio si è sentito inadeguato per il gravame a livello psicofisico che, se nei primi anni era riuscito a vivere con “scioltezza”, negli ultimi due è diventato sempre più pesante.

“Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, “ si legge nella sua Declaratio “sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando.”

Fin dall’omelia del suo insediamento Benedetto XVI ha ingaggiato una dura sfida contro la dittatura a livello culturale del relativismo. E lo ha ribadito in questi otto anni di pontificato dovunque e soprattutto negli interventi più alti e più aperti al mondo delle autorità e della cultura. Il relativismo non è capace di guardare e di vedere il Mistero di cui la realtà è segno di Dio. Nella sfida contro la legge della natura, il relativismo non riconosce, ad esempio, la natura umana diversa da quella animale, non riconosce il valore della genitalità di maschio e di femmina, di padre e di madre nella famiglia. Contro questa sfida è necessario difendere più che mai lo statuto costitutivo dell’io che la natura creata porta in sé e che la filosofia chiama ontologia, cioè la natura dell’essere.

In questo mondo “soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede” il papa ha affermato che “per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario il vigore sia del corpo, sia dell’animo”, vigore che, negli ultimi mesi, in lui è diminuito in modo tale da dover riconoscere la sua incapacità di amministrare bene il ministero a lui affidato.

Per queste ragioni,“ben consapevole della gravità di questo atto” e “con piena libertà”, il papa ha dichiarato di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro.

Ma l’altro passaggio che ci permette di capire la statura dell’uomo è nel ribadire la convinzione di affidare la Santa Chiesa alla cura del Suo Sommo Pastore che non è il papa, ma è il Signore Gesù Cristo e di implorare la Sua Santa Madre Maria affinché assista i Padri Cardinali nella elezione del Nuovo Pontefice.

 

FLORA: Nella nostra mentalità siamo abituati a vedere la rinuncia come una sorta di fallimento. Ma questo non è il caso di Benedetto XVI: la sua è stata una presa di coscienza che ha posto il suo gesto comunque a servizio della Chiesa. Anche a me è capitato nella mia vita lavorativa di dover rinunciare ad un posto di lavoro interessante perché le necessità della vita mi spingevano altrove per il bene di tutti. In un primo momento mi sembrava un fallimento, ma poi mi sono accorta della necessità positiva presente nella mia scelta.

 

DON GIANCARLO: Con questo esempio, tu Flora hai espresso giustamente il divario e la diversità che intercorre fra dimissione e rinuncia. La dimissione, o scelta forzatamente indotta da altri, è un fallimento, perché uno si dimette per mille ragioni ma che riguardano lui, riguardano il suo io dove la dimissione può diventare un atto di protesta, un gesto di sfida o di affermazione di un disaccordo forte nei confronti di altri. Mentre la rinuncia è una decisione che matura nella consapevolezza di ciò che è bene innanzitutto per la causa, la Chiesa in questo caso, oltreché per la vita personale.

 

MARIA TERESA : Vorrei dire una cosa: mio figlio ha rinunciato alla sua vita tragicamente. Aveva ventun anni, gli mancavano due esami per raggiungere l’obiettivo della laurea. Capivo che non andava bene con la ragazza, ma non mi diceva mai nulla. Lui si sentiva solo. Perché si è ucciso?

 

DON GIANCARLO: Non lo sa nessuno, lui si è portato dentro questo segreto che solo Iddio conosce, perché Lui legge nel cuore. Noi dobbiamo fermarci davanti alla persona e a qualunque gesto che questa fa nel rispetto primo della sua dignità. Non è un gesto simile che squalifica la dignità della persona, che rimane tale nella sua natura e nella sua tensione al destino. L’affidarlo a Dio, che è Padre e Giudice, è l’unica mossa umanamente rispettosa e vera.

 

MARIA TERESA : Io voglio solo sapere se mio figlio sarà in Cielo, è questo che vorrei sapere.

 

DON GIANCARLO: Nessuno di noi lo sa. Personalmente siccome so che la Misericordia, che definisce Dio, è una misura di amore che sconfina da ogni misurazione di giustizia, ho fiducia che questa Misericordia abbia permesso a Davide, come a milioni di altre persone, di avere la lucidità di mirare al bene per sé. Abbiamo visto nel Vangelo della Messa di questa domenica che Gesù, posto di fronte a una donna che era ritenuta squalificata per la sua vita morale, Lui non la condanna, ma la valorizza per la sua sincerità e lei si accorge che quell’uomo è diverso da tutti gli altri che la cercavano per interesse e la disprezzavano perché non riconoscevano la sua dignità di persona. Certo, visto dall’esterno una vita che viene strappata da altri o una vita che viene tolta a sé dagli interessati, è male; obiettivamente è male perché la legge naturale implica di non uccidere. Non hai il diritto di intervenire oltre questa soglia; se la varchi sei nel male. Questo oggettivamente, ma soggettivamente rimane il rispetto della persona e l’affidamento alla Misericordia di Dio. Siamo però di fronte ad una scelta che non è la rinuncia di cui stiamo parlando: quella del Papa si può chiamare rinuncia perché è per un bene più grande, il servizio alla Chiesa, e quindi è libera; per chi si trova in certi frangenti dove perde il ben dell’intelletto, la sua non è una rinuncia motivata, consapevole, libera. Il Padre Eterno sa quando, come e perché ciò è avvenuto. Il consiglio che adesso io do, anche alla luce dell’esperienza di questi anni di altri papà e di altre mamme che sono passati prima di te in questo travaglio, è di non trascorrere il tempo nel cercare di capire il perché e il percome, perché finiresti nel ginepraio che ti tormenta. E’ un consiglio amorevole e amicale che ti diamo: tuo figlio lo devi affidare a Dio, alla sua Misericordia. Domenica scorsa nel ritiro che ho fatto, un padre che ha un figlio in grosse difficoltà e con cui ha un rapporto di conflitto, ha capito la diversità del fidarsi e dell’affidare. Mi sono accorto che questo bagliore di sapienza gli permetterà un salto di qualità perché prima lui era mosso dalla fede in Gesù e pregava per suo figlio; ciò malgrado si avvertiva sempre contrariato: non voleva che suo figlio buttasse via i vent’anni e oltretutto lo dovesse mantenere. In realtà si sentiva ancora lui giudice, arbitro su come pilotare il cammino del figlio. Domenica scorsa si è accorto che un conto è aver fede un conto è consegnare qualcuno o sé a Dio; affidare vuol dire consegnare il figlio, senza averne più diritto, a Lui che è Padre, Signore, Giudice, alfa e omega di tutto. E da cosa è venuto fuori questa intuizione?

Noi qui in parrocchia abbiamo una famiglia con un giovane papà improvvisamente affetto da una grave malattia. In una mail la moglie ha segnalato che il marito nei giorni tuttora perduranti di malattia non ha vacillato per un attimo nella sua fede, nel senso che la sua paura è vissuta sempre in compagnia di Gesù. Da parte sua la moglie mi ha manifestato il suo scandalo nell’aver constatato che, pur pregando moltissimo, non riusciva a essere in pace; pensava che se c’è la paura non ci possa essere Gesù, perché Lui è la pace. Ma poi, dopo l’incontro con un amico, a cui ha chiesto di pregare perché potesse avere più fede perché non riusciva più ad affidarsi a Gesù, ha compreso che ci si può affidare a Lui anche se c’è la paura. Oggi di fronte al marito malato ha capito che Cristo non leva un centimetro alla fragilità della nostra umanità; non si diventa dei titani perché si ha la fede, ma la grandiosità sta nel fatto che Lui si rende nostro compagno: Cristo è colui che ti aiuta a portare la croce. “La vita è un mistero, io ci capisco sempre di meno e mi sto scoprendo ogni istante più fragile” scrive questa giovane moglie. “Ma posso dirvi che se non ci fosse Cristo, io non sarei in grado di stare di fronte a mio marito, lui è il segno più straordinario della presenza di Cristo.”

Ecco, per non rimanere nel gorgo, nel ginepraio che ti tormenta e ti devasta, affida anche tu, Maria Teresa, tuo figlio nelle braccia di Dio, lascialo nel suo cuore. Cerca invece di trovare conforto e pace nella preghiera, nella vicinanza con gli amici, nello sfogarti come hai fatto oggi, nel porre le domande che hai dentro, lasciandoti accompagnare perché questo è il cammino che tutti hanno fatto, anche se in modi diversi.

 

MATTEO: La vita presenta percorsi che mai avremmo pensato e che indicano la presenza della Grazia di Dio. Ricordo che mio figlio Michele, prima di morire a causa di un incidente stradale, aveva una ragazza agnostica, contraria alla Chiesa. Dopo qualche mese che è successo questo incidente, lei ha conosciuto un altro ragazzo. Con lui ha convenuto che fosse necessario rivolgersi ad un sacerdote, che ha loro proposto di fare il corso per fidanzati, ben sapendo come la pensassero. Dopo un anno si sono sposati, hanno avuto due figli e ora vanno tutte le domeniche a Messa e sono una famiglia felice.

 

DON GIANCARLO: La vita è possibilità di evoluzione; è un percorso fatto a tappe con le sue novità, le prese di coscienza, la rivisitazione di un passato, la scoperta, gli incontri, le sorprese di cui, se vissute con il cuore aperto e alla luce del disegno buono che c’è in ciascuna di esse, si riesce nel tempo a cogliere il filo conduttore che avanza e che fa unità in noi. Nelle prime fasi c’è il vivere frammentato e settoriale perché è predominante l’istinto o la fragilità; l’istinto e la fragilità ci rendono esposti a un sacco di condizionamenti per opera degli amici, delle mode, della maggioranza; poi crescendo negli anni tutto aiuta a capire che un conto sono i fattori marginali, un conto è l’essenziale, l’indispensabile e uno impara a sue spese o con la gioia di certe intuizioni che c’è una possibilità per lui, per lei di unità in sé, di verità in sé, di libertà e quindi di cammino motivato. Quando il cammino è motivato diventa anche più libero, più umano. Ieri ho fatto degli incontri con delle coppie che chiedono il battesimo per i figli. Una in particolare mi ha colpito. Di fronte a un papà che dichiara di essere cresciuto in una famiglia che non gli ha detto nulla sulla religione e sulla fede e che non può dirsi cattolico, sta una mamma che dichiara di essere stata cattolica da bambina poiché la sua famiglia era tale. Ma è la sua esperienza di vita a portarla a chiedere il battesimo per il proprio bambino. Lavorando in una onlus dedita al terzo mondo, è venuta in contatto con l’esperienza delle missioni: “Vedendo chi è Cristo per quelle donne, per quegli uomini che vivono nelle terre di missione, ho ribadito a me stessa che Cristo non può essere una suggestione o una costruzione ideologica; è per questo che io chiedo il battesimo del mio bambino.” La testimonianza esistenziale della compagna (la coppia è convivente) ha portato il suo compagno a chiedere anche lui il battesimo per il figlio. Il battesimo del loro bambino in questa coppia ha fatto alzare lo sguardo per “leggere più lontano”.

 

NATALE: Don Giancarlo ha sempre dentro di sé il desiderio di trasmettere innanzitutto quello che vive come esperienza, per educarci anche a comprendere meglio i passaggi della vita con quello che ci fa incontrare. Noi ci eravamo proposti di lavorare sulle catechesi del papa e proprio in una di queste Benedetto XVI afferma che “Il desiderio di Dio è scritto nel cuore dell’uomo perché l’uomo è stato creato da Dio per Dio, e Dio non cessa di attrarre a sé l’uomo: soltanto in Dio l’uomo troverà la verità e la felicità che cerca.” Dalle testimonianze che abbiamo sentito oggi questo è chiaramente emerso. Tutto è, come dire, per noi significativo e noi lo abbiamo provato anche passando per la cruda, violenta morte di un figlio. L’Anno della Fede, in un mondo che non aiuta a cogliere gli autentici valori, ci aiuti a colmare e a ritrovare il senso giusto della vita.

 

 

 

 

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