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Maggio: incontro mensile

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Maggio 2005

Natale Colombo (Usmate). Un benvenuto a tutti, carico di letizia. Questo periodo pasquale, ricco d’attesa, ha destato i nostri cuori; sia per gli esercizi spirituali di Rimini sia per altri incontri ed esperienze.Saluto in modo particolare chi è qui per la prima volta. Iniziamo il nostro incontro con i canti e la preghiera.

Anna Maria (Milano). Per la prima volta ho assistito ad una veglia pasquale che si è svolta a Lugano. Il decano è un prete nero del Togo, don Frank, il quale è stato chiamato improvvisamente al capezzale di un amico moribondo. Anziché benedirlo, come gli avevano chiesto i familiari, ha iniziato a chiamarlo finché questo amico si è risvegliato. Quando è stato cosciente ha detto all’amico sacerdote: “Dovevi lasciarmi dove ero, io stavo benissimo”. A me è sembrato un messaggio di speranza.

Nicoletta Rosselli (Varese). Una signora che veniva ai nostri incontri e si è trasferita a Venezia. Mi ha telefonato per dirmi che cura un bambino di un anno, figlio di una ragazza madre. Sta ricominciando a vivere e svolge attività di volontariato presso la Caritas.
Mi ha telefonato anche una signora di Agrigento che ci ha conosciuto attraverso internet. Mi ha raccontato di suo figlio e sarebbe contenta di ricevere i nostri scritti.

Natale Colombo (Usmate). Con Flora ed alcuni amici abbiamo trascorso la settimana Santa a New York. Lì abbiamo potuto partecipare alla Via Crucis che, da un decennio, si svolge da Brooklyn verso il cuore della City. In quella circostanza abbiamo rincontrato una persona che non vedevamo da dieci anni e che ci era stata molto vicina quando abbiamo perso nostro figlio. Fa parte dei Memores Domini, i laici consacrati di C.L. che vivono in case la loro regola e svolgono una normale attività professionale. Abbiamo incontrato anche altri due amici che accompagnavano dei ragazzi rumeni in vacanza e che, come noi, avevano deciso di vivere il venerdì santo in quel modo.
Mi ha impressionato l’immensità della città e, dentro il suo cuore brulicante di vita, duemila persone che, dietro a una Croce, attraversavano il ponte fino a Ground Zero.

Ho anche vissuto a Rimini il gesto degli esercizi spirituali della Fraternità di Comunione e Liberazione con venticinquemila persone che seguono in silenzio, pregano e riflettono. Il contenuto di questi esercizi mi ha richiamato seriamente a come sto vivendo la mia condizione umana da cristiano. Anche lì ho rivisto una persona abbastanza disperata per la sua vicenda matrimoniale. Giuseppe ed io l’avevamo incontrato in un rifugio di montagna. Davanti a quanto raccontavamo della nostra tragedia, stupito dalla nostra serenità, ha dovuto ridimensionare il giudizio sulla sua situazione. Speriamo che il nostro sia stato un seme che gli permetta di vivere il matrimonio in modo più positivo.

Rosa Milanesi (Cremona). In televisione ho visto un programma che trasmettevano dalla piazza del duomo di Cremona. Un giovane in carrozzella parlava del grave incidente stradale che l’aveva visto in coma per alcuni mesi. Raccontava che, nel periodo in cui era stato privo di coscienza, si era trovato davanti ad un tunnel buio che, sul fondo, lasciava intravedere la luce. Affermava anche di non sentirsi meritevole di quella luce poiché aveva vissuto una vita normale senza grandi slanci di fede.
Penso che anche i nostri figli, se sono morti così improvvisamente, non debbano rendere conto di ogni imperfezione. Credo che, se c’è Dio, egli ci sappia apprezzare per quello che siamo anche con i nostri limiti.
Nel cammino di Fede ho sempre avuto un po’ di tentennamenti. Mi sento ancora in ricerca. E’ più facile camminare alla cieca su una strada piena di ostacoli oppure fingere che non ci siano?

Don Giancarlo. Da quando ti conosco ti sento sempre dire: “Se c’è un Dio”, come se il tuo cuore fosse coperto dalla nube del dubbio. Ritengo invece che tu abbia già superato questa fase da tanto tempo. Ti do un consiglio: prova ad eliminare il se e a giudicare il presente non al condizionale ma con il cuore che adesso ti ritrovi..

Rosa Milanesi (Cremona). Dall’alto ho ricevuto macigni pesantissimi. Quando è morto mio marito mia figlia aveva tre anni e mezzo, mio figlio due anni e mezzo. Per non farli crescere diversi dagli altri mi sono data da fare in tutto quello che potevo. Accolta con grande benevolenza in casa di mio fratello ho condiviso una grossa prova che l’ha colpito prima che perdessi anche la figlia. Trovo però grande conforto nel venire ai nostri incontri perché qui avverto un amore che ci unisce. Per questa compagnia posso ringraziare il Signore.

Giorgio Macchi (Varese). A Pasqua, con Paola, suo fratello e la moglie e con la nostra amica Maria, siamo andati in Liguria. Mia cognata che ha perso dodici anni fa la figlia di trentadue anni a causa di un melanoma, è sempre stata titubante per ciò che concerne la religione. Dopo quarantacinque anni ha deciso di confessarsi. Il trovarsi in nostra compagnia e l’ aver partecipato alla Via Crucis hanno fatto nascere in lei tale decisione. Abbiamo subito notato in lei un cambiamento. Appariva quasi ringiovanita. Era sicuramente risollevata e contenta.
Per ciascuno di noi ci sono dei tempi che non possono essere forzati. L’incontro con il Signore avviene sempre in una circostanza particolare e attraverso delle persone che, anche inconsapevolmente, risultano dei testimoni.
Credo che, molte volte, ci confezioniamo un’immagine di Dio in base al nostro modo di vivere le circostanze. In fondo questo dimostra che non siamo soddisfatti di noi stessi e, per questo, scarichiamo i nostri sensi di colpa su un essere invisibile. In una lettera Lidia scriveva che, comportandoci così, noi costruiamo la nostra gabbia. Noi non possiamo misurare la misericordia infinita del Signore. Spesso siamo i peggiori giudici di noi stessi. Per il desiderio di felicità del nostro cuore esageriamo i nostri limiti e le nostre manchevolezze.

Rita Bettanello (Lonate Ceppino). Quello in corso è un anno di grandi sacrifici. L’assistenza a mia mamma, molto anziana e ammalata, è diventata motivo di scontro con mio figlio che si vedeva costretto ad accompagnarmi in macchina. Il giorno di Pasqua mia mamma mi ha allontanata e scartata. Da allora non le ho più fatto visita. Adesso non so più come comportarmi.

Don Giancarlo. In primo luogo voglio ricordarvi che noi ci troviamo per condividere le cose della vita in uno spirito di speranza e di amicizia.
Nel linguaggio corrente il termine scartare ha vari significati. Comunemente scartare equivale a rimuovere, a buttare via. Si scartano le cose inutili o quelle che danneggiano. Si scarta il male.
Noi uomini, purtroppo, siamo portati a scartare tanti elementi della realtà non perché siano dannosi bensì perché non li capiamo subito, perché ci portano sofferenza o perché ne abbiamo paura. Siamo superficiali e faciloni.
Dio invece non scarta nulla, neanche il nostro male. Per amore a ciascuno di noi egli si è incarnato e, divenuto uno di noi, si è fatto carico del nostro male redimendolo col dono della sua vita. In forza della sua risurrezione la Chiesa, carne viva di Cristo, ci assicura che tutto, proprio tutto, coopera al bene di coloro che amano Dio. Dio sa trarre il bene anche dal male. Per questo egli è l’unico che non scarta mai nulla.

Tale prospettiva è radicalmente diversa da quella delle leggi delle nostre Costituzioni e da quella con cui affrontiamo le nostre conflittualità. Impariamo ad aprire il cuore alla misericordia di Dio. Impariamo a guardare lui e a invocarlo: “Signore vieni a salvarmi”. La parola salvezza vuol dire riconoscere e accogliere quanto Dio ha fatto in Cristo per l’uomo. Noi ci torturiamo ogni qualvolta vogliamo sovrapporre la nostra misura a quella dell’amore misericordioso di Dio. Dentro la Chiesa tale tentazione ci è continuamente ricordata e l’alternativa continuamente testimoniato dai più santi.

Durante l’estate mediteremo l’enciclica Deus Caritas est. E’ la prima enciclica del Papa Benedetto XVI. Presenta Dio come mistero di amore, l’uomo e la Chiesa come compagnia investita e cambiata dall’abbandono a tale amore. L’approccio del Papa è folgorante; dice subito: “Dio è amore. Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e gli abbiamo creduto”. Con queste due affermazioni il papa tratteggia il contenuto dell’esperienza cristiana e la modalità con cui l’uomo vi si imbatte.

Nell’introduzione il papa afferma che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è un’etica, né una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento. L’avvenimento è una persona che dà alla vita di ciascuno un nuovo orizzonte e, dentro questo nuovo orizzonte, una direzione decisiva”. Grazie a tale incontro l’uomo sa dove andare, come andare, con chi camminare e con quale cuore stare davanti a tutto e a tutti.

Il cristianesimo è Gesù, un uomo, una presenza che viene a noi. Dio sarebbe rimasto mistero inconoscibile e inavvicinabile se non avesse deciso lui di entrare nella nostra storia e di svelarsi gradualmente. L’ebreo sa molto bene che Dio ha sempre scelto qualcuno ( patriarca, giudice, sacerdote, profeta, re…) come tramite tra lui e l’uomo. L’ebreo credente, proprio per tale certezza, esprime il suo amore a Dio attraverso l’osservanza dei Comandamenti da lui ricevuti: “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze e il prossimo tuo come te stesso”. Nell’uomo vive la divisione che provoca anche il dramma della divaricazione fra l’amore a Dio e all’uomo. Conosciamo, infatti, la storia di Caino e la cultura del taglione che poteva scaricare sull’uomo quanto una certa immagine di Dio induceva a pensare.

In Gesù l’amore a Dio e al prossimo si sono ricomposti in unità. Gesù ha reso visibile Dio: “Filippo, chi vede me vede il Padre”. Nella sua vita poi ha reso incontrabile e sperimentabile fino al dono della vita: “Nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i fratelli”. Ai discepoli ha indicato la strada dell’amore: “Riconosceranno che siete miei amici se vi amerete gli uni gli altri come io amato voi”.
In Gesù e con Gesù l’amore a Dio e al prossimo sono diventati tutt’uno. Giovanni, il discepolo prediletto, nelle sue lettere afferma che se uno dice di amare Dio che non vede e odia o non ama il prossimo che vede è un bugiardo.
Ciò che sorprende di questa enciclica non è il contenuto scelto dal papa. Abbiamo infatti sempre saputo che Dio è amore. La sorpresa sta nel fatto che Benedetto XVI, da teologo e da uomo di grande cultura, ha riproposto il rapporto che intercorre fra eros e agape, fra l’amore come desiderio di possesso e l’ amore come dono gratuito. Una tematica questa dibattuta fin dai tempi di Sant’Agostino. Dall’illumuìinismo in poi la cultura dominante hanno sempre accusato la Chiesa di aver paura dell’eros e, come conseguenza, di essere sempre stata sessuofobica. Il Papa si prende la briga di sfatare tale luogo comune.

Nella prima parte dell’enciclica fa una rivisitazione della storia e sottolinea come l’eros sia l’espressione iniziale e immatura dell’amore. L’eros è paragonabile al desiderio di raggiungere qualcosa che manca. Quando l’uomo infatti prende coscienza di essere mancante o carente di qualcosa che il suo cuore desidera, si mette in ricerca e non si dà pace fino a quando ha conquistato il bene desiderato. L’eros è la faccia del l’amore umano segnata dalle conseguenze del peccato originale.
Finché l’uomo riduce l’amore a eros non sarà mai capace di amore pieno. Se è leale con se stesso si rende conto che, man mano conquista qualcosa o qualcuno, la tentazione incombente è di possederli o di utilizzarli. Cristo, ponendo sé come modello e strada per il raggiungimento della pienezza umana, ha introdotto nella storia la grande novità della valorizzazione dell’eros, della sua purificazione e del suo compimento nell’amore oblativo.

Il papa analizza anche il problema della sessualità, il modo di viverla e di educarla affinchè da pulsione erotica arrivi al dono di sé nel rapporto di reciproca comunione. L’enciclica afferma che nell’amore oblativo o gratuito c’è la possibilità di incontrare e di manifestare l’amore di Dio. La coppia cristiana è chiamata a vivere la coniugalità in forza della partecipazione all’amore di Cristo resa possibile nella grazia dei sacramenti e, in specie, del matrimonio. Fare incontrare l’ amore di Dio nei rapporti interpersonali è dono e compito della Chiesa e, in essa, di ciascun cristiano.

Nella seconda parte dell’enciclica il Papa tratteggia come deve essere impostato l’impegno della Chiesa sul fronte della condivisione delle varie forme di povertà e su quello dell’impegno per la giustizia. La modalità deve essere sempre quella dell’amore agapico. La carità e non la filantropia deve contraddistinguere l’azione e la presenza dei cristiani nella storia. La Chiesa, pur impegnata su tutte le frontiere dell’umano, non si limita ad accogliere, a comdividere e, tentativamente, a risolvere i bisogni dell’uomo le ingiustizie ma a fare incontrare l’amore di Dio.
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